E il Papa ha dimostrato di averlo, affermando chiaramente che al centro di ogni valutazione sulla proporzione delle cure, ci debba essere il "bene integrale della persona". Che è fatta di corpo e coscienza. E le terapie non possono rivolgersi solo al prolungamento della vita del corpo, se questa proroga biologica danneggia l'altra componente immateriale. Concetti netti, che hanno anche il valore di accantonare la mistica del dolore, come valore in sé. Per cui si pretende sopportazione dal paziente che è stremato dalla sofferenza , anche quando dichiara di preferire la morte alla tortura della vita.
Il Papa non arriva a giustificare il suicidio assistito, ma sviluppa il concetto di "proporzione" oltre i limiti angusti nei quali le forze più conservatrici della Chiesa lo avevano relegato fino ad oggi. Ora tocca alla politica, alla ragione laica, avere lo stesso coraggio della chiarezza, per introdurre questa scelta terminale, a favore di chi la voglia attuare. E tutelare così il cittadino che abbia decretato la "non-proporzione" tra l'addizione di vita ottenibile con trattamenti e la sottrazione di valore delle relazioni - con se stesso e con gli altri - che la degenerazione biologica comporta.
C'è qualcosa di pagano e di violento nel trattenere un corpo in vita con l'accanimento terapeutico.
Accanimento, cioè - in senso etimologico - con la stessa ira dei cani.
Massimo Marnetto
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