di Fabrizio Casari
Siamo dunque giunti al momento del voto, per decidere se la Carta Costituzionale deve essere difesa o diventare invece lo strumento giuridico fondamentale per le nuove avventure autoritarie. E' una controriforma folle, pasticciata nella sua elaborazione e demenziale nella sua applicazione.
Sul piano politico generale é una controriforma che affossa il patto sociale e costituzionale siglato dalle forze politiche a seguito della sconfitta del fascismo. Sul pian normativo afferma la fine dell’equilibrio fra i tre poteri dello Stato (Esecutivo, Legislativo e Giudiziario) e, con la venuta meno della relazione tra pesi e contrappesi (il famoso ceck and balance) sancisce la supremazia dell’Esecutivo sugli altri due.
Attraverso la legge elettorale che l’accompagna, la controriforma di Renzi propone con un solo 25% dei voti al secondo turno la conquista della maggioranza assoluta dei seggi alla Camera; il che, attraverso il consenso del Parlamento, consente la formazione del Governo, la nomina della Corte Costituzionale e di una quota del Consiglio Superiore della Magistratura, oltre che dei vertici della RAI. Quindi, gli organi di controllo del Governo saranno nominati dal partito che vincerà le elezioni.
Questo stabilisce che i controllori diverranno controllati e i controllati diverranno controllori. Il Primo Ministro diventa imperatore. E non a caso il governo Renzi ha imposto al Parlamento la fiducia per far passare la sua legge elettorale. Anche se ora inganna gli elettori dicendo che la cambierà, in realtà Controriforma costituzionale e Italicum fanno parte della stessa operazione, si tengono l’una con l’altra.
Il Paese si è diviso come mai nelle epoche recenti e già questo dovrebbe indicare l’impraticabilità di questa controriforma, dato che le modifiche alla Carta, oltre alle procedure previste all’articolo 138, si fondano su un consenso ampio e trasversale di tutta la società, dal momento che le regole del gioco democratico devono incontrare il favore di tutti coloro che al gioco partecipano.
Già in premessa c’è da osservare l’assurdità del tutto. Che a riformare il Senato sia stato un Parlamento eletto con una legge incostituzionale, rappresenta perfettamente il lato paradossale di questa penosa commedia italiana, così come lo è altrettanto il fatto che un premier eletto da un complotto di corte si erga a garante del funzionamento democratico.
Nel merito, poi, se vincerà il Sì, il Senato sarà destinato a diventare il maggiore e più costoso ente inutile del sistema pubblico. I risparmi non esistono, visto che il costo per le attività dei nuovi senatori sarà superiore ai risparmi, comunque ammontanti a un caffè all’anno per ogni elettore. Verrà insediato senza un voto popolare ma scelto dal censo imperante, cioè la casta partitocratica venduta a quella finanziaria.
Già in premessa c’è da osservare l’assurdità del tutto. Che a riformare il Senato sia stato un Parlamento eletto con una legge incostituzionale, rappresenta perfettamente il lato paradossale di questa penosa commedia italiana, così come lo è altrettanto il fatto che un premier eletto da un complotto di corte si erga a garante del funzionamento democratico.
Nel merito, poi, se vincerà il Sì, il Senato sarà destinato a diventare il maggiore e più costoso ente inutile del sistema pubblico. I risparmi non esistono, visto che il costo per le attività dei nuovi senatori sarà superiore ai risparmi, comunque ammontanti a un caffè all’anno per ogni elettore. Verrà insediato senza un voto popolare ma scelto dal censo imperante, cioè la casta partitocratica venduta a quella finanziaria.
I nuovi senatori avranno un doppio incarico (e annessa immunità) e daranno ai partiti la possibilità di scegliere chi nominare senatore senza nemmeno togliersi il disturbo di chiedere il voto popolare. Così, la riforma del Titolo V della Carta resta impantanata nell’applicazione del dettato del Piano di Rinascita Democratica redatta da un toscano ancor più famoso di Renzi.
