Da http://www.altrenotizie.org/politica/7243-il-disperato-renzi.html
di Fabrizio Casari
La disperazione di Renzi per le indicazioni dei sondaggi sul referendum si traduce in esternazioni catastrofiste, minacce, insinuazioni e ricatti che si succedono senza interruzione. Alle minacce di una sostanziale apocalisse, di un gigantesco meteorite che si abbatterebbe sul “futuro” nel caso di un rigetto popolare della sua controriforma, ieri si è aggiunto il “niente pasticci né governi tecnici”.
Sono balle, non ha nessuna intenzione di mollare la presa sul governo e il suo stesso partito non reggerebbe il ritorno all’opposizione, ma certo la disinvoltura con la quale si permette di disprezzare le soluzioni parlamentari al netto del voto è straordinaria. Come se lui fosse divenuto Presidente del Consiglio a seguito di un voto popolare invece che grazie ad un complotto di corte.
Quella della finta sottrazione è quindi solo fuffa propagandistica. Ed é solo l’ultima, in ordine di tempo, delle mine di profondità che Matteo Renzi lancia nella speranza di setacciare i fondali degli indecisi e per invita gli stakeholders di riferimento del suo governo a serrare i ranghi. Infondere il timore di una crisi di governo come conseguenza della vittoria del NO al referendum gli sembra una buona idea e aggiungere la decisione di non permettere al suo partito di partecipare a coalizioni di governo rappresenta il suo ultimo ricatto ai duri d’orecchie.
Per disegnare il profilo umano e politico di questo politicante ambizioso ed assetato di potere, basta vedere con quale garbo istituzionale ha condotto la battaglia referendaria. Nessun trucco ci è stato risparmiato. Epurazione di parlamentari contrari, chiusura di ogni spazio per il dissenso nel suo stesso partito, occupazione manu militari con presenza perenne degli organi d’informazione, in prima fila Rai, Mediaset e la grande stampa, ridotta ad house horgan di Renzi. E ancora, pressioni violente su La7 e schieramento di alcuni conduttori e opinionisti a contratto, con annessa riesumazione di alcuni reperti televisivi. Una campagna elettorale che nei modi denuncia chiaramente lo stile di governo e, nello stesso tempo, annuncia quale sarebbe il futuro di un Paese imbavagliato se vincesse il Si.
A tutto ciò ha fatto seguito la cialtronata della stesura del quesito sulla scheda. Quindi, l’ignobile scorrettezza istituzionale di rivolgersi agli italiani residenti all’estero; non per informarli sul quesito, ma con materiale di propaganda per il Si e senza citare nemmeno una delle ragioni del NO, come avrebbe dovuto.
La porcata è stata spiegata come iniziativa di partito e non di governo, ma tanto l’invio della missiva come la mobilitazione dei nostri diplomatici all’estero in suo favore, dicono il contrario e confermano, semmai, come la sovrapposizione dei due soggetti (PD e Governo) sia ormai un double-face utilizzabile per ogni sconcezza.
Se effettivamente fosse il PD a svolgere la sua propaganda, allora lo stesso PD dovrebbe intestarsi le enormi spese per la campagna elettorale del Presidente del Consiglio. Ma questo non succede. I costosissimi voli di Stato e le enormi spese di struttura per le trasferte in Italia e all'estero pesano sui conti di Palazzo Chigi e fanno parte dell’utilizzo delle risorse pubbliche di cui il governo abusa per la sua propaganda.
Ciononostante, il ducetto di Rignano sull’Arno non dorme tranquillo. La valutazione sbagliata di partenza sulla vittoria, che contava con l’assoluta popolarità positiva di Renzi e il sostegno interessato offerto dai poteri forti, ha prodotto un errore di valutazione gigantesco.
Con l’arroganza che lo contraddistingue - unica dote effettivamente riconosciuta da avversari ed alleati - Renzi ha voluto trasformare il referendum sulle modifiche alla Costituzione in un pronunciamento plebiscitario su di lui.
