Con Pio Amato, Koudous Sihon, Iolanda Amato, Damiano Amato. Fotografia Tim Curtin. Musica Dan Romer.
Come si diventa grandi a Ciambra
Ciambra
è una piccola comunità Rom calabrese insediatasi nella via omonima alla
periferia di Gioia Tauro, e Jonas Carpignano è il trentatreenne regista che ha scelto
di vivere in quella zona e di raccontare le loro condizioni di vita. Il film,
di fatto, fornisce l’occasione di uno slice
of life anche su varie comunità che vivono in quel contesto, e sulla problematica
dei loro rapporti. La storia narrata dal film è quella dell’iniziazione del
quattordicenne Pio Amato, che diventerà adulto attraverso una serie di prove. La
famiglia Amato è una grande famiglia Rom, una fra tante, che vive in una condizione
marginale. I bambini non sanno leggere, non frequentano la scuola, ma «a
tre anni sanno già cambiare una gomma da soli e a 11 guidare un camion»
come racconta il giovane regista Carpignano, presente all'anteprima
dell'Arena Nuovo Sacher per introdurre insieme a Nanni Moretti
il film. C’è Jolanda, una sorta di mater
familias che gestisce tutto e prende le decisioni coinvolgendo il marito, che
talvolta è in prigione o agli arresti domiciliari. Pio, un adolescente che ha
fretta di crescere, beve e fuma già come un adulto (ma non fuma anche il
fratellino di tre anni?). I suoi modelli di vita sono rappresentati in primis dal nonno, che rimpiange un
passato di libertà, dal padre e dal fratello. Uno dei traffici che svolgono i
maschi della comunità è il riciclaggio e la trasformazione del rame (rubato)
che una volta fuso viene venduto a peso. Per il resto sono furti di diversa
entità, dalle auto in sosta alle valigie sui treni. Ma il racket è controllato
dagli “italiani” (‘ndrangheta?), che prendono il pizzo e che spesso mettono in
rapporto il derubato con i rapinatori per una restituzione sotto compenso. Tutta
la vita della famiglia è costellata da illegalità anche nelle cose di ordinaria
amministrazione come ad esempio l’aggancio abusivo della luce.
Vivono
e lavorano anch’essi nella piana di Gioia Tauro, i braccianti africani
(chiamati genericamente “marocchini” dai Rom), provenienti prevalentemente dal Ghana
e dalla Nigeria. Sembrerebbe, in generale, che gli africani e i rom abbiano una
specie di convivenza pacifica nel relativo rispetto dei propri ruoli e nel
distacco dell’ignorarsi reciprocamente. I neri vivono in una tendopoli vicina
all’insediamento della famiglia Amato. La loro vita si svolge in collettività,
sono allegri, colorati, rumorosi e ospitali, in palese contrasto con quello che
la società malavitosa locale esprime. Pio stringe amicizia con il personaggio
impersonato dal bellissimo Koudous Sihon, al quale ricorre per ogni affare –
rivendita di I-pad o di altri oggetti
– e per ogni altro problema, in assenza di attenzioni familiari. Alcune scene
sono bellissime come quella dell’accoglimento di Pio nella comunità nera quando
arriva con il televisore nuovo, in tempo per vedere la partita di calcio del Ghana.
Così pure alcuni momenti di grande dolcezza nella crescita del rapporto di
amicizia del tra Pio e Koudous. Ma quando il fratello Cosimo glielo richiederà come
una delle prove della sua acquisita maturità e con le lacrime negli occhi, Pio
tradirà l’amico in nome la famiglia.
Carpignano
ha voluto girare una sorta di documentario su questa realtà sociale. Ma più che
sulla comunità è stato un film con la comunità. Un cinema-verità dove
il regista non ha mai imposto un modello sul reale e ha lasciato che, in
qualche modo, il film si costruisse da solo riprendendo brani di vita della
famiglia Amato. Così afferma: «Il film è stato adattato
alla vita reale, pur mantenendo la struttura drammatica del racconto». Penso
che il lavoro svolto da Jonas Carpignano sia meritevole di lodi sia per le
intenzioni, sia per lo spirito con cui ha condotto il lavoro. Il suo desiderio è di mostrare una realtà
per come viene vissuta dai suoi protagonisti, senza scorciatoie o
edulcorazioni, perché il problema è proprio quello di poter imparare ad
accettare gli altri.
Inoltre, il suo è molto più che un film neorealista con attori
della strada, e si legge tra le righe che il giovane regista possiede una buona
cultura cinematografica nella confezione del film. È molto probabile che Jonas
abbia visto Educazione Siberiana di
Gabriele Salvatores del 2013, dove il giovane Kolyma cresce in simbiosi con Gagarin,
il suo migliore amico, sotto la supervisione del nonno, capo della comunità
siberiana, in un villaggio povero della Transnitria, nella Moldavia Orientale.
Oppure il più recente Codice Criminale
di Adam Smith del 2017, che mostra la vita della famiglia di Colby e
Chad Cutler, che vive in una comunità seminomade nel Regno Unito, che di giorno
vanno a caccia (bracconaggio) e di notte rubano nelle case, con macchine rubate
anch’esse. Tutti bianchi e cattolici di origine irlandese, criminali da
generazioni e in continuo conflitto con la polizia. Rimane solo un
dubbio su tutta l’operazione del regista: non potrebbe il film essere
strumentalizzato per fomentare un pregiudizio con la generalizzazione sulla
vita dei Rom ai limiti del legale?
Martin
Scorsese ha deciso di finanziare il film con i fondi dedicati
ai filmmaker emergenti, dopo
aver visto il libro (prevalentemente di foto) elaborato dallo stesso regista. Jonas
Carpignano è un giovane italo-americano cresciuto a New York che ha già ottenuto
vari premi con Mediterranea del 2015 come,
ad esempio, il Telia Film Award a Stoccolma nel 2015 per la
Migliore Opera Prima e per il miglior attore a Koudous Seihon. A
Ciambra è già stato premiato come Miglior Film
Europeo al 70esimo Festival di Cannes ed è in concorso per
gli European Film Awards 2017 nella selezione «Contemporary World Cinema» del
Toronto Film Festiva
Ghisi
Grütter
Nessun commento:
Posta un commento