11 novembre 2016

SECONDO ME:GENESI DELLA VITTORIA DI TRUMP di Umberto Pradella

 
 
 
I lettori mi scuseranno ma mi viene di scrivere un’ idea che covo da moltissimo tempo per spiegare, secondo me, il fondamento dei fondamenti della vittoria di Trump.
 
Gli USA hanno incominciato molto presto, dopo la guerra civile, a marcare una profonda differenza – trasformata in leadership mondiale – con l’occidente europeo.
La caratteristica fondamentale americana (impossibile in Europa) è stata, per un lunghissimo tempo, quella regalata dalla “conquista della frontiera”. L’ovest selvaggio, che ha infilato in ogni americano la convinzione che, spingendo un poco più in là la frontiera fisica, lavorando duro e fidando sulle sole proprie forze, ogni americano poteva conquistare il proprio onorevole posto nel mondo.
Individualismo; insofferenza verso ogni pastoia che imbrigliasse l’autonomia dell’azione del singolo;convinzione che “lo Stato” – e a maggior ragione quello federale – avesse l’unico giusto compito di garantire l’iniziativa individuale;la convinzione che  la “socialità” - che pretende una parte del risultato ottenuto dall’individuo, per sostenere chi non ce l’ha fatta o che non ne aveva la stoffa – sia una debolezza che non si deve incoraggiare.....poche tasse e poco Stato.
Finchè c’è stato un ovest da conquistare, l’America ha accolto chiunque volesse tentare la fortuna; gli USA hanno preso la guida dell’occidente, non solo per l’enorme ricchezza che sapevano produrre, ma anche per la baldanza innegabile dei risultati.
La loro filosofia di vita, rozza forse, ma vincente, si trasformava  in modello da imitare (sciogliendo il legame con la frontiera), eretto a regola universale.
Alla fine della seconda guerra mondiale,però, la “frontiera” era già esaurita da un pezzo.
Perdita di senso e di filosofia. Guscio vuoto, teoria ultra liberista senza più giustificazione reale.
Si è cercata una frontiera nello spazio; nella globalizzazione intesa come espansione del proprio dominio.
La realtà però è stata più forte.
All’accoglienza si è sostituito il muro con il Messico e la creazione di spazi in cui l’egemonia economica americana potesse espandersi.
Alla frontiera dell’ovest, agli spazi fisici da conquistare, si è sostituita la globalizzazione economico finanziaria.
Ma non ha funzionato. Gli unici a credere che potesse funzionare come era stato fino ad allora, sono state le elite democratiche e repubblicane.
Prima di Obama, le crepe diventano evidenti:i Tea Party e la Palin, anticipano Trump e la ribellione    
Il PIL americano, che ha continuato a crescere dal 2009 in poi, si è confrontato con una riduzione media del reddito procapite USA, nello stesso periodo, esclusa la crescente ricchezza della frazione assolutamente e tragicamente minoritaria,  di circa il 40%.
Così l’American way of life è diventata un’utopia che non combacia più con la realtà.
Gli Stati Uniti si sono trovati nelle stesse condizioni dell’Europa e del mondo, che si è impoverito proprio in virtù del tipo di globalizzazione che avevano percorso nella fasulla speranza di “spostare la frontiera”.
L’Europa, cinica e antica, da tempo ha capito, nella sua realtà sociale,  che il meccanismo americano non poteva funzionare. Da tempo si scontrano, nel vecchio continente, i perdenti contro le elite che continuano a percorrere la strada liberista e quella di una globalizzazione impoverente e stritolante.
 
Così, negli Usa si confrontano Trump e Sanders, fuori dagli schemi dell’establishment.
Clinton rappresenta la continuità di un mondo che non c’è più.
Sanders la speranza di una nuova globalizzazione, che salvaguarda le differenze, libera le minoranze, sposa la società, vuole abbattere le disuguaglianze dentro e fuori gli USA.
Troppo lunga la strada. Meglio chi promette ricette del tutto e subito.
Troppo per vincere, ma abbastanza per far perdere la Clinton, che i giovani e gli intellettuali aperti non hanno mai amato e quasi sicuramente non hanno votato.
Dall’altra parte, come da tempo in Europa, il predicatore dell’isolazionismo come contrasto a una globalizzazione perdente e impoverente.
Isolazionismo che vuol dire niente accoglienza; xenofobia; chiusura delle frontiere e regole per le minoranze dettate dalle maggioranze.
Risultati veloci, capovolgimenti rapidi.
In Europa e, adesso, anche in America, i poveri e gli impoveriti, tutti accomunati da una precarietà senza futuro, vogliono e sperano di invadere i paradisi dei ricchi. Società spaccate, frantumate e con denominatori comuni sempre meno importanti
 
Cosa c’è di sbagliato e di inaccettabile nel desiderio dei “poveri” di evadere da una condizione disperante, senza futuro, di affanni e precarietà (nella migliore delle ipotesi)?
Cosa di sbagliato persino nel sentimento umanissimo di rivincita?
Niente, se non che i Trump, adesso, e le Le Pen, i Salvini, i Farage e tutti i loro simili in ogni paese europeo; gli Orban e i capi di Polonia, Slovenia, repubblica Ceca e Slovacchia....(Grillo ci ha salvaguardato da una sorte peggiore, ma non sta certo con i Sanders del mondo)   non offrono ricette durature ma illusioni pericolose   
I poveri vogliono invadere i ricchi. Chiunque sputi sul sistema vigente delle elite che non hanno saputo costruire un sistema accettabile da destra o da sinistra è in grado di prevalere. Da destra in modo molto più facile e vincente: paura, nemico, speranza, rivalsa, rivincita
Ci vorrebbe una globalizzazione diversa, che esalti le differenze e i localismi. Invece ci sarà forse una guerra con muri sempre più alti, non limitata all’Europa, ma allargata al mondo.
E’ la fine convulsa di un sistema.
E’ vero: è la fine di un mondo, non del mondo, ma se si valutano i rischi del trapasso a un nuovo assetto stabile dell’umanità (ambiente e clima, guerre commerciali, migrazioni, minoranze, ) non ci sono certezze, se non di un crescente marasma.
 
Ho scritto troppo; chiedo scusa
Umberto   Pradella

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