10 giugno 2016

Voterò no al referendum costituzionale

Un caro amico di penna ci ha detto che votare no alla riforma costituzionale, è chiarissimo indizio di conservatorismo politico, ma anche sociale.
Sembra che, se non si aderisse al processo di svecchiamento della Carta Costituzionale – nella sua parte “organizzativa” (che è poi quella che conta – ricordare Calamandrei) si rivelerebbe la propria indole di perdenti di fronte al futuro di chi sa interpretarlo con coraggio e abnegazione, mettendo sul piatto persino la propria vita politica, novello Cincinnato (personaggio peraltro infido, al di là delle oleografie).
Intendo rispondere ad Aldo, dalla mia posizione di perdente, non nei confronti di Renzi, ma dell’arroccamento difensivo delle elite, cioè dell’andazzo politico dell’occidente (e non solo), contro cui poco o niente si può fare (l’articolo citato da Paolo Grippo, secondo me eccellente nell’analisi, scontato nella conclusione, annovera tra i populisti anti-sistema con Trump, anche Sanders e i fascisti europei; essendo anti sistema, nel mio piccolo,  ci sono anche io, insieme a Casa Pound.Tutti gli anti-sistema appaiono bigi. C’è molto da discutere su definizioni unificanti, fornite dal “sistema” stesso).
Renzi non è nè un innovatore nè un rottamatore:
Rottama soltanto chi, tra i suoi, dissente a torto o a ragione (non sopporta contradditori casalinghi), non certo i fuoriusciti dalla diaspora berlusconiana o, in genere, i gaglioffi della vecchia politica e i professionisti del salto della quaglia.
Ha il discutibile merito di aver fiutato il vento che spira dall’ovest e dal nord, e di aver scelto il campo, intruppandosi nello spaventato manipolo di reggitori del potere occidentale.
E’ in questo contesto, secondo me e senza svalutare l’opinione di nessuno, che bisogna guardare alla riforma renziana.
Credo tutti siano d’accordo che la miglior procedura per formulare o modificare profondamente una Costituzione, consista nella elezione, su base strettamente proporzionale, di una assemblea costituente.
Credo anche che tutti si convenga che oggi, una assemblea così eletta, non sarebbe in grado di produrre risultati.
Il flop sarebbe lo stesso ovunque, non solo in Italia.
Ci vuole una visione comune della società e del futuro oltre alla fiducia di tutti e alla credibilità di ciascuno per scelte comuni.
Se appare vano invocare una costituente perchè la società è lacerata, è ovvio che se uno si incaponisce a voler riformare la Carta, deve farla con chi ci sta.
Risultati vincenti, ma non esaltanti per il sì (prevedibili) e convinzione largamente condivisa che la riforma sia un atto di parte, ne impediranno l’unanime accettazione.
Se ho ragione, la convinzione che l’eliminazione del bicameralismo perfetto sia capace di snellire gli iter delle leggi e consenta di promulgarne di buone, velocemente, appare più come un desiderio del presidente del consiglio dei ministri, che una realtà.
Non è una snella meccanica costituzionale che rende fluido il processo legislativo.
Ci sono – nonostante i renziani glissino sempre su questo punto – grandi paesi con bicameralismo perfetto (USA, Canada, Australia...) che hanno una efficace produttività legislativa e altri con bicameralismo imperfetto o addirittura con sistema monocamerale la cui produttività legislativa è di molto inferiore.
Senza andare tanto lontano, qui, in casa nostra, c’è stato un lungo periodo in cui il bicameralismo perfetto ha funzionato molto bene. La speranza che, eliminando la staffetta, la situazione migliori è probabilmente utopica, a causa della frammentazione sociale, della sfiducia nelle elite di potere, nella consapevolezza che il “sistema” è disegnato in modo tale da favorire ingiustizia sociale e accumulo della ricchezza in poche mani..
Per di più, il sistema proposto è abbastanza bizantino da lasciar prevedere guai procedurali frequenti.
Le difficoltà procedurali del bipartitismo italiano non sono intrinseche al meccanismo decisionale dettato dalla Costituzione, ma derivano dalla legge elettorale costruita apposta perchè le maggioranze alla camera fosero impossibili al senato.
Una riforma complessiva della legge elettorale per la Camera e anche per il Senato, sarebbe stata più che bastevole a risolvere il problema.( insieme magari a una seria riforma regionale, ben al di là di quella timida del titolo quinto: eliminazione delle regioni a statuto speciale;riduzione del numero delle regioni sulla base della “auto sostenibilità” – nessuna, tranne la Lombardia , oggi lo è –)
Renzi sa benissimo che non basta e deve scegliere la strada più impervia, perchè, pur graniticamente convinto della bontà del “pensiero unico”, sa che i populismi anti sistema (accetto per brevità questa definizione, anche se sembra denotarne una critica) non hanno inceppato i meccanismi decisionali ma la sottostante “visione comune” della società. Essendo pro sistema, ha bisogno di un meccanismo che gli consenta di proteggerlo, con regole che riducano di molto le possibilità di dissenso. E’ la strada maestra su cui si sono incamminati tutti gli stati occidentali. Al di fuori dell’occidente, la generalmente assente esperienza di democrazia parlamentare ha reso l’instaurazione (o il mantenimento) di regimi semi o interamente dittatoriali soft o hard, di molto facile attuazione.
Il guaio è che sistemi come quelli che si stanno costruendo in occidente, potrebbero, alla fine (e, sono certo, contro la volontà dei proponenti) essere ottimi grimaldelli per gruppi senza scrupoli (la storia non insegna niente, ma dovremmo ricordare che i fascismi europei e non solo, sono tutti nati legalmente,o in nome di repressione di “palesi illegalità” contro la dignità della “Patria”)     
Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: in Europa (Spagna senza governo; Germania costretta alla grande coalizione e spaventata dalle nuove elezioni, Francia che arranca esautorando il potere legislativo già compromesso da una costituzione semipresidenziale gollista) Scardinamento comune a quasi tutti i paesi occidentali del sistema democratico dei pesi e contrappesi (incominciando da Ungheria, Polonia...) e trasformazione delle democrazie in dittature soft (anche meno) della maggioranza, (che, dati gli alti tassi di disaffezione e senso di impotenza, sono minoranze); in ogni caso le maggioranze, costrette dai famigerati “populismi” sono “maggioranze di sistema”, che, in genere si fondano su compromessi che conducono la “sinistra” – sempre più evanescente, a subire le impostazioni della “destra”..  Ovunque la tendenza a privilegiare il potere esecutivo, in nome della necessaria velocità di decisione imposta dalla tecnologia incalzante, in presenza del logoramento del “sistema”, costretto a alzare barricate difensive, inclina a “regimi” che sentono il bilanciamento dei poteri come una zavorra frenante.
Credo che Renzi ce la farà. Sta seguendo la corrente che trascina tutti i paesi occidentali dominati dall’economia finanziaria, non ha altra strada e in definitiva ci crede.
Dato che anch’io sono convinto di quello che ho scritto (e molto altro ci sarebbe; Renzi non mi piace, ma non per questo voterei no per ripicca) voterò no ad una riforma che penso inutile, a sostegno di un disegno che non mi piace.
Umberto Pradella

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