6 dicembre 2016

IL VOTO DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO:UNA RIFLESSIONE

Pubblichiamo una riflessione sul voto degli italiani all'estero di Adriano Romano.
Adriano ha vissuto per parecchi anni all'estero ed è, come si dice, persona informata sui fatti .Non certo di parte, Adriano è persona generosa ed altruista ,militante di sinistra , attivo e sempre in prima linea nelle battaglie politiche e sociali, come quella del recente referendum costituzionale. Mai di parte e per quanto possibile obiettivo e con i piedi a terra. Grazie Adriano per questo contributo che ci aiuterà a riflettere.
D.F.
 
 
Negli anni vissuti a Londra, New York, San Francisco, mi sono sempre chiesto cosa rappresentasse in termini giuridici il diritto al voto per noi residenti all'estero comparativamente rispetto al diritto al voto dei residenti permanenti (talora anche cittadini) in uno stato estero.

Cittadinanza, risolvevo. La cittadinanza italiana è uno status che assorbe e protegge ogni tuo diritto civile nella fattispecie giuridica qualificante la tua appartenenza all'Italia come nazione, paese, repubblica parlamentare democratica.

Tuttavia mi saltava all'occhio la tremenda differenza tra chi, come me, manteneva ferrei rapporti e interessi in Italia - famiglia, parte del lavoro, amici, comunità, percorso culturale- a differenza di chi espressamente aveva abbandonato l'Italia (perché tradito dal paese, per scelta esistenziale, per vocazione diversa..) e in più di chi non c'era all'evidenza mai stato! Nipoti, occasionalmente in vacanza in italia, di nonni italiani, persone assolutamente disgiunte da ogni relazione o comunità italiana in italia o all'estero.


E mi chiedevo, dov'è la cittadinanza anzi si cosa si fonda? Sulla tassazione, certo no - siamo ben lontani da schemi di diritto comune, perché siamo un paese di diritto civile e la civiltà del diritto impone (grazie a Dio!) la condizione e lo status di "cives", di cittadini appartenente indissolubilmente a quella comunità. 
Sulla permanenza in Italia? Anche meno...in un contesto storico come quello attuale, pensare di lavorare sempre e per sempre entro i confini nazionali è pregiudizievole per ogni carriera o attività. 
Sulla permanenza in Europa? Vedi sopra, la relativa vicinanza al paese non rileva..


Alla fine ho realizzato che non è la cittadinanza ad essere in discussione: molti di quei nipoti, di cui sopra, ricevono cittadinanza perché ci tengono a dirsi italiani d'origine...ed è un giusto riconoscimento ai tanti italiani che furono privati violentemente del rapporto col loro paese...dal fascismo, dalla miseria che fu del fascismo eterna consigliera, dallo stato di necessità che li obbligo a partire o morire. Quelli sono italiani, i loro discendenti sono italiani: non si discute, quella cittadinanza!


A essere in discussione è, a ben vedere, la partecipazione effettiva e concreta al percorso sociale e politico del paese. Molti di quelli sopra citati non hanno alcun contento o alcuna pretesa di partecipazione. Infatti, non votano per la larghissima parte (più o meno tra il 70 e l'80 percento). A che serve allora? Il voto, il diritto al voto, a che serve?

Sono piani paralleli, il voto e la cittadinanza, ma non coincidenti: sono sovrapponibili ma non geometricamente (e giuridicamente) congrui. La cittadinanza è indiscussa, ma il diritto al voto potrebbe sospendersi (non annullarsi!) dal decimo anno in poi di residenza estera a meno che una persona ne faccia esplicita richiesta. È del tutto evidente ai miei occhi che avremmo risolto il caso configurando una fattispecie sospensiva per oggettiva mancanza di interesse.

Gli elenchi sarebbero ridotti, aggiornati ogni anno (un database informatico richiede secondi, non anni, per l'aggiornamento), e finalmente potremmo dire che si vota con partecipazione effettiva - l'idea dei seggi volanti mi lascia poco convinto, perché vedo che la votazione presso il consolato esprime concreto valore partecipativo.
E al voto per corrispondenza riserverei molte meno circostanze, come ad esempio l'età avanzata o la distanza di più di 100km dal seggio. Eviteremmo di trovare scontrini, messaggi privati per il presidente di seggio, fette di salame (a Castelnuovo di Porto, al mio seggio svizzero di Basilea è capitato!) oppure veri e propri voti falsi per avvenuto decesso anni prima del votante!

La cittadinanza contiene il voto, non si esaurisce in esso. Facciamo del voto un valore, non un accessorio.

