Con Adèle Haenel, Jérémie Renier, Olivier Gourmet, Fabrizio Rongione, del 2016.
Un giallo “etico”
Un elemento tipico dei film dei fratelli
Dardenne è l’uso di una storia - o di un protagonista solitamente femminile –
per incrociare varie umanità, occuparsi di persone differenti tra loro, mettere
in luce problemi diversi. Anche ne La Fille Inconnue
sembra quasi che la vicenda sia un pretesto per uno squarcio sul sociale urbano
costituito da operai, piccoli spacciatori, malati anziani, malati giovani e
così via.
Siamo in Belgio a Seraign-sur-Meuse,
una piccola cittadina industriale nella regione Vallone della provincia di
Liegi. Jenny Davin è una giovane dottoressa che lavora nell’ambulatorio medico di
un quartiere operaio vicino al fiume, e sostituisce da qualche mese il vecchio
medico titolare che ha avuto un serio incidente ed è ricoverato in una casa di
cura. Una sera qualcuno suona fuori orario alla porta dell’ambulatorio, dove Jenny
si era attardata con lo stagista Julien, ed essendo stato superato già da
un’ora l’orario di chiusura, Jenny non apre né guarda chi è. La mattina dopo, la
ragazza che aveva suonato sarà trovata morta (forse omicidio?) sull’argine del
fiume, senza alcun documento d’identità e Jenny, in preda ai sensi di colpa per
non averle aperto, si metterà alla ricerca di indizi per conoscerne almeno il
nome. Prende addirittura una tomba al cimitero per poterla seppellire lì, una
volta identificata. Far sapere ai suoi parenti che “la ragazza senza nome” è
morta, diventerà la sua ossessione e finirà lei stessa ad ossessionare alcune
persone che sospettava la conoscessero. Il film avrà quindi uno sviluppo da thriller costituendosi in un’indagine
per presunto omicidio o quantomeno, per una morte sospetta.
Alla fine si scoprirà che sono
tutti, almeno un po’ colpevoli: uno per omissione di soccorso, l’altro per lo
sfruttamento di prostituzione, l’altra ancora gelosa per aver desiderato la
sparizione della ragazza, il ragazzo per l’omertà, tutti con tanti sensi di
colpa nel momento che Jenny li mette di fronte alle proprie responsabilità.
Sembrerebbe che la ragazza sia stata uccisa da una concomitanza di colpe, ma prevalentemente
dalla indifferenza – quando non cattiveria – di tutti gli abitanti della
cittadina belga (ma non sarà estendibile a tutta l’Europa?). Così i Dardenne
lanciato questo mònito contro una società sprofondata in una dimensione sempre,
più individualista, che vive in assenza di solidarietà umana e chiudendosi
attorno al proprio piccolo nucleo familiare.
Interessante è la figura di
Julien (Jérémie Renier attore feticcio dei fratelli Dardenne), studente di
medicina tirocinante che si spaventa nel vedere un attacco epilettico e cade in
crisi sulla sua capacità di fare il medico. Jenny riuscirà a convincerlo a
proseguire quando, ritornato in campagna dalla nonna, meditava di abbandonare
gli studi.
Jenny Davin, ben interpretata da
Adèle Haenel, non è simpatica, anzi all’inizio è proprio scostante e asserisce
che un bravo medico non si deve far coinvolgere dai propri sentimenti.
Attraverso tutta la vicenda della sua inchiesta portata avanti con
determinazione, e solo dopo aver dato retta alle sue emozioni, si
trasformerà in una persona più calda e
umana.
Il film è stato presentato al
Festival di Cannes 2016 dove però ha vinto Ken Loach con Io, Daniel Blake.
Ghisi Grütter
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