Con Dave Johns, Hayley Squires,
Briana Shann, Dylan McKiernan, Kema Sikazwe, del 2016. Sceneggiatura con Paul
Laverty.
La dignità è l’ultima a morire
Burocrazia, tecnologia e privatizzazione sono, in ordine, le
malattie del mondo occidentale nel XXI secolo. Se potevamo pensare che in Gran
Bretagna le cose potessero andare meglio che da noi, questo film ci fa provare
una grande delusione. E perché allora mandiamo i nostri figli a studiare e a
lavorare in Inghilterra dove la gente muore di burocrazia? La vicenda che Ken
Loach narra nel suo Io Daniel Blake fa
paura perché è una storia che
potrebbe succedere anche a noi o a qualche nostro amico o conoscente.
Siamo a Newcastle sul Tyne nel nord dell’Inghilterra, e un
onesto carpentiere cinquantanovenne rimasto vedovo da non molto tempo, ha avuto
un serio attacco cardiaco che sta superando con medicine e terapia
riabilitativa. Naturalmente non può lavorare – o almeno per un certo periodo
finché lo ritengono i medici – e fa domanda d’invalidità per ottenere
l’indennità di malattia. Ciò avviene con tutte le difficoltà burocratiche del
caso, dalla compilazione di moduli obbligatoriamente on-line a una serie di domande assolutamente inutili e idiote che
non prendono in esame il caso particolare ma che generalizzano sull’impossibilità
ad autogestirsi. «..Ho già compilato cinquanta pagine del formulario» - afferma
Daniel nell’incontro con una “professionista” sanitaria. Una volta che il
sussidio gli è stato negato, in attesa di fare ricorso, Daniel Blake si trova
costretto a fare domanda per l’indennità di disoccupazione. Per dimostrare la
sua buona volontà allo Stato, dovrà prima frequentare un workshop sulla compilazione del curriculum,
poi passare le sue giornate a scriverlo e a portarlo in varie fabbriche,
officine, vivai. La cosa più assurda è che casualmente troverà pure chi lo
vorrebbe assumere ma è costretto a rifiutare perché ancora inabile al lavoro.
In un crescendo di difficoltà tecnologiche – dall’uso esclusivo del computer
alle foto con lo smartphone come
prova - il nostro eroe arriverà solo alla fine a fare il ricorso per far
riconsiderare la sua domanda d’indennità di malattia, suffragata da vari
certificati medici. Nel frattempo, in uno di questi assurdi uffici burocratici,
incontra Daisy, una ragazza con due figli appena arrivata da Londra, anch’essa
disoccupata e indigente. Lui la aiuterà sia nel mettere su casa – «So
aggiustare di tutto» afferma Daniel – sia nell’occuparsi dei suoi figli. L’umanità,
la solidarietà e la dolcezza di queste persone sono il lato più commovente del
film. Molto toccante è la scena nella “banca alimentare” organizzata da
volontarie che suppliscono a quell’assistenza che lo Stato avrebbe dovuto
fornire. Daniel pian piano e con pazienza riesce a conquistare i figli di
Daisy, sia Kattle sia lo scorbutico e problematico Dylan, entrambi figli di padri
assenti, che gli si affezioneranno. Sarà poi proprio Daisy, riconoscente, a
essergli vicino nella sua ultima battaglia.
Loach è sempre dalla parte degli onesti, dei disoccupati,
delle persone semplici che abbiano comunque subìto dei soprusi. Il suo è un
cinema militante. Ho letto da qualche parte che Ken Loach, ormai ottantenne,
aveva deciso di smettere di fare film ma quando ha sentito che si discuteva della
possibile privatizzazione della polizia, ha voluto girare ancora un film duro e
amaro e fa dire a Daniel rivolto ai poliziotti: «Fra un po’ privatizzeranno anche
voi».
Con il cinema di Ken
Loach si entra nelle vite dei personaggi passando direttamente dalla porta
principale, vivendoci insieme e affrontando con loro il senso d'impotenza e la
ricerca di un’alternativa. La storia di Daniel Blake, come tutte le altre
rappresentate da Loach, è una storia di uomo onesto che non si piega né alle
regole della burocrazia né ai compromessi facili. Il protagonista è oggettivamente un perdente, nel
senso e dal punto di vista materiale, che man mano perde tutto, è invece un
vincente sul piano etico e gli rimane ciò che non sono riusciti a togliergli,
cioè la dignità di persona.
Bravi tutti gli attori e ottima sceneggiatura risultato
dell’ormai consolidato rapporto con Paul Laverty, Io, Daniel Blake, il venticinquesimo film di Ken Loach, ha vinto
meritatamente la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes.
Ghisi Grütter
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