(Dal Quotidiano del Sud di ieri)
Sono su un treno, il regionale 3680 che da Reggio mi porta a Cosenza.
Pendolari, studenti, immigrati. È mattina presto e c'è un silenzio che
descriverti non saprei, direbbe il poeta. Un luogo-non luogo che mescola
sguardi e dolori, fatiche e odori, ma non li unisce. Nessuno parla, nessuno
racconta, nessuno discute. Neanche i colleghi di lavoro tra di loro, o i padri
con i figli, o gli sconosciuti con gli sconosciuti. Nella mia generazione, la
maggior parte degli amori nascevano sui treni, nel percorso sospeso tra la
partenza e l'arrivo, tra le cose che si lasciavano e quelle che si andavano a
cercare, in quella terra di mezzo fertile di curiosità, stupore, sorpresa.
Delle vite degli altri. Non so quante ne ho ascoltate nei miei lunghi viaggi, e
non so quante volte ho raccontato la mia, di vita.
Adesso, tutti zitti i miei compagni (compagni?) di viaggio, in accanito
dialogo (dialogo?) con il telefonino.
Una comunità di solitudini, livellata dai consumi medio-bassi e dai
comportamenti omologati, disideologizzata dalla crisi dei partiti, disincantata
dalla mancanza di futuro, persino deregionalizzata da uno slang italianoide
quasi ormai privo di "accenti" delle zone di provenienza.
Quel settanta per cento di Italiani - non per buttarla in politica, ma un po'
sì - che hanno detto all'unisono "No" all'ultima consultazione referendaria,
erano proprio questo: una comunità di solitudini, il trionfo della folla contro
l'individuo, della massa contro l'Autorità della moltitudine contro il Potere.
Perché non si trattava di un referendum qualsiasi. Non era "solo" dire sì o no
ad una legge, come per la consultazione sul divorzio, qui si trattava di dire
No al governo Renzi, che, essendo appunto forza di governo, aveva schierato
contro le barchette dei No una flotta di incrociatori: soldi, regalie,
concessioni, strategie, media, clientele, banche, sondaggi, promesse. Sulla
flottiglia di barchette intellettuali raffinati e beceri populisti,
nazionalisti protezionisti e democratici inclusivi, aristocratici incalliti e
irriducibili ribelli, che, coltivando ognuno davanti al suo telefonino
risentimenti e frustrazioni, sogni e bisogni, rabbia e amore, pacificamente e
democraticamente, hanno detto "No".
È così vero che nessuno può intestarsi la vittoria, e, ragionevolmente, non
l'ha fatto Grillo e neanche Salvini, né D'Alema né Berlusconi. E neanche Onida
o Zagrebelsky.
È stata la vittoria dell'accozzaglia silenziosa, quella che viaggia adesso con
me su questo treno, della quale, questa è la novità, ho capito di far parte
anch'io, alla faccia di quel po' di libri letti in più del mio vicino di posto
o di quelle due o tre cose che ho scritto più di lui, dei luoghi che ho
visitato o delle persone che ho incontrato. Non gli chiedo neanche se è di
destra o di sinistra, che m'importa?, al mio compagno di viaggio, so che siamo
tutti e due sulla stessa barchetta, sì insomma, sullo stesso treno, e che forse
ha votato anche lui No, e di questo dobbiamo tutti insieme ringraziare Renzi,
che ci ha fatto riscoprire il gusto di essere insieme solitudine e comunità,
solitudine e moltitudine, solitudine e massa. Solitudine e accozzaglia,
insomma, della quale, se non ve ne siete accorti, ho scritto un piccolo elogio.
Mariarosa Macrì
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