14 maggio 2017

Il Marnetto Quotidiano: OLIVIERO BEHA

 
Il Marnetto Quotidiano
Voglio ricordare Oliviero Beha con la gratitudine che si deve a  un giornalista che ha avuto la schiena dritta. Una razza sempre al limite dell'estinzione nel Paese dove il conformismo è un istinto. 

Quando si sceglie l'onestà - soprattutto quella intellettuale - si deve essere pronti al conflitto. Beha ha avuto una vita disseminata di rotture e ripartenze, perché aveva deciso di usare tutto il suo ascendente professionale per vigilare il potere. Storiche le sue trasmissioni sulle disfunzioni pubbliche e le ingiustizie patite da semplici cittadini, che con programmi come Radio Zorro e molti altri portava all'attenzione di istituzioni e opinione pubblica.

Oliviero Beha ci ha messo sempre la firma e la faccia nelle sue battaglie. Incarnando così il ruolo prezioso dell'intellettuale, che non è solo una persona colta, ma chi pone la propria comprensione dei fatti - con coraggio - a servizio della collettività, per cambiarne in meglio la cultura. "Il pensiero è un'attività sociale" scriveva l'antropologo americano Clifford Geertz e Beha i suoi pensieri li ha sempre espressi con la parola pubblica diretta ai suoi tanti ascoltatori. Con la generosità verso gli sconosciuti, che viene solo dagli ideali.
Massimo Marnetto

                                                                 

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Oliviero Beha                                                                                                                                                                                                                                                                                                          “L’affare Camerun mi è costato la carriera. Sono stato mandato via da la Repubblica, dov’ero inviato speciale e anche dopo non ho avuto spazi per svolgere il mio lavoro. Ma sono stato fortunato. Ho ricevuto minacce di morte da parte della camorra, che era coinvolta nella cosa. Sono stato messo davanti a un bivio. Potevano farmi pagare con la carriera o con la pelle. Mi hanno portato via “solo” la carriera. Quella non era una semplice partita. L’Italia, dopo due pareggi, aveva bisogno almeno di un terzo pari per passare il turno e non ripetere, dopo 16 anni, un’altra Corea. Non ultimi, c’erano gli interessi degli sponsor. Il Camerun che vendette il pareggio. A loro importava solo di tornare imbattuti (infatti diventarono i Leoni Indomabili). E cosi’ fu. Alcuni giocatori del Camerun e il loro c.t. Jean Vincent presero 30 milioni di lire ciascuno. Nessun coinvolgimento dei giocatori italiani. Erano coinvolti soltanto i dirigenti. Il presidente della Federcalcio, Federico Sordillo, e ho le prove per dimostrarlo, ottenne l’appoggio concreto di Michele Zazza, uno dei più importanti capocamorristi dell’epoca. Che, tra l’altro, quando mi incontrò, riuscì anche a ironizzare sul fatto che quella Coppa era anche merito suo…. Ho un testimone dell’incontro che ebbi in carcere con Zazza nel 1987. E ho il materiale filmato di tutte le testimonianze, dei giocatori camerunesi e di un faccendiere italiano collegato al terrorismo, emigrato poi in Corsica. In pratica, tutto quello che racconto nel libro e’ riversato in diverse ore di un documentario, ovviamente mai andato in onda. Nel Trilogia della censura ho scritto di altre due indagini (una su Antonio Gava,Licio Gelli, Silvio Berlusconi e Pierferdinando Casini) puntualmente bloccate. Il caso Camerun, doveva essere pubblicato da una grande casa editrice nel 1984. Ma tutto naufragò. Vennero stampate solo alcune copie che girarono in ambito giornalistico”.

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