7 dicembre 2016

LA CITTA' E L'EFFIMERO: L'estate romana come modello di evoluzione urbana



 



 


All’interno del dottorato di ricerca in ”Paesaggi della città contemporanea” dell’Università Roma Tre, si è svolto il 5 dicembre scorso il Seminario “La città e l’effimero. L’estate romana di Renato Nicolini” di approfondimento sugli effetti urbani e sulle tematiche coinvolte, con l’organizzazione di Stefano Geraci e Raimondo Guarino.

Dopo un’esauriente introduzione storica all’effimero – di particolare interesse le feste barocche e la scenografia urbana – di Raimondo Guarino, Professore Ordinario di Storia del teatro a Roma Tre, si sono avvicendati vari interventi tutti molto interessanti tra cui ricordo quello di Maria Luisa Neri che ha inquadrato la persona di Renato Nicolini all’interno di una famiglia tutta di architetti e quello di Fabrizio Crisafulli sul “teatro dei luoghi” a Roma che ha mostrato varie interessanti installazioni da lui elaborate in occasioni diverse. Sono state presentate anche alcune sequenze dei film: Ciao Renato! di Paolo Luciani, Cristina e Roberto Torelli del 2012 e A proposito di Roma di Egidio Eronico del 1987. Alla fine della mattinata il film Utopia Utopia dell’indimenticabile Azio Cascavilla che, nonostante sia stato girato nel 1969, presenta ancora oggi numerosi spunti di riflessione su Roma. Sono sicura che Nanni Moretti abbia tratto alcuni spunti di humour e di caratterizzazione di personaggi da ciò che Nicolini e Cascavilla avevano proposto in questo film.

Ha seguito la lettura di Marilù Prati, attrice, autrice, adattatrice di testi teatrali e fedele compagna di Nicolini, di alcune pagine tratte dagli scritti Un romanzo di Architettura a Roma nel 1934. I diari di Redenzio R.A.M.I. (Mario De Renzi) di Renato Nicolini.

Ciò che mi ha interessato particolarmente nella giornata seminariale è stato l’intervento di Franco Purini L’estate romana come modello di evoluzione urbana. Il racconto dell’estate del 1979 da parte di uno dei protagonisti di allora, visto e riletto oggi in chiave propositiva, mi pare sia estremamente utile, non solo per i dottorandi che si stanno formando in questi anni, ma anche per tutti gli operatori culturali, architetti, cineasti e performers che partecipano a questi incontri.

Purini ha fornito un quadro sintetico degli anni ’60 in cui pittori, architetti e artisti vari si incontravano e condividevano le loro esperienze influenzandosi reciprocamente. Ha ricordato il ruolo culturale fondamentale che hanno avuto alcuni spazi della capitale come veri e propri centri di ricerca e di elaborazione culturale dove sperimentare nuove proposte artistiche e approfondire i rapporti fra varie arti e media. Il Filmstudio, nato nel 1967 in via degli Orti di Alibert in Trastevere, ha avuto un ruolo centrale con le sue promozioni e diffusioni del cinema di qualità mediante retrospettive di movimenti e di autori della storia del cinema, delle tendenze, e con rassegne personali di nuovi autori, festival di cinema sperimentale e così va. Il Folkstudio nato nel 1960 in una cantina di Via Garibaldi come studio del pittore e musicista Harold Bradley, ospitò vari musicisti nazionali e internazionali e perfino un quasi sconosciuto Bob Dylan, nel 1962. A Roma comunque c’era una tradizione teatrale di sperimentazione non sufficientemente riconosciuta. Basti pensare che già negli anni 1922/31 “Il Teatro degli indipendenti dei fratelli Bragaglia nelle cantine di Palazzo Tittoni in via degli Avignonesi, aveva messo in scena Bertold Brecht per primo in Italia.

Negli anni ’70 come antefatti della prima estate romana vari eventi; Franco Purini cita un testo del Cardinal Poletti “I mali di Roma” e “Controroma” che raccoglieva scritti di molti intellettuali dell’epoca, come ad esempio Alberto Moravia e Alberto Arbasino, che portarono alla ribalta tanti problemi della città spingendo alla riflessione. Nel giugno 1979 lo stesso Purini organizzò una mostra dl titolo “Ritorno a Roma: città, didattica, vita quotidiana” all’INARCH, Istituto Nazionale d’Architettura, centro della cultura architettonica romana dell’epoca.

Tutti eventi questi che sottolineavano la centralità dei problemi urbani romani divisi tra la dolce vita e la realtà di nuove borgate. Oltre a ciò, nella seconda parte della decade, vigevano la paura e l’insicurezza degli anni di piombo che tenevano a casa la maggior parte delle persone. A mio avviso anche altri fattori furono importanti e determinanti il successo delle varie Estati Romane di Renato Nicolini: l’apertura della metropolitana che collegò facilmente e per la prima volta zone marginali con il centro storico (la linea B esisteva in parte fin dal 1955 mentre la A fu inaugurata nel 1980) e, più tardi, l’apertura del Mc Donald a Piazza di Spagna nel 1986. I simboli della società di massa, e della sua contestazione, furono i protagonisti di quegli anni.