Ed oggi, con l’approssimarsi del voto e le indicazioni dei sondaggi sul suo possibile esito, si trova in preda ad una vera e propria crisi di panico. Di fronte a sè vede l’eventualità di veder stroncato il suo progetto di presa autoritaria del Paese e, con esso, la sua carriera. Sa perfettamente che i poteri palesi ed occulti che lo hanno insediato a Palazzo Chigi ci metterebbero poche ore a disarcionarlo per dirigere le loro attenzioni verso qualcun altro. Si potrebbe dire che meglio di lui non lo sa nessuno.
In una campagna elettorale impari per risorse, da molte parti s’invita a distinguere tra il merito del quesito e il giudizio su chi lo propone, ma questo risulta un esercizio accademico di ripiego tattico. E’ evidente come il voto sul referendum non investa, in automatico, l’azione di governo.
Ma questo in teoria, perché quando il governo abbandona ogni neutralità - come dovrebbe nel caso di un referendum costituzionale - e decide d’investire il tutto per tutto sull’esito dello stesso, diventa praticamente impossibile distinguere i due piani. Questo persino uno con un cultura istituzionale pari a zero come Renzi arriva a comprenderlo.
Altrettanto impossibile, tra l’altro, distinguere il merito del quesito dal giudizio politico sul governo e sul suo capo, anche perché i due aspetti coincidono. Del resto, il disegno di restaurazione autoritaria attraverso l’attribuzione all'Esecutivo di ogni potere d’indirizzo e di controllo che prevede la controriforma, non può che essere difeso con l’arroganza e l’approccio autoritario con la quale questo governo si caratterizza. La tecnica di comunicazione, in questo come in altri casi, è sostanza politica.
E, simultaneamente, il fiasco sostanziale di questo governo può essere occultato o sminuito solo alzando fortemente la posta, ovvero spaccando in due il Paese e paralizzandolo per mesi mentre l’urgenza socioeconomica (che solo ieri ha aggiornato in peggio i già allarmanti dati sulla disgregazione dell'Italia) è divenuta l’ultimo degli impegni.
Si può quindi anche tentare di scindere l’inscindibile, ma il percorso appare in salita e non si può nemmeno pensare che gli italiani scindano le loro opinioni politiche ed il loro stato d’animo dal testo del quesito. Lo scempio costituzionale di questa pessima controriforma si salda con l’azione politica di questo pessimo governo. Due buonissimi motivi per dire NO.
La disperazione di Renzi per le indicazioni dei sondaggi sul referendum si traduce in esternazioni catastrofiste, minacce, insinuazioni e ricatti che si succedono senza interruzione. Alle minacce di una sostanziale apocalisse, di un gigantesco meteorite che si abbatterebbe sul “futuro” nel caso di un rigetto popolare della sua controriforma, ieri si è aggiunto il “niente pasticci né governi tecnici”.
Sono balle, non ha nessuna intenzione di mollare la presa sul governo e il suo stesso partito non reggerebbe il ritorno all’opposizione, ma certo la disinvoltura con la quale si permette di disprezzare le soluzioni parlamentari al netto del voto è straordinaria. Come se lui fosse divenuto Presidente del Consiglio a seguito di un voto popolare invece che grazie ad un complotto di corte.
Quella della finta sottrazione è quindi solo fuffa propagandistica. Ed é solo l’ultima, in ordine di tempo, delle mine di profondità che Matteo Renzi lancia nella speranza di setacciare i fondali degli indecisi e per invita gli stakeholders di riferimento del suo governo a serrare i ranghi. Infondere il timore di una crisi di governo come conseguenza della vittoria del NO al referendum gli sembra una buona idea e aggiungere la decisione di non permettere al suo partito di partecipare a coalizioni di governo rappresenta il suo ultimo ricatto ai duri d’orecchie.
Per disegnare il profilo umano e politico di questo politicante ambizioso ed assetato di potere, basta vedere con quale garbo istituzionale ha condotto la battaglia referendaria. Nessun trucco ci è stato risparmiato. Epurazione di parlamentari contrari, chiusura di ogni spazio per il dissenso nel suo stesso partito, occupazione manu militari con presenza perenne degli organi d’informazione, in prima fila Rai, Mediaset e la grande stampa, ridotta ad house horgan di Renzi. E ancora, pressioni violente su La7 e schieramento di alcuni conduttori e opinionisti a contratto, con annessa riesumazione di alcuni reperti televisivi. Una campagna elettorale che nei modi denuncia chiaramente lo stile di governo e, nello stesso tempo, annuncia quale sarebbe il futuro di un Paese imbavagliato se vincesse il Si.
