Scritto
da Ermanno Olmi con Marco Garzonio, editorialista del “Corriere della sera”,
del 2017.
Una
visione un po' censurata
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Carlo
Maria Martini secondo Olmi. Ma era realmente così?
Ne
parlavo con la mia compagna di cinema, all’uscita subito dopo aver visto il
film, e lei mi diceva che si sentiva troppo che era visto da “dentro”, cioè da
un cattolico credente. Mi è sembrato un Martini un po’ troppo “smussato”. Non
sono certo una specialista, ma ho dei dubbi che la figura di Martini, tanto
osannata dalla sinistra, fosse tutta qui, così come presentata da Olmi e
Garzonio. Mi sembrava, inoltre, di ricordare che il Cardinale fosse molto più
combattivo. Molte sono state le sue prese di posizioni anche dure rispetto l’establishment chiesastico, basti
ricordare la sua presa di posizione nel caso di Piergiorgio Welby con la distinzione
tra l’accanimento terapeutico e l’eutanasia (tutto questo il regista
ottacinquenne lo evita accuratamente nel film). Infatti, nel suo ultimo libro “Credere e conoscere” il Cardinale, anche
lui ottantacinquenne e già malato di Morbo di Parkinson da sedici anni, così
scriveva: «La
crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita
pure in condizioni un tempo impensabili. Senz’altro il progresso medico è
positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono
interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di
saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla
persona».
Aveva anche firmato un articolo sull’Espresso
(all’epoca scritto assieme a Ignazio Marino), dove affrontava questioni
fondamentali come: aborto, contraccettivi, fecondazione artificiale, eutanasia.
Secondo lui esistono “zone di frontiera” o zone grigie dove «non
è subito evidente quale sia il vero bene…e pertanto è buona regola astenersi
dal giudicare frettolosamente e poi discutere con serenità per non creare
inutili divisioni».
Questo, a mio avviso, credo sia stato il suo maggior insegnamento.
Ma osserviamo
la sua storia raccontata in Vedete, sono
uno di voi. Carlo Maria Martini nacque a Torino nel 1927, in una famiglia
agiata; il padre era un ingegnere di Orbassano, la madre, che si chiamava Olga
Maggia, era una fervente cattolica. A soli diciassette anni diventò novizio
nella Compagnia di Gesù di Cuneo e, nel 1958, si laureò in teologia
all’Università Gregoriana. Continuò i suoi studi presso il Pontificio Istituto
Biblico dove prima insegnò, poi ne divenne il Rettore nel 1969. Nonostante le
sue tendenze allo studio e alla speculazione filosofica, venne nominato Arcivescovo
di Milano nel 1979 (fino al 2002). Nell’estate del 2012 Carlo Maria Martini
morì all’Alosianum di Gallarate e da lì, e dalla sua stanza, prende inizio il
film.
Il
Cardinale è stato sicuramente una figura calda, molto umana, con una grande
attenzione a poveri, ai sofferenti, ai carcerati, ai credenti e ai non credenti,
era contrario ai vuoti formalismi, amante della teologia ma anche della
partecipazione e della democrazia. Martini
ha avuto sempre la voglia di capire le persone, le situazioni, i problemi della
società nonostante sia stato testimone di anni difficili, del terrorismo, di
Tangentopoli, di violenze e corruzioni. Credeva fermamente nell’importanza del
dialogo e parlò con tutti: dai politici e dagli intellettuali ai rappresentanti
di altre religioni e culture, dai terroristi alle persone comuni.
Quando
Carlo Maria Martini era Rettore aveva iniziato ad avere degli scambi culturali
con l’Università di Gerusalemme, dove andrà a vivere per alcuni anni. Proprio
lì, anni dopo, gli hanno conferito una laurea
ad honoris in Filosofia presso l’Università Ebraica nel 2006 (naturalmente questo
non è nel film). Aveva chiamato gli
ebrei i “fratelli maggiori” (assente anche questo in Vedete, sono uno di voi). Ha subìto il fascino di questa città che,
evitando comunque di schierarsi, ha chiamato la “città della preghiera”:
venerdì i mussulmani, sabato gli ebrei e la domenica i cattolici.
In
fondo, Carlo Maria Martini è stato l’apripista
di un nuovo modo di essere della Chiesa, quella che oggi è praticata da Papa
Francesco. La sua eredità oggi è finalmente un patrimonio prezioso specialmente
per gli alti prelati.
Con
la voce fuori campo dello stesso regista e con il contributo del figlio Fabio fotografo,
Olmi mette insieme parecchio materiale di repertorio con le interviste condotte
da lui stesso e ci fa, in un’ora e mezza, una lezione di storia del “secolo
breve”. E comunque, sempre secondo Olmi.
Ghisi
Grütter
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