6 aprile 2016

VERITA' PER GIULIO: IL GOVERNO EGIZIANO CON LE SPALLE AL MURO?





Sulle cause della tragica morte di Giulio Regeni il governo egiziano ha detto di tutto e di più. Probabilmente pensava di aver a che fare con l'opinione pubblica locale , terrorizzata dai metodi a dir poco fascisti che  il governo riserva agli oppositori. Anche il governo italiano si è trastullato nei minuetti della diplomazia senza rendersene conto che dall'altra parte prendevano tempo e contavano di stancarlo: dopo una coltre di silenzio si sarebbe abbassata sul caso e avrebbe ricoperto tutto. Ma non avevano fatto i conti con l'opinione pubblica italiana e con le mamme italiane. Prima la manifestazione davanti sll'smbasciata egiziana organizzata da Amnesty e a cui hanno aderito moltissime associazioni e liberi cittadini, poi la conferenza stampa organizzata da Luigi Manconi con i genitori di Giulio hanno definitivamente obbligato il governo a prendere una posizione più netta nei confronti del governo egiziano e a denunciare pubblicamente i loro tentativi di depistaggio e la loro scarsa collaborazione. Ora, alla vigilia dell'arrivo  di una delegazione egiziana a Roma con ll' l'intero dossier su Giulio  ( si spera), arriva una mail anonima, che come tutte le lettere anonime dovrebbero essere ignorate, ma , perchè ben informata, si è meritata un' attenzione particolare. Chi l'ha inviata?  Si sta forse aprendo un varco nel muro  di omertà degli apparati d'intelligence del governo egiziano? E' una manovra per incolpare qualche pezzo grosso per farlo passare da capro espiatorio e magari toglierselo di torno? Con gli egiziani tutto è possibile. Sta di fatto che la vicenda non è chiusa e ci saranno sicuramente degli sviluppi.

Domenico Fischetto

PER APPROFONDIRE
Il retroscena
Una mail in arabo acquisita dalla procura di Roma alla vigilia del vertice tra investigatori in programma domani: “Può averla scritta solo qualcuno molto informato”
“Ecco chi ha ucciso Giulio” l’accusa anonima ai vertici che svela tre dettagli segreti

C’è ora un Anonimo nel caso Regeni. E racconta una storia che ricostruisce cosa sarebbe accaduto a Giulio tra il 25 gennaio e il 3 febbraio. Una storia che porta dritta al cuore degli apparati di sicurezza egiziani, civili e militari, della polizia di Giza, del Ministero dell’Interno, della Presidenza. L’Anonimo scrive a Repubblica da qualche giorno da un account mail Yahoo, alternando, nei testi, l’inglese, qualche parola di italiano, e la sua lingua, l’arabo. Si dice della polizia segreta egiziana. Lascia intendere di essere collettore e veicolo di informazioni di chi non può esporsi in prima persona, se non a rischio della vita.

Delle sue mail sono in possesso il pm Sergio Colaiocco e il legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. E, come ogni Anonimo, l’attendibilità del suo racconto va presa con assoluto beneficio di inventario. Se non fosse per una circostanza. L’Anonimo svela almeno tre dettagli delle torture inflitte a Giulio Regeni mai resi pubblici e conosciuti solo dagli inquirenti italiani, perché corroborati dall’autopsia effettuata sul cadavere di Giulio nell’Istituto di medicina legale di Roma. Chi scrive, insomma, chiunque esso sia, sapeva e sa qualcosa che potevano conoscere solo i torturatori di Giulio o chi dei suoi tormenti è stato testimone.

IL SEQUESTRO
«L’ordine di sequestrare Giulio Regeni — scrive l’Anonimo — è stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza», il distretto in cui Giulio scompare il 25 gennaio. Lo stesso ufficiale con alle spalle una condanna per torture che, dopo il ritrovamento del cadavere, accrediterà prima la tesi dell’incidente stradale e quindi quella del delitto a sfondo omosessuale. «Fu Shalabi, prima del sequestro, a mettere sotto controllo la casa e i movimenti di Regeni e a chiedere di perquisire il suo appartamento insieme ad ufficiali della Sicurezza Nazionale». E «fu Shalabi, il 25 gennaio, subito dopo il sequestro, a trattenere Regeni nella sede del distretto di sicurezza di Giza per ventiquattro ore».

“SCIOGLIETEGLI LA LINGUA”
Nella caserma di Giza, Giulio «viene privato del cellulare e dei documenti e, di fronte al rifiuto di rispondere ad alcuna domanda in assenza di un traduttore e di un rappresentante dell’Ambasciata italiana», viene pestato una prima volta. Chi lo interroga «vuole conoscere la rete dei suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani e quali iniziative stessero preparando». Quindi, tra il 26 e il 27 gennaio, «per ordine del Ministero dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar», viene trasferito «in una sede della Sicurezza Nazionale a Nasr City».
Di fronte ai suoi nuovi aguzzini, Giulio continua a ripetere di non avere alcuna intenzione di parlare se non di fronte a un rappresentante della nostra ambasciata. «Viene avvertito il capo della Sicurezza Nazionale, Mohamed Sharawy, che chiede e ottiene direttive dal ministro dell’Interno su come sciogliergli la lingua.

E così cominciano 48 ore di torture progressive», durante le quali, per fortuna, Giulio comincia ad essere semi-incosciente. Viene «picchiato al volto», quindi «bastonato sotto la pianta dei piedi», «appeso a una porta» e «sottoposto a scariche elettriche in parti delicate», «privato di acqua, cibo, sonno», «lasciato nudo in piedi in una stanza dal pavimento coperto di acqua, che viene elettrificata ogni trenta minuti per alcuni secondi». «Bastonature sotto i piedi». Il dettaglio svelato dall’Anonimo era sin qui ignoto ed è confermato dalle evidenze dell’autopsia effettuata in Italia. Non è il solo.

