15 luglio 2017

Recensione film: L'INFANZIA DI UN CAPO regia di Brady Corbet



Con Bérénice Bejo, Liam Cunningham, Tom Sweet, Robert Pattinson, Stacy Martin e Yolande Moreau, Sophie Curtis, Rebecca Dayan, Jacques Boudet, del 2015.

Colonna sonora di Scott Walker. Fotografia di Lol Crawley.

 

 


 

Quando le educazioni erano severe

The Childood of a leader è un film intenso e molto bello. Le immagini in costume girate in 35 millimetri e le ricostruzioni storiche e degli ambienti sono molto affascinanti. Il palazzo nel piccolo villaggio francese, ereditato dai protagonisti, è un po’ délabré e presenta pareti polverose, ben fotografate da Lol Crawley. Anche la musica di Scott Walker è suggestiva ed efficace e gli attori molto bravi.

L’infanzia di un capo è stato presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia del 2015, ma è uscito solo da poco nelle sale italiane. Il film è il debutto alla regia di un attore ventottenne americano, che lo preparava da anni e che si è meritato il premio De Laurentiis per la miglior opera prima e per la miglior regia.

Siamo nel 1918 alla fine della Prima Guerra Mondiale e alle soglie del Trattato di Versailles che non riuscirà a sedare i conflitti in atto, anzi, sarà l’antefatto delle insoddisfazioni che porteranno poi alla Seconda Guerra Mondiale.

Liberamente ispirato a un racconto di Jean Paul Sartre del 1939, a cavallo delle due guerre mondiali, il film racconta in quattro atti i capricci dell’infanzia (e l’ascesa) del dodicenne Prescott (Tom Sweet) figlio di un consigliere (Liam Cunningham) di Woddrow Wilson e di un’affascinante donna poliglotta (Bérénice Bejo) cresciuta in Europa ma naturalizzata americana. Il bambino si presenta problematico: figlio unico è stato trapiantato in Francia dagli Stati Uniti, costretto ad abbandonare gli amici, cerca inutilmente le attenzioni dei genitori nei modi più sbagliati. Dal padre anaffettivo riceve solo regole e punizioni, mentre la madre, fervente religiosa, non sa proprio come prenderlo e finirà per allontanare da lui le persone più care, cioè quell’universo femminile caldo fatto di tate e di signorine di francese, le uniche figure che sapevano esprimere affettività.

Del resto le educazioni dei genitori erano così austere fino a mezzo secolo fa. I padri severi picchiavano i figli, spesso con la cinghia.  Alle domande dei figli: ”posso fare questo?” rispondevano “no” e ai “perché?” “perché no” oppure “perché te l’ho detto io”.

Brady Corbet che è anche lo sceneggiatore del film, ha cercato di inserire aneddoti reali nella vicenda; sembra che il lancio dei sassi da dietro un cespuglio sia realmente accaduto al giovane Mussolini.

Vari sono i suoi riferimenti cinematografici (da Michael Haneke a Lars von Trier fino a Ruben Östlund) ma più di tutti ci sembra sia emergente il Kubrick di Barry Lindon nel compiacimento di ricreare quadri d’epoca e nella scelta di luci tenue. Sul finale, stringato e simbolico, invece Corbet sembra prediligere uno stile sokuroviano con musiche stridenti da thriller.

 

Ghisi Grütter


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