25 giugno 2016

•Quando capirà la ‘sinistra’ d’establishment che Renzi è l’apoteosi del berlusconismo?

 


di Paolo Flores d'Arcais
Parola di Renzi: "è stato un voto per il cambiamento, dunque dobbiamo accelerare con le nostre riforme". Roba da matti! Nemmeno un dadaista in piena forma avrebbe potuto creare un "non sequitur" talmente ciclopico.

Riflettiamo appena appena (anche Renzi può arrivarci, magari con la sollecitazione di Filippo Sensi): il voto al M5S è stato effettivamente e ovviamente un voto per il cambiamento. Ma rispetto a cosa e a chi? Rispetto alla morta gora del "ventennio che non passa", cioè l'impasto di berlusconismo a destra e inciucio a "sinistra". Mentre le "riforme" di Renzi costituiscono esattamente l'inveramento e il compimento del progetto di regime berlusconiano, delle controriforme del pregiudicato di Arcore, in gran parte fermate per anni dalle lotte della società civile.

Jobs Act, riforma Rai, aggressione sistematica all'indipendenza della magistratura e edulcoramento di ogni legge anticorruzione a antimafia, leggi bavaglio, e infine controriforma costituzionale, sono berlusconismo puro. È il segreto di Pulcinella, lo ha ripetuto in forma schietta e comprensibile perfino a Serracchiani e Guerini una Pci>Ds>Pd inossidabile, ma alla fine disgustata e perciò lucida, Sabrina Ferilli.

Resta invece sbalorditivo che una verità così lapalissiana e confortata da ogni riscontro empirico (basta fare il confronto fra le leggi e i progetti dell'epoca di Arcore e di quella di Rignano) stenti ancora a farsi strada nelle sinapsi di noti e per definizione autorevoli commentatori, editorialisti e intellettuali della "sinistra" d'establishment. I quali continuano a propinare in articolesse e talk show labirintiche spiegazioni in contraddizione l'una con l'altra (e spesso con se stessa), quasi che decifrare l'evidenza del perché della sconfitta di Renzi sia arduo come la stele di Rosetta prima di Champollion.

Nulla di più patetico e irrealistico, perciò, degli ammonimenti che qualcuno rivolge a Renzi di cambiare atteggiamento: ricordano quelli ancor più ridicoli rivolti a Berlusconi per vent'anni di realizzare davvero una "rivoluzione liberale" (che sarebbe cosa gobettiana!) anziché far ruotare l'intera politica attorno ai propri interessi privati.

Renzi, a differenza di Berlusconi e dunque più radicatamente di Berlusconi, è berlusconiano per convinzione profonda, anzi, come abbiamo scritto prima ancora che andasse al governo, è berlusconiano e soprattutto marchionnista, crede davvero che modernità siano i manager che guadagnano mille volte il salario di un operaio, e che l'impegno per una crescente eguaglianza sia novecentesco o addirittura ottocentesco.

Per questo non c'entra nulla con la sinistra, né moderna, né futura né passata. E' un democristiano mannaro ovviamente diventato berlusconiano, che per furbizia tattica ha trovato in un Pd in disarmo e avvitamento da inciucio (Veltroni D'Alema e Bersani sono i "produttori" di Renzi, anche se ora lo detestano) il terreno ideale per una "scalata" che nella destra di Berlusconi gli sarebbe restata preclusa.

Renzi non è affatto un rottamatore del sistema del privilegio, della Casta e delle cricche, dell'intreccio politico-affaristico con propaggini criminali che fa il bello e il cattivo tempo in Italia in modo crescente da un quarto di secolo. Ne costituisce l'apoteosi: ha rottamato cricche ormai obsolete con la sua Nuova Cricca, tutto qui.

Il referendum di ottobre sarà perciò lo scontro tra queste due Italie: l'establishment del privilegio e le lotte e le speranze dei girotondi, dell'antimafia, delle piazze contro il bavaglio, del "vaffa" di Grillo che ha saputo diventare forza politica di radicale cambiamento (con contraddizioni che non abbiamo mai nascosto e cui continueremo a non mettere la sordina, ma con una lungimiranza e lucidità nel giudicare l'intero ceto politico che avevamo sottovalutato grandemente e che a noi talvolta sono mancate).

Gli aedi del renzismo inviteranno al Sì dicendo che il No significa Berlusconi e Salvini anziché Zagrebelsky e Appendino, Raggi e Rodotà, e il meglio del costituzionalismo, e la meglio gioventù, e chi non si piega a rottamare la Costituzione nata dalla Resistenza ma vuole invece realizzarla pienamente (unica prospettiva politica davvero moderna e innovativa).

Non è così: i Salvini e Berlusconi concioneranno per il No, ma solo "pro domo", per concorrenza con Renzi non per alternativa. E se Renzi sarà sconfitto il futuro a loro sarà precluso, checché si illudano in contrario e checché cerchino di spacciare gli opinionisti d'ordinanza. Il futuro – se a ottobre vince il No – toccherà alla forze che vogliono più giustizia e più libertà, e che oggi come oggi  hanno nel M5S il loro cruciale vettore.

(22 giugno 2016)

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