Con Hiam Abbass, Diamand Abou Abboud, Juliette Navis, Mohsen
Abbass, Moustapha Al Kar, Husam Chadat, Belgio/Francia 2017. Musica di Jean-Luc
Fafchamps.
Convivere con la paura
La
grande protagonista di “Une famille
syrienne” (il titolo originale) è
la paura, mentre la guerra siriana tra forze armate governative e ribelli, costituisce
lo scenario del film.
A
Damasco, sul palcoscenico di una casa vissuta come un bunker, c’è rimasta una sola famiglia che sopravvive reclusa al II
piano: Abou Monzen (Mohsen Abbass) con la nuora Oum Yazzan (Hiam Abbass), tre
nipoti di cui due femmine, l’amico di una delle nipoti, la fedele cameriera Dehlani
(Juliette Navis) e Halima (Diamand Abou Abboud) e Samir, una giovane coppia di
vicini con il neonato, ospiti temporanei. Il film narra i movimenti di queste persone
nell’arco delle ventiquattro ore, asserragliate nell’appartamento con le
finestre e le tende chiuse e le porte sprangate, tra bombe, furti e spari. La
presenza della guerra è, infatti, demandata ai rumori.
Oum
Yazzan è una vera resistente, nella vita ha conquistato la proprietà di una
casa che non vuole assolutamente lasciare. Ha una grande forza che le viene
anche dal dover essere protettiva nei confronti dei figli, ma è anche una ferrea
educatrice. È sicuramente una donna borghese, una signora abituata a
organizzare, gestire e comandare, che possiede una casa ben arredata e piena di
libri, e una cameriera a cui fa spolverare e lavare per terra, con le macerie fuori e senza più
l’acqua corrente in casa.
Il
nonno è un po’ vago, osserva i suoi libri negli scaffali, sembra un po’
assente, fuma una sigaretta dopo l’altra, è affettuoso con il suo nipotino, non
si capisce bene fino a che punto si renda conto di cosa stia succedendo e
lascia tutti i livelli decisionali in mano alla nuora. Però è anche fonte di
saggezza e così le suggerirà: «Lascia il mondo fuori, non vale più niente». Tre
donne coraggiose sono al centro del film, gli uomini o sono in battaglia, o
troppo piccoli o troppo vecchi, o assenti.
Una
cosa drammatica che mette in luce il regista belga Philippe Van Leeuw è come
gli istinti animaleschi vengano fuori amplificati dalla paura e come questa ci
possa perfino trasformare.
Oum
Yazzan è una donna di un realismo spietato - interpretata dalla splendida Hiam
Abbass che abbiamo già ammirato in “Il
giardino dei limoni” di Eran Riklis del 2008 - può ricordare nella
drammaticità alcuni personaggi interpretati da Anna Magnani. Per proteggere la
famiglia, lascia Samir ferito (o senza vita?) in mezzo al cortile senza
soccorrerlo né accertarsi che sia morto e per di più non dice nulla alla moglie
fino a sera quando poi ne è costretta. Halima – ben interpretata da Diamand
Abou Abboud, già vista nel recente “L’Insulto”
di Ziad Doueiri - a sua volta, aveva già preparato le valigie ed era pronta a
fuggire con marito e figlio sotto falso nome verso la Francia, attraverso il
Libano. Nel momento di difficoltà con l’avvento di due violenti sciacalli in
casa, pur di proteggere il bambino e la famiglia ospitante, accetta in cambio
di protezione di avere un rapporto sessuale con quello che sembra il capo, ma che
si trasformerà in uno stupro. Questa parte, che vale tutto il film, è
raccontata in un modo intenso trasmettendo tutta l’angoscia senza mai mostrare
i dettagli. Al di là della porta della cucina, tutta la famiglia nascosta sente
le urla e tutta la violenza che la giovane subisce, ma nessuno può (o vuole)
fare nulla.
“Une famille syrienne” è stato presentato
alla Berlinale 2017, dove ha ottenuto il Premio del pubblico; ha ottenuto anche
sei riconoscimenti ai Magritte Awards tra cui quello del miglior film, migliore
sceneggiatura e migliore regia.
Ghisi
Grütter
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