Laurearsi, nonostante la crisi, risulta ancora
essere un elemento di grande rilevanza. Il cosiddetto “pezzo di carta”
rappresenta ancora quel "quid" in più nella grande corsa
all’occupazione. Questo titolo di studio, “diminuisce il rischio di restare
intrappolati nell’area della disoccupazione”, si legge nell’ultimo rapporto di
Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani. “Generalmente
i laureati sono in grado di reagire meglio ai mutamenti del mercato del lavoro,
disponendo di strumenti culturali e professionali più adeguati”. Il tasso di
occupazione della fascia di età 20-64 è del 74% tra i laureati e del 65% tra i
diplomati. Peccato che l’Italia sia il penultimo Paese in Europa per numero di
laureati. Solo 26 dottori ogni cento cittadini tra i 30 e i 34 anni.
I laureati italiani sono pochi e anche poco
disposti ad allontanarsi dalla famiglia. Nel 2016 poco meno della metà del totale
dei laureati italiani ha conseguito il titolo nella stessa provincia in cui si
è diplomato (47%). E solo il 10,6% ha sperimentato esperienze di studio
all’estero. Interessante è la quota dei laureati di cittadinanza straniera che
arriva al 3,5% del totale complessivo dei laureati, con una punta del 4,6% nei
corsi di laurea magistrali.
Inoltre, “Il Background familiare ha un forte
effetto sulle opportunità di completare il percorso di istruzione
universitaria”, si legge nel rapporto in cui emerge anche “una
sovra-rappresentazione dei giovani provenienti da ambienti familiari favoriti
dal punto di vista socio-culturale”. Lo status sociale e culturale dei genitori
risulta essere influente anche sulla scelta del corso di laurea: chi sceglie un
corso di laurea a ciclo unico, spesso proviene da una famiglia con un livello
culturale elevato (il 44% ha almeno un genitore laureato) rispetto ai “laureati
che hanno optato per un percorso “3+2”.
Dall’indagine condotta dal Consorzio
Interuniversitario fondato nel 1994, che ha riguardato complessivamente 620
mila laureati, emerge che ad un anno dalla laurea triennale trova lavoro il 68%
, mentre gli occupati ad un anno dal diploma di laurea magistrale sono il 71%.
I primi guadagnano in media 1.104 euro netti al mese, i secondi 1.153. Ma un
laureato su cinque resta senza occupazione.
Dopo cinque anni dalla laurea la situazione
migliora: il tasso di occupazione sale all’87% tra i laureati triennali e
all’84% tra quelli magistrali. Lo stipendio per i primi cresce da 1.104 a 1.362
euro, mentre per i secondi sale da 1.153 a 1.405 euro. Tuttavia dal 2008
al 2013 il guadagno si è ridotto notevolmente. I laureati hanno perso quasi un
quarto di quanto guadagnavano: -23% per i triennali, -20% per i magistrali. I
disoccupati oscillano tra l’8 e il 9%.
Forse sta proprio qui il motivo per cui nel post
laurea quasi la metà dei dottori è disposta a preparare la valigia e a
trasferirsi all’estero. Pronti a partire, ma non troppo, infatti solo il 7% dei
laureati lo fa veramente. Si spostano tra Germania, Regno Unito e Svizzera, in
quella parte d’Europa dove le retribuzioni medie sono di gran lunga superiori a
quelle dei coetanei con lo stesso titolo di studio rimasti in Italia. I dottori
magistrali fuori dallo stivale, a cinque anni dal conseguimento del titolo,
guadagnano 2.202 euro netti al mese, il 64% in più rispetto ai 1.334 euro degli
occupati in Italia.
In Italia, dunque, nonostante l’88% dei laureati
si dichiari soddisfatto della propria esperienza, a partire dal corpo docente
(85%), l’Università non riesce ancora a svolgere il ruolo di “ascensore
sociale” in salita.
Maura Pisciarelli
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