All’interno
del dottorato di ricerca in ”Paesaggi della città contemporanea”
dell’Università Roma Tre, si è svolto il 5 dicembre scorso il Seminario “La città e l’effimero. L’estate romana di
Renato Nicolini” di approfondimento sugli effetti urbani e sulle tematiche
coinvolte, con l’organizzazione di Stefano Geraci e Raimondo Guarino.
Dopo
un’esauriente introduzione storica all’effimero – di particolare interesse le
feste barocche e la scenografia urbana – di Raimondo Guarino, Professore
Ordinario di Storia del teatro a Roma Tre, si sono avvicendati vari interventi
tutti molto interessanti tra cui ricordo quello di Maria Luisa Neri che ha
inquadrato la persona di Renato Nicolini all’interno di una famiglia tutta di
architetti e quello di Fabrizio Crisafulli sul “teatro dei luoghi” a Roma che
ha mostrato varie interessanti installazioni da lui elaborate in occasioni
diverse. Sono state presentate anche alcune sequenze dei film: Ciao Renato! di Paolo Luciani, Cristina
e Roberto Torelli del 2012 e A proposito
di Roma di Egidio Eronico del 1987. Alla fine della mattinata il film Utopia Utopia dell’indimenticabile Azio
Cascavilla che, nonostante sia stato girato nel 1969, presenta ancora oggi numerosi
spunti di riflessione su Roma. Sono sicura che Nanni Moretti abbia tratto
alcuni spunti di humour e di
caratterizzazione di personaggi da ciò che Nicolini e Cascavilla avevano
proposto in questo film.
Ha
seguito la lettura di Marilù Prati, attrice, autrice, adattatrice di testi teatrali
e fedele compagna di Nicolini, di alcune pagine tratte dagli scritti Un romanzo di Architettura a Roma nel 1934.
I diari di Redenzio R.A.M.I. (Mario De Renzi) di Renato Nicolini.
Ciò
che mi ha interessato particolarmente nella giornata seminariale è stato
l’intervento di Franco Purini L’estate
romana come modello di evoluzione urbana. Il racconto dell’estate del 1979
da parte di uno dei protagonisti di allora, visto e riletto oggi in chiave propositiva,
mi pare sia estremamente utile, non solo per i dottorandi che si stanno
formando in questi anni, ma anche per tutti gli operatori culturali,
architetti, cineasti e performers che
partecipano a questi incontri.
Purini
ha fornito un quadro sintetico degli anni ’60 in cui pittori, architetti e
artisti vari si incontravano e condividevano le loro esperienze influenzandosi
reciprocamente. Ha ricordato il ruolo culturale fondamentale che hanno avuto alcuni
spazi della capitale come veri e
propri centri di ricerca e di elaborazione culturale dove sperimentare nuove
proposte artistiche e approfondire i rapporti fra varie arti e media. Il Filmstudio, nato nel 1967 in
via degli Orti di Alibert in Trastevere, ha avuto un ruolo centrale con le sue promozioni e diffusioni del
cinema di qualità mediante retrospettive di movimenti e di autori della storia
del cinema, delle tendenze, e con rassegne personali di nuovi autori, festival
di cinema sperimentale e così va. Il Folkstudio nato nel 1960 in una
cantina di Via Garibaldi come studio del pittore e musicista Harold Bradley,
ospitò vari musicisti nazionali e internazionali e perfino un quasi sconosciuto
Bob Dylan, nel 1962. A Roma comunque c’era una tradizione teatrale di
sperimentazione non sufficientemente riconosciuta. Basti pensare che già negli
anni 1922/31 “Il Teatro degli indipendenti”
dei fratelli Bragaglia nelle cantine di Palazzo Tittoni in via degli
Avignonesi, aveva messo in scena Bertold Brecht per primo in Italia.
Negli
anni ’70 come antefatti della prima estate romana vari eventi; Franco Purini
cita un testo del Cardinal Poletti “I mali di Roma” e “Controroma” che
raccoglieva scritti di molti intellettuali dell’epoca, come ad esempio Alberto Moravia
e Alberto Arbasino, che portarono alla ribalta tanti problemi della città spingendo
alla riflessione. Nel giugno 1979 lo stesso Purini organizzò una mostra dl
titolo “Ritorno a Roma: città, didattica, vita quotidiana” all’INARCH, Istituto
Nazionale d’Architettura, centro della cultura architettonica romana dell’epoca.
Tutti
eventi questi che sottolineavano la centralità dei problemi urbani romani
divisi tra la dolce vita e la realtà
di nuove borgate. Oltre a ciò, nella seconda parte della decade, vigevano la
paura e l’insicurezza degli anni di piombo che tenevano a casa la maggior parte
delle persone. A mio avviso anche altri fattori furono importanti e
determinanti il successo delle varie Estati Romane di Renato Nicolini:
l’apertura della metropolitana che collegò facilmente e per la prima volta zone
marginali con il centro storico (la linea B esisteva in parte fin dal 1955
mentre la A fu inaugurata nel 1980) e, più tardi, l’apertura del Mc Donald a
Piazza di Spagna nel 1986. I simboli della società di massa, e della sua
contestazione, furono i protagonisti di quegli anni.