NELLE MANI DEI MILITARI
Tre giorni di torture non vincono la resistenza di Giulio. Ed è allora — ricostruisce l’Anonimo — che il ministro dell’Interno decide di investire della questione «il consigliere del Presidente, il generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato Al Sisi, dispone l’ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari, anche questa a Nasr city, perché venga interrogato da loro». È una decisione che segna la sorte di Giulio. «Perché i Servizi militari vogliono dimostrare al Presidente che sono più forti e duri della Sicurezza Nazionale ».

Giulio «viene colpito con una sorta di baionetta» e «gli viene lasciato intendere che sarebbe stato sottoposto a waterboarding, che avrebbero usato cani addestrati» e non gli avrebbero risparmiato «violenze sessuali, senza pietà, coscienza, clemenza ». «Una sorta di baionetta». È un secondo, importante dettaglio. Corroborato, anche questo, dal tipo di lesioni da taglio sin qui non divulgati dell’autopsia effettuata in Italia.

L’orrore non ha fine.

«Regeni entrò in uno stato di incoscienza. Quando si svegliava, minacciava gli ufficiali del Servizio militare dicendogli che l’Italia non lo avrebbe abbandonato. La cosa li fece infuriare e ripresero a picchiarlo ancora più violentemente ». Gli stati di incoscienza di Regeni sono a questo punto sempre più lunghi. Come confermeranno i versamenti cerebrali riscontrati dall’autopsia. Ma la violenza non si interrompe. «Perché i medici militari visitano il ragazzo e sostengono che sta fingendo di star male. Che la tortura può continuare».

Questa volta «con lo spegnimento di mozziconi di sigaretta sul collo e le orecchie». Finché Giulio non crolla «e a nulla valgono i tentativi dei medici militari di rianimarlo».

«I segni di sigaretta su collo e orecchie». È il terzo dettaglio, riscontrato dall’autopsia italiana, che l’Anonimo dimostra di conoscere pur essendo pubblicamente ignoto. Ed è quello che spiega il perché nella prima autopsia al Cairo il corpo di Giulio venga mutilato con l’asportazione dei padiglioni auricolari.

IN UNA CELLA FRIGORIFERA
Dopo la sua morte, sempre secondo quello che sostiene l’anonimo, «Giulio viene messo in una cella frigorifera dell’ospedale militare di Kobri al Qubba, sotto stretta sorveglianza e in attesa che si decida che farne». La «decisione viene presa in una riunione tra Al Sisi, il ministro dell’Interno, i capi dei due Servizi segreti, il capo di gabinetto della Presidenza e la consigliera per la sicurezza nazionale Fayza Abu al Naja », nelle stesse ore in cui il ministro Guidi arriva al Cairo chiedendo conto della scomparsa di Regeni. «Nella riunione venne deciso di far apparire la questione come un reato a scopo di rapina a sfondo omosessuale e di gettare il corpo sul ciglio di una strada denudandone la parte inferiore. Il corpo fu quindi trasferito di notte dall’ospedale militare di Kobri a bordo di un’ambulanza scortata dai Servizi segreti e lasciato lungo la strada Cairo-Alessandria».

L’Anonimo promette di scrivere ancora e si affida a un verso del Corano. «Dio non ti chiediamo di respingere il destino, ma ti chiediamo di essere clemente».

Carlo Bonini Repubblica 6 aprile 2016


Caso REGENI ed ENI

05/04/2016
Valter Vecellio  
 
 
Tutti abbiamo ascoltato le composte parole dei genitori di Giulio Regeni, il ricercatore ammazzato al Cairo, dopo giorni di atroci torture; e poi l’impegno di esponenti delle istituzioni e dei partiti: si vuole verità, si chiede giustizia. Certo: sono inaccettabili i depistaggi messi in essere.
Gioca sporco, l’Egitto. E’ possibile che Regeni sia rimasto vittima di faide del mukhabarat del Cairo, notoriamente spietati. C’è chi si pone la domanda classica: cui prodest? Vecchie volpi che ben conoscono il mondo torbido dei “servizi”, avvertono che è proprio la domanda da scartare. L’unica certezza è che della promessa inchiesta trasparente non si vede neppure l’ombra.
Lo stesso giorno della conferenza dei genitori di Giulio - coincidenza, certo: il caso fa bene le cose - si apprende che l'ENI negozia con la russa Lukoil la cessione del 20% del consorzio di Zohr, la più grande scoperta di gas nel Mediterraneo fatta dall'ENI lo scorso agosto. L'Egitto ha dato l’OK a fine febbraio. Il progetto vale circa 5 miliardi di euro, 12 di investimento. Tanti soldi. Per questo ENI “apre” ai russi. Zohr è una formidabile boccata d’ossigeno per il regime di Abdel Fattah al Sisi; e i russi sono tra i suoi più strenui sostenitori. Egitto e Russia sono molto interessati al controllo di quella parte di Libia che si chiama Cirenaica; anche noi italiani in Libia abbiamo molti interessi; ENI per prima. Tutto può essere, ma chissà se l’ambasciatore italiano al Cairo sarà davvero richiamato a Roma. Con interessi come questi in ballo, come tutti, siamo molto “pragmatici”. Follow the money: è sempre una buona regola per cercare di capire quello che accade.

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