Solo in Italia è possibile ipotizzare l’elezione di un organo legislativo che non sia votato dagli elettori. In nessun altro paese al mondo sarebbe possibile anche solo pensarlo. Se si vogliono cercare parallelismi internazionali è bene ricordare un esempio su tutti: nel 1913, gli Stati Uniti decisero che i senatori - fino ad allora eletti dalle assemblee degli stati - dovessero essere eletti direttamente dai cittadini, proprio per rafforzare la democrazia rappresentativa.Una ulteriore anomalia di questa campagna elettorale è stata il protagonismo del Governo, che diversamente da quanto prevede una prassi consolidata, non è stato affatto neutrale. Anzi, si è schierato con i mezzi e le risorse di cui dispone grazie alla fiscalità generale, alterando così la regolarità del confronto che dovrebbe basarsi sulla parità di condizioni.
Ed è proprio sull’invasione di campo del governo nel referendum che si è misurato il peggio di questa campagna elettorale. Minacce, bugie spudorate, insulti, aggressioni e ricatti, manipolazione dei dati e della stessa scheda elettorale, false informazioni sulle ricadute economiche del voto, raggiro del voto estero, sono state la quinta essenza della campagna di un Primo Ministro scorretto e bugiardo, capace di vendere fumo e mentire pur di vincere.
Chiunque può porsi una domanda semplice: perché tanto livore, tanta furia? Perché esibire un armamentario come quello testé citato visto che il Paese fino ad oggi è andato avanti lo stesso? Perché trasformare in un Armageddon una riforma che, anche chi ha deciso di votarla, ammette non essere certo un capolavoro?
Le ragioni sono diverse, di ordine interno ed internazionale e sarebbe lungo trattarle qui ed ora. Ma quello che si può dire subito è che la posta in gioco è molto più alta di una modifica della Carta, che non sarebbe poi né la prima né l’ultima. La controriforma di Renzi non ha come obiettivo snellire i procedimenti legislativi, bensì quello di imporre un modello autoritario di governo che, ad oggi, non potrebbe realizzarsi a Costituzione vigente.
Il disegno di controriforma costituzionale, infatti, rappresenta la formalizzazione di una nuova idea di comando del potere economico e finanziario (al quale è asservito quello politico) sulla società italiana. Di fronte ad un evidente scollamento tra Paese reale e Paese politico, si è scelto di impedire che il primo orienti o condizioni il secondo.Con il venir meno della capacità di governare, si sceglie il controllo autoritario sui governati, imponendo la fine dei processi elettorali per interrompere il problematico legame tra rappresentanze e rappresentati. La causa evidente di questa involuzione autoritaria sta proprio nella difficoltà da parte dei poteri dominanti di governare i processi di scomposizione sociale determinati dalla crisi economica che attanaglia le società europee.
E’ una crisi di credibilità e di prospettive quella delle elites, seguita al fallimento della proposta ideale della globalizzazione, dipinta come l’età dell’oro e rivelatasi invece come la crisi più nera della storia economica e sociale contemporanea. Il capitale ha dichiarato guerra al lavoro e l’idea del fare denaro con il denaro è stata la summa della trasformazione di un sistema che ha imposto la progressiva supremazia del capitalismo finanziario su quello industriale, mentre l’ideologia del rigore finanziario ha sostituito quella di un modello economico applicabile e inclusivo.
Ciò ha trasformato il lavoro in una variabile da sostenere solo se in condizioni di schiavitù e con politiche salariali destinate verso il minimo di sussistenza in nome del contenimento dell’inflazione. Queste politiche hanno determinato lo sprofondamento dei ceti medi verso l’area della proletarizzazione e, quest’ultima, è divenuta un magma fondato sulla precarietà più assoluta, oltre a veder chiaro come l’ascensore sociale sia ormai un malinconico ricordo.