L’esperienza
del Parco Centrale – che da un lato riprende il nome degli scritti di Walter
Benjamin e dall’altra è la traduzione italiana del Central Park newyorkese - durante l’estate del 1979 si articolava
su quattro interventi in quattro diversi quadranti della città costituendo, in
tal modo, una sorta di quadrilatero: alla Caffarella, a Villa Torlonia, all’ex
Mattatoio in Testaccio e in via Sabotino, nel quartiere borghese di Delle
Vittorie. Una sorta di quattro “città dello spettacolo” in zone che avevano
caratteristiche di centralità. Gli interventi avevano uno scopo provocatorio e
dissacratorio, ma erano anche finalizzati al recupero di luoghi, di spazi
urbani desueti e di edifici attraverso eventi culturali; l’ex Mattatoio e Villa
Torlonia all’epoca erano, infatti, luoghi in disuso e abbandonati.
Così
scrive Jack Lang, già Ministro della Cultura in Francia, nella Prefazione al
libro Estate romana. 1976-85: un effimero
lungo nove anni di Renato Nicolini: «La sua modalità operativa?
Doppia: creare la sorpresa e il desiderio. Il suo credo? Da un lato –
rivoluzione copernicana se ce n’è una -, fare della folla la protagonista dello
spettacolo; dall’altro, abolire la gerarchia tra cultura d’élite e cultura popolare».
Le
quattro scenografie urbane avevano altrettanti gradi di fisicità. Così spiegava
Renato «Al
polo più freddo la televisione; poi il coinvolgimento soltanto mentale del
teatro (ma dove c’è anche più evidente invece il “corpo” dell’attore); ed i
coinvolgimenti più totali della musica rock (dove il corpo si trasforma in
voce, e l’attore diventa star) e, al polo più caldo, dove lo spettatore è esso
stesso attore, il ballo, la discoteca».
Era stato
previsto un intervento architettonico (effimero, naturalmente) alla Caffarella,
nello spazio del Circo di Romolo, finalizzato al ballo: una pista rettangolare recintata
da colonne simboliche, con una cabina per il disk-jockey e un’imponente piede di antico romano in cartapesta, da
un lato come memoria storica e dall’altra come omaggio alla pop-art (colonne e piede provenivano dai
laboratori scenografici di Cinecittà). Alla semiabbandonata Villa Torlonia
(solo da pochi mesi al Comune) era stato attribuito un ruolo di comunicazione
mediante un ponte metallico per i videogames
e il bar all’italiana. Allo spazio di Foro Boario all’ex Mattatoio di Testaccio,
era stato attribuito il ruolo di centro musicale con una serie di interventi articolati
che consistevano nelle quinte d’ingresso, in due salette cinematografiche, nelle
cabine centrali di proiezioni, nel doppio ristorante, nelle torri di servizio e
nel grande palcoscenico per i concerti rock e jazz (ha ospitato tra gli altri
artisti del calibro di Max Roche e Antony Braxton). Le colline artificiali
contribuivano a fornire un contesto quasi una citazione in ricordo del ruolo
della natura nel teatro greco.
L’intervento
urbano che io stesa ricordo meglio, è quello composito realizzato in un’area di
proprietà dell’Istituto Case Popolari tra via Sabotino e viale Angelico.
Articolato su due lotti presentava da un lato la copia esatta del Teatro La
Fede di Giancarlo Nanni e Manuela Kusterman, dall’altra un Teatro scientifico
dentro un cubo bianco – e con in cima un albero d’arancio - che traeva la sua
ispirazione dallo storico Teatro scientifico di Antonio Galli Bibiena costruito
tra il 1767 e il 1769 nel Comune di Mantova. A destra trovava posto un boschetto
d’alberi (nel segno teatrale di Dioniso) attraversato da una serpentina
percorribile mentre a sinistra una grande piazza aperta di forma ovale con un
grande Occhio centrale, progettato da Alfredo De Santis (nel segno speculare di
Apollo), costituiva una sorta di simbolo illuminista del teatro possibile.
Molti
giovani architetti all’epoca lavorarono insieme per questi progetti, oltre a
Franco Purini, Laura Thermes e Duccio Staderini, i due giovanissimi neo-laureati
Peppe De Boni e Ugo Colombari destinati poi a diventare “gli architetti
dell’effimero” per antonomasia.
Per
concludere vorrei dire che mi piacerebbe molto che la nuova Amministrazione del
Campidoglio – oltre naturalmente a occuparsi di risolvere i problemi urgenti di
mal funzionamento della Capitale - potesse ripartire dalle riflessioni
sull’esperienza di quegli anni voluta e sostenuta da Renato Nicolini e dai suoi
compagni, con uno spirito propositivo, promuovendo interventi culturali
coordinati anche di recupero di parti della città in disuso per ridare ai
cittadini fiducia e un rinnovato orgoglio di essere romani.
7
dicembre 2016
Ghisi
Grütter
Nessun commento:
Posta un commento