A tutto ciò ha fatto seguito la cialtronata della stesura del quesito sulla scheda. Quindi, l’ignobile scorrettezza istituzionale di rivolgersi agli italiani residenti all’estero; non per informarli sul quesito, ma con materiale di propaganda per il Si e senza citare nemmeno una delle ragioni del NO, come avrebbe dovuto.
La porcata è stata spiegata come iniziativa di partito e non di governo, ma tanto l’invio della missiva come la mobilitazione dei nostri diplomatici all’estero in suo favore, dicono il contrario e confermano, semmai, come la sovrapposizione dei due soggetti (PD e Governo) sia ormai un double-face utilizzabile per ogni sconcezza.
Se effettivamente fosse il PD a svolgere la sua propaganda, allora lo stesso PD dovrebbe intestarsi le enormi spese per la campagna elettorale del Presidente del Consiglio. Ma questo non succede. I costosissimi voli di Stato e le enormi spese di struttura per le trasferte in Italia e all'estero pesano sui conti di Palazzo Chigi e fanno parte dell’utilizzo delle risorse pubbliche di cui il governo abusa per la sua propaganda.
Ciononostante, il ducetto di Rignano sull’Arno non dorme tranquillo. La valutazione sbagliata di partenza sulla vittoria, che contava con l’assoluta popolarità positiva di Renzi e il sostegno interessato offerto dai poteri forti, ha prodotto un errore di valutazione gigantesco.
Con l’arroganza che lo contraddistingue - unica dote effettivamente riconosciuta da avversari ed alleati - Renzi ha voluto trasformare il referendum sulle modifiche alla Costituzione in un pronunciamento plebiscitario su di lui.
Ed oggi, con l’approssimarsi del voto e le indicazioni dei sondaggi sul suo possibile esito, si trova in preda ad una vera e propria crisi di panico. Di fronte a sè vede l’eventualità di veder stroncato il suo progetto di presa autoritaria del Paese e, con esso, la sua carriera. Sa perfettamente che i poteri palesi ed occulti che lo hanno insediato a Palazzo Chigi ci metterebbero poche ore a disarcionarlo per dirigere le loro attenzioni verso qualcun altro. Si potrebbe dire che meglio di lui non lo sa nessuno.
In una campagna elettorale impari per risorse, da molte parti s’invita a distinguere tra il merito del quesito e il giudizio su chi lo propone, ma questo risulta un esercizio accademico di ripiego tattico. E’ evidente come il voto sul referendum non investa, in automatico, l’azione di governo.
Ma questo in teoria, perché quando il governo abbandona ogni neutralità - come dovrebbe nel caso di un referendum costituzionale - e decide d’investire il tutto per tutto sull’esito dello stesso, diventa praticamente impossibile distinguere i due piani. Questo persino uno con un cultura istituzionale pari a zero come Renzi arriva a comprenderlo.
Altrettanto impossibile, tra l’altro, distinguere il merito del quesito dal giudizio politico sul governo e sul suo capo, anche perché i due aspetti coincidono. Del resto, il disegno di restaurazione autoritaria attraverso l’attribuzione all'Esecutivo di ogni potere d’indirizzo e di controllo che prevede la controriforma, non può che essere difeso con l’arroganza e l’approccio autoritario con la quale questo governo si caratterizza. La tecnica di comunicazione, in questo come in altri casi, è sostanza politica.
E, simultaneamente, il fiasco sostanziale di questo governo può essere occultato o sminuito solo alzando fortemente la posta, ovvero spaccando in due il Paese e paralizzandolo per mesi mentre l’urgenza socioeconomica (che solo ieri ha aggiornato in peggio i già allarmanti dati sulla disgregazione dell'Italia) è divenuta l’ultimo degli impegni.
Si può quindi anche tentare di scindere l’inscindibile, ma il percorso appare in salita e non si può nemmeno pensare che gli italiani scindano le loro opinioni politiche ed il loro stato d’animo dal testo del quesito. Lo scempio costituzionale di questa pessima controriforma si salda con l’azione politica di questo pessimo governo. Due buonissimi motivi per dire NO.
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