Con Cate Blanchett, USA 2015. Fotografia di Christophe
Krauss, montaggio Bobby Good.
Un assolo di bravura
Manifesto è un film (o documentario?) ambizioso,
molto impegnativo e per intenditori. Domenica scorsa a Roma lo proiettavano in
un’unica saletta di 60 posti ( e anche stretti) di un cinema romano, soltanto allo
spettacolo pomeridiano. Schiacciata in seconda fila, senza lo spazio per le
gambe e con la testa rivolta all’insù
non mi sono potuta gustare lo spettacolo come avrebbe meritato. Il film
consiste in una serie di brani (in inglese ovviamente) letti da quella straordinaria
attrice che è Cate Blanchett e che, in ogni prova, supera se stessa. A mio
avviso lei è una delle attrici di oggi più brave in assoluto, insieme a Meryl
Streep e Judie Dench. La Blanchett in Manifesto
interpreta tredici persone diverse, tutte con la sua capacità di trasformismo
che aveva già dimostrato interpretando Bob Dylan nel film Io non sono qui di Todd Haynes del 2007.
A parte l’iniziale episodio in cui l’homeless
recita il “Manifesto del Partito comunista” di K. Marx e F. Engels del 1848, nel film l’attrice
legge brani di vari movimenti artistici come il Situazionismo, il
Futurismo, il Vorticismo, l’Astrattismo,
l’Espressionismo e dal “Manifesto dell’architettura futurista” di Antonio
Sant’Elia. Mi è piaciuta molto l’orazione funebre all’Arte, dove sono stati
montati insieme pezzi dadaisti di Tristan Tzara, Louis Aragon, Francis Picabia
e altri. Degna di nota è anche la stressante madre di famiglia che prima di
mangiare con i figli e il marito, il tacchino (che nel frattempo sarà diventato
freddo…), recita in preghiera il Manifesto Pop
di Claes Oldenburg “I am for an Art…”
del 1961. Nel film troviamo anche il Minimalismo, l’Arte Performativa dove Cate
Blanchett gioca il ruolo della severa coreografa, lo Spazialismo e l’Arte
concettuale. C’è anche posto per le regole dettate in “Dogma 95” da Lars von
Trier e Thomas Vinterberg. Non li ho citati tutti, ma francamente ci vuole una
buona dose di conoscenza artistica del XX secolo per riuscire a riconoscerli.
Ciò
che ho apprezzato molto del film sono state le ambientazioni, il clima della città
del nord (il film è stato girato tutto attorno a Berlino), le fabbriche
abbandonate, le case/gallerie minimaliste su paesaggi nordici invernali che
sembrano uscite da una rivista patinata di Arredamento. E ancora stabilimenti
artistici futuribili, insomma ogni location
è stata scelta con cura e mostrata, con attenzione, dall’ottima fotografia di
Christophe Krauss.
Manifesto era stato pensato inizialmente
come videoinstallazione multi-schermo all’Australian Centre for the Moving
Image, poi è stata esposta a Berlino, infine a Sidney presso la Gallery of New
South Wales. Rimontato in lungometraggio dallo stesso regista-artista è stato
presentato al “Sundance Film Festival” del 2017.
Ghisi Grütter
Complimenti alla redattrice,
RispondiEliminache ne fa con spirito
e competenza un film imperdibile.