L’esperienza del Parco Centrale – che da un lato riprende il nome degli scritti di Walter Benjamin e dall’altra è la traduzione italiana del Central Park newyorkese - durante l’estate del 1979 si articolava su quattro interventi in quattro diversi quadranti della città costituendo, in tal modo, una sorta di quadrilatero: alla Caffarella, a Villa Torlonia, all’ex Mattatoio in Testaccio e in via Sabotino, nel quartiere borghese di Delle Vittorie. Una sorta di quattro “città dello spettacolo” in zone che avevano caratteristiche di centralità. Gli interventi avevano uno scopo provocatorio e dissacratorio, ma erano anche finalizzati al recupero di luoghi, di spazi urbani desueti e di edifici attraverso eventi culturali; l’ex Mattatoio e Villa Torlonia all’epoca erano, infatti, luoghi in disuso e abbandonati.

Così scrive Jack Lang, già Ministro della Cultura in Francia, nella Prefazione al libro Estate romana. 1976-85: un effimero lungo nove anni di Renato Nicolini: «La sua modalità operativa? Doppia: creare la sorpresa e il desiderio. Il suo credo? Da un lato – rivoluzione copernicana se ce n’è una -, fare della folla la protagonista dello spettacolo; dall’altro, abolire la gerarchia tra cultura d’élite e cultura popolare».

Le quattro scenografie urbane avevano altrettanti gradi di fisicità. Così spiegava Renato «Al polo più freddo la televisione; poi il coinvolgimento soltanto mentale del teatro (ma dove c’è anche più evidente invece il “corpo” dell’attore); ed i coinvolgimenti più totali della musica rock (dove il corpo si trasforma in voce, e l’attore diventa star) e, al polo più caldo, dove lo spettatore è esso stesso attore, il ballo, la discoteca».

Era stato previsto un intervento architettonico (effimero, naturalmente) alla Caffarella, nello spazio del Circo di Romolo, finalizzato al ballo: una pista rettangolare recintata da colonne simboliche, con una cabina per il disk-jockey e un’imponente piede di antico romano in cartapesta, da un lato come memoria storica e dall’altra come omaggio alla pop-art (colonne e piede provenivano dai laboratori scenografici di Cinecittà). Alla semiabbandonata Villa Torlonia (solo da pochi mesi al Comune) era stato attribuito un ruolo di comunicazione mediante un ponte metallico per i videogames e il bar all’italiana. Allo spazio di Foro Boario all’ex Mattatoio di Testaccio, era stato attribuito il ruolo di centro musicale con una serie di interventi articolati che consistevano nelle quinte d’ingresso, in due salette cinematografiche, nelle cabine centrali di proiezioni, nel doppio ristorante, nelle torri di servizio e nel grande palcoscenico per i concerti rock e jazz (ha ospitato tra gli altri artisti del calibro di Max Roche e Antony Braxton). Le colline artificiali contribuivano a fornire un contesto quasi una citazione in ricordo del ruolo della natura nel teatro greco.

L’intervento urbano che io stesa ricordo meglio, è quello composito realizzato in un’area di proprietà dell’Istituto Case Popolari tra via Sabotino e viale Angelico. Articolato su due lotti presentava da un lato la copia esatta del Teatro La Fede di Giancarlo Nanni e Manuela Kusterman, dall’altra un Teatro scientifico dentro un cubo bianco – e con in cima un albero d’arancio - che traeva la sua ispirazione dallo storico Teatro scientifico di Antonio Galli Bibiena costruito tra il 1767 e il 1769 nel Comune di Mantova. A destra trovava posto un boschetto d’alberi (nel segno teatrale di Dioniso) attraversato da una serpentina percorribile mentre a sinistra una grande piazza aperta di forma ovale con un grande Occhio centrale, progettato da Alfredo De Santis (nel segno speculare di Apollo), costituiva una sorta di simbolo illuminista del teatro possibile.

Molti giovani architetti all’epoca lavorarono insieme per questi progetti, oltre a Franco Purini, Laura Thermes e Duccio Staderini, i due giovanissimi neo-laureati Peppe De Boni e Ugo Colombari destinati poi a diventare “gli architetti dell’effimero” per antonomasia.

Per concludere vorrei dire che mi piacerebbe molto che la nuova Amministrazione del Campidoglio – oltre naturalmente a occuparsi di risolvere i problemi urgenti di mal funzionamento della Capitale - potesse ripartire dalle riflessioni sull’esperienza di quegli anni voluta e sostenuta da Renato Nicolini e dai suoi compagni, con uno spirito propositivo, promuovendo interventi culturali coordinati anche di recupero di parti della città in disuso per ridare ai cittadini fiducia e un rinnovato orgoglio di essere romani.

7 dicembre 2016

 

Ghisi Grütter

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