Adriano Romano


La discussione in rete

A me pare che tutte le nostre proposte stiano insieme, dal codice a barre, all'iscrizione alle liste, al voto nei consolati, al camper con la sezione volante.
Vi sottopongo anche un'altra riflessione. Un conto è la circostanza per cui all'italuiano all'estero viene data rappresentanza nelle istituzioni, ed un altro la scelta referendaria.
In un caso tu apri alla rappresentanza di una comunità (e puoi anche ponderare il peso di questa rappresentanza), un conto è il referendum , soprattutto quello abrogativo, dove il voto dell'italiano di terza generazione in Australia, che nulla sa delle trivelle vale come quello della persona che vive davanti alla trivella.  E soprattutto incide sul quorum.
Tanto per dirne una, almeno sugli abrogativi quei voti dovrebbero stare fuori dal quorum.

P.A.


Una soluzione potrebbe essere quella di prevedere l'iscrizione al voto degli italiani all'estero. Ovvero, gli italiani all'estero che intendano votare devono iscriversi volontariamente alle liste entro un termine prestabilito e prima di ogni consultazione elettorale. Un po' come fanno negli Stati Uniti.
La discussione mi appassiona. Cerchiamo di elaborare proposte e soluzioni concrete. Nei prossimi giorni il tema della legge elettorale sarà al centro dell'agenda politica; potrebbe essere l'occasione giusta per tentare di introdurre dei miglioramenti.

M.S.

Appoggio la mozione P.A e M.S..
Non da oggi ritengo infatti che la legge Tremaglia sia ingiusta e al contempo criminogena, avuto riguardo alle elezioni politiche.
Quindi: segretezza del voto, limitato alle/agli italiane/i temporaneamente all'estero, e procedure certe per l'identificazione delle/dei votanti per stroncare la possibilità di brogli.
 
C.A.
 
Quella di P. A-mi pare una proposta di buon senso. Del resto non da oggi proponevo una modifica basata essenzialmente sulla fine del voto per corrispondenza - cui al massimo si possono fare determinate e circostanziate eccezioni previste da legge e regolamenti attuativi - e l'introduzione dell'obbligo dei seggi nei consolati. Poi però bisogna restringere anche l'area degli aventi diritto al voto, non potendo ammettere che persone possano rientrare in questo diritto per pura discendenza da generazioni passate. Comprendo che questa è questione più complicata, perché solleva molte e diverse questioni ma alla fine anche qui il buon senso dovrebbe prevalere. Il no representation without taxation può essere un buon principio di partenza.
 
A.F.
 
 
Io credo, ma ne voglio parlare con tutte/i che la proposta potrebbe essere più semplice.
Basta con il voto per corrispondenza. Il voto è personale e segreto. Dunque si vota nei consolati.
Inoltre i consolati possono attrezzare un camper che gira per le varie città. (esistono già le sezioni volanti, anche nella normativa nazionale).
Quindi, dal venerdì della settimana prima del voto, aprono le sezioni dei consolati (che chiudono il sabato successivo, o la domenica stessa). Quindi il votante ha 10 giorni per andare al consolato.
Poi lo stesso venerdì parte il camper, e a secondo della diffusione degli italiani, percorre un itinerario in dieci tappe. Ogni giorno in un posto diverso.
Infine l'italiano che si trova sull'isoletta sperduta del Mare di Bering, tempo prima può chiedere di votare con il sistema attuale. Il consolato ha però anche la possibilità di rispondere che ci sarà una sezione volante che passerà dalle parti sue. O in alternativa lo ammette al voto per corrispondenza.
In questo modo i voti per corrispondenza sono un numero molto più limitato.
ad esempio, non è chiaro perchè i 200.000 italiani di Londra devono votare per corrispondenza. 

P.A.

Condivido a pieno quest'ultima riflessione di Pietro ed è proprio il dubbio che sollevavo io quando mi chiedevo quanto ponderato potesse essere il voto referendario di qualcuno che neanche sa leggere e capire le istruzioni di voto, ma soprattutto quale diritto abbia di condizionare la mia vita materiale (trivelle, acqua ma anche e soprattutto Costituzione da cui poi sarebbero arrivate - con la riforma del Titolo V - anche più trivelle, privatizzazione dell'acqua e via dicendo).

Ma poi, se dobbiamo pensare ad una proposta sul voto degli italiani all'estero, pensiamo anche a tutti i fuori sede in Italia. Non tutti sanno dell'opportunità di farsi nominare RdL e cmq è un espediente che in realtà mette solo una pezza a un vulnus, con il risultato di occupare molte deleghe fittizie che non svolgono però realmente il compito di vigilare sulla correttezza di voto, come dovrebbero fare.
Riflettiamo, quindi, anche sul voto dei fuori sede (per studio o lavoro)..
 
V.B.
 
La discussione appassiona anche me e penso che una proposta concreta che riguardi una nuova disciplina del voto estero possa costituire un bel valore aggiunto derivante dal lavoro di questi mesi.
Credo che la ridefinizione del perimetro degli elettori sia l'aspetto più complesso da affrontare e mi sembrano assai interessanti l'analisi e le ipotesi di soluzione prospettate da Adriano.
Forse l'arco temporale di 10 anni potrebbe essere ulteriormente ridotto a 5, subordinando successivamente la conservazione del diritto ad esplicita manifestazione di volontà.
 
M.L.


 

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