Con
Claes Bang, Elisabeth Moss, Dominic West, Terry Notary, Annica Liljeblad,
Svezia-Germania-Francia-Danimarca, 2017. Fotografia di Fredrik Wenzel,
scenografia di Josefin Åsberg.
I
confini dell’arte e i confini del sociale
Un
film sicuramente inusuale per molte ragioni. Tra queste la lunghezza di due ore
e mezzo - anche se mi sembra che tutti i film recenti siano molto lunghi - e l’essere
girato prevalentemente negli interni. Il film costituisce una sorta di “J’accuse” contro la società attuale. Può
anche essere considerato una satira della civilissima Svezia, imputata di
diseguaglianze sociali, che parla del senso di colpa, accusa l’arte di essere
troppo lontana dalle problematiche reali e critica, in particolare, tutti
coloro che vivono attorno al mondo dell’arte: curatori di mostre, direttori di
Musei, art directors, esperti di visual communication
senza scrupoli, e anche tutti gli intellettuali che sciorinano fiumi di
parole costruendo concetti ai più incomprensibili.
Il tutto è raccontato con molto garbo e ironia.
Christian
Nielsen (il bravo Claes Bang) è il direttore del Royal Museum di Arte Contemporanea
di Stoccolma. È sempre impegnato nei dibattiti sui confini dell’arte ed è un
vivace sostenitore della completa libertà di espressione. Ama i performers e i flash mob situazionisti e
organizza diversi eventi nel suo museo, anche commisti, in cui spesso sfugge
proprio il concetto di limite del lecito e di confine dello spettacolo. A suo
modo potrebbe essere considerato un avanguardista più che uno sperimentatore,
in quanto rompe totalmente con la tradizione. Non a caso in un’intervista
televisiva della giornalista Anne (Elisabeth Moss) parla dello statuto dell’opera
d’arte nella contemporaneità e le rimanda, in qualche modo, la domanda: «Se
metto la sua borsa esposta qui al museo, è arte? ». In tal modo evoca
implicitamente i provocatori ready-made
objects di Marcel Duchamps degli anni ‘10 e ’20 del Novecento. Ma lì c’era
veramente qualcosa da infrangere, un peso accademico da frantumare. Oggi che
senso potrebbe avere un’operazione analoga?
Christian
compra, con i soldi di una pubblica sottoscrizione, un intervento urbano
concettuale “The Square” che smantella i vecchi simboli e monumenti. L’artista ha
segato il porfido della strada con un frullino e ci ha costruito un quadrato lungo
i cui lati ha inserito un materiale luminescente. L’intervento crea uno spazio,
per così dire, “democratico” che, come recita la targa in ottone, inneggia alla
solidarietà e all’aiuto reciproco. L’opera “The Square” evoca il Rinascimento italiano
e le sue città ideali (Pienza?) ed è vista sempre in prospettiva centrale. Due
giovani visual costruiscono un video-shock
per lanciare la mostra che rappresenta l’esplosione di una bionda bambina
mendicante a piedi nudi, con un gattino in braccio al centro del quadrato. Il
video messo su You-tube e pubblicizzato da Facebook diventa virale, come si
dice oggi, suscitando però clamore e dissenso tra i seguaci del Museo.
Christian,
tutto preso dal suo ruolo e da bravo borghese individualista evita, per quanto
può, la gente che gli chiede una mano e i mendicanti, che incontra per la strada.
L’unica volta che si fa coinvolgere in un soccorso rimane truffato e da qui tutta
una serie di vicende che servono per mettere in rapporto due diversi strati
sociali e due diverse realtà urbane, che però il regista non mostra, ma fa
intuire. Il rapinatore abita in un edificio alto 15 piani senza ascensore, in
una zona di Stoccolma di public housing dove vivono molte persone multietniche.
La
prima parte del film ha un bel crescendo ed è molto divertente. Situazioni
comiche si alternano a quelle grottesche come, ad esempio, il goffo rapporto
sessuale tra Christian e Anne. Giocando su silenzi e piccoli
movimenti, con attenzione al dettaglio e con un design scandinavo minimalista, il regista narra una parziale presa
di coscienza di un narcisista impenitente, bravissimo nel pubblico quanto carente
nel privato e nelle sue relazioni umane in generale. Il cinema di Östlund, infatti,
parla degli uomini e, in particolare, delle loro debolezze. In Forza maggiore del 2014 tutto era
imperniato sulla insospettata codardia che mostra Tomas, il protagonista,
terrorizzato per l’avvento improvviso e violento di una valanga di neve. Il
film The Square ha vinto,
meritatamente, la Palma d’oro al Festival di Cannes 2017 ed è stato selezionato
per rappresentare la Svezia ai premi Oscar del 2018.
Ghisi
Grütter
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