Parallelamente, i ricchi sono diventati molto più ricchi e i poveri molto più poveri, la forbice sociale si è allargata a dismisura e l’azzeramento del welfare è stato la leva per costruire nuova capitalizzazione attraverso la privatizzazione dei servizi.
Ma la sostituzione dei servizi pubblici a vantaggio del profitto privato, oltre a rappresentare la fine della concezione universalistica dei diritti, ha uteriormente impoverito il Paese. Con una disoccupazione giovanile che sfiora il 55%, una mancanza di lavoro che arriva al 12%, con 11 milioni di italiani che hanno smesso di curarsi per mancanza di risorse e l’erosione del risparmio familiare, si è creata una condizione di arretratezza economica che ha riportato l’Italia indietro di decenni. La crescita è ridicola, non arriva allo 0,9% e non è stata in grado di approfittare della congiuntura straordinariamente positiva, determinata dal prezzo basso del petrolio e dal quantitative easing della BCE.
Nemmeno questo è servito: il debito pubblico è aumentato ed il riassetto idrogeologico italiano non è nemmeno cominciato. Ma il governo, da quattro mesi, si occupa solo del suo disegno di potere, l’Italia è ormai terra di conquista per un manipolo di grembiulini e compassi dalle ambizioni decisamente superiori alle loro qualità.
In questo quadro, quindi, inutile tacciare di populismo le reazioni della società colpita, umiliata e ridotta a variabile dei cicli economici. In assenza della rappresentanza di interessi popolari e in presenza di un processo normativo che tende con forza all’eliminazione dei corpi intermedi, si delinea una distanza incolmabile tra le esigenze di tenuta del quadro sociale che si riverbera su quello politico.
Ecco perché la contrazione degli spazi di democrazia che ci viene proposta esprime una insopportabilità delle regole che lo stesso sistema liberal-democratico si è dato: l’investitura popolare delle istituzioni risulta un terreno minato per i poteri e la governabilità si trasforma in comando.
Uno dei passaggi nei quali avviene il percorso di rigetto della volontà popolare è proprio la riduzione ai minimi termini dell’esercizio del voto, che ha imposto - con la complicità attiva del Quirinale a guida Napolitano - ben tre governi tecnici, espressione cioè del controllo europeo sul Paese.
Certo, la Carta prevede che sia il Parlamento a fornire della fiducia il governo e che questo non sia diretta espressione del voto popolare, ma questo aspetto non tragga in inganno. Costruire governi in Parlamento è legittimo quando lo stesso è espressione comunque del voto, mentre sia il governo Monti che quello Letta, e a maggior ragione quello Renzi, sono espressione di equilibri determinatisi negli apparati di sistema interni ed esteri e non conseguenza di un voto popolare.
E che la tendenza sia quella di bypassare completamente la volontà popolare lo si può osservare ad ogni livello. Esempi? Nonostante una sentenza della Corte Costituzionale, anche nella controriforma s’impedisce la possibilità di apporre le preferenze sulla scheda elettorale; benché continui l’esistenza di un ente come le Province, si toglie ai cittadini il diritto di votarle; nonostante si mantenga in vita il bicameralismo, si nega al popolo il diritto di eleggere i senatori. Di questo passo non voteremo più nemmeno nelle assemblee di condominio.
La possibile dicotomia alla quale Norberto Bobbio si riferiva quando poneva a confronto la democrazia formale e quella sostanziale, trova così la sua sintesi peggiore e definitiva: ormai lontana quella sostanziale, si elimina del tutto anche quella formale.
Questo è quello su cui siamo chiamati a votare: la possibilità di continuare a farlo. Il tentativo di Renzi è quello di assegnare ai poteri forti - e speso occulti - il dominio completo sull’Italia. Sarà obbligatorio dire di NO. Abbiamo bisogno di un Paese di sana e robusta Costituzione.
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