19 luglio 2017

UNA SINISTRA NON INNOCENTE

 
di   Maura Cossutta
 
A sinistra finalmente qualcosa si muove. Tante sono le iniziative, gli incontri, sempre tutti affollatissimi, segno e segnale di un forte  bisogno individuale e collettivo di partecipare, di parlare, di uscire dall’isolamento e dall’ininfluenza, di sentirsi parte attiva di cambiamenti sempre più urgenti. Sono in tanti che non aspettano altro che essere finalmente impegnati per pensare e per fare. Lavoratori, professionisti, tecnici, insegnanti, artisti, medici, intellettuali, donne e uomini, ognuno con la propria esperienza, competenza, con le loro vite e con il loro lavoro. E’ una domanda politica alla politica, è una domanda di sinistra alla sinistra, è una domanda di riscatto e anche di progetto, di rigore, serietà, di contenuti e di  linguaggi, di valori . Finalmente di rappresentanza. Ma non possiamo più sbagliare. Serve capacità di ascolto, la voglia di crederci, di mettersi in gioco fino in fondo, a partire da ognuno di noi. Senza più indugi, ne errori. Senza più tatticismi, ne leaderismi, cercando autorevolezza (e non autorità), forza (e non potere), unità (e non unicità). 
 
Oggi serve più sinistra ma soprattutto un’altra sinistra, unitaria, tanto radicale quanto non minoritaria. Serve un pensiero forte, coerente e coraggioso, che faccia i conti con quello che la sinistra è stata in questi ultimi anni. Da una parte  le illusioni, le ambivalenze sulla globalizzazione,  le colpevoli contiguità con il cosiddetto “pensiero unico” e dall’altra il solipsismo delle fughe identitarie. Oggi la fase è profondamente mutata, la crisi morde, la disperazione sociale si diffonde, il pareggio dei bilanci assurge a prioritario principio costituzionale e le tutele e i diritti ne diventano una conseguente variabile,  la politica cede il proprio ruolo all'economia, abdicando al compito di ridurre le disuguaglianze e quindi di garantire i diritti per tutti. La fase è profondamente mutata ma con essa anche le  condizioni politiche sono totalmente cambiate. 

Condizioni “oggettive” ma anche “soggettive” non solo impongono a tutti di impegnarsi con la massima responsabilità, ma determinano possibilità fino ad oggi impensabili. Da qui, da questo assolutamente inedito spazio di nuova sinistra dobbiamo tutti ripartire. Abbiamo finalmente un’analisi comune che ci permette di tracciare la sostanza di un programma e di un orizzonte ideale comune. Ma molto c’è ancora da fare e da pensare. Serve uno scatto culturale e politico, ma serve anche generosità. Se ne parla tanto ma chi la dimostra? Anche le  pratiche di relazione tra noi devono allora presentare discontinuità con le esperienze passate.  Più che di regole -che rischiano soltanto di “contare” le nostre diversità- abbiamo bisogno di pratiche, per rispettare queste diversità, per tenerle insieme. Dobbiamo sapere ascoltare, aprirci, allargarci, rinnovarci.  I giovani, che si sono mobilitati per il referendum, oggi restano ancora troppo in disparte. E le donne, che da sempre hanno rappresentato la spinta critica e innovativa per la sinistra?  Mancano ancora troppo parole di donne. E spiace constatare che sul femminismo il dibattito pubblico a sinistra resta ancora afono e sordo. Eppure la crisi della sinistra ha avuto anche a che fare con questa scarsa lungimiranza strategica, che non ha mai fino in fondo assunto l’approccio di genere nella lettura delle disuguaglianze né per le politiche di cambiamento.  
 Anche “l’articolo 1” è stato declinato solo in modo neutro. Eppure diritti e libertà non sono neutri, a partire dal diritto al lavoro; i principi costituzionali per essere effettivi devono essere declinati in modo sessuato; le stesse inedite sfide tecnologiche e scientifiche non possono essere affrontate senza nominare la libertà femminile.  Ascoltiamo allora le giovani donne del movimento “Non una di meno!” che hanno saputo usare linguaggi e pratiche diverse, hanno rinominato il femminismo intrecciando in modo naturale ambiti che hanno invece diviso profondamente nel passato il movimento delle donne e cioè gli obiettivi dell’emancipazionismo con quelli della liberazione femminile; hanno voluto i ragazzi sfilare con loro contro la precarietà delle loro vite, che impedisce
            1 ogni scelta di libertà. Materialità e libertà, da tenere insieme per ridefinire le relazioni affettive e sessuali, le scelte produttive e riproduttive.  
 Sono le giovani donne e i giovani uomini a ricordarci oggi che il diritto alla salute è il "diritto forte" che riconosce e promuove tutti gli altri diritti, economici, sociali, civili, che parla dei nostri corpi, delle nostre vite, delle nostre differenze, del modo di vivere e di pensare di ciascuno di noi, del lavoro che c'è e che non c'è, dell'ambiente in cui viviamo e lavoriamo, delle relazioni umane tra le persone e nella comunità, della relazione tra le donne egli uomini. E’ il diritto che parla  della  qualità della democrazia, non soltanto decidente, ma sostanziale, non escludente, che promuove la rimozione delle cause delle disuguaglianze, che sa nominare le uguaglianze dei risultati e non solo quella delle opportunità, che sa riconoscere le differenze per non trasformarle in disuguaglianze, che accoglie la laicità che come suo valore fondante, che costruisce il patto di convivenza di una comunità e della cultura di una società sempre più plurale, che mette al centro la partecipazione consapevole delle persone e la loro capacità di scegliere, la loro libertà.  Ma per tutto questo non bastano le politiche,  nemmeno le risorse, i servizi o la professionalità degli operatori; è invece appunto ineludibile uno straordinario processo di emancipazione sociale, di grande cambiamento del nostro sistema produttivo, di trasformazione dei ruoli sociali e delle relazioni tra gli uomini e le donne, di costruzione di prassi sociali di solidarietà e di reciprocità.  Di reciprocità, sottolineo,  perché solo con relazioni che praticano la reciprocità possono essere riconosciute le differenze per impedire che diventino disuguaglianze. 
 
Dobbiamo guardare quindi fuori dai nostri recinti, ai giovani, alle donne, ai tanti e alle tante che “resistono” ma che ancora non riconoscono un “luogo” dove battersi e che si sono persino stancati di aspettare. In politica, come nella vita, le ferite esigono tempo ed elaborazione per essere trasformate. Dobbiamo riuscire a diventare il catalizzatore di queste  trasformazioni, a essere capaci di innescare reazioni emotive e intellettuali. Sono convinta che solo se in ognuno di noi prevarrà la continua ricerca di valori alti, di senso, di significato, la sinistra che verrà non sarà imprigionata nella tattica asfittica del giorno per giorno, ma riuscirà ad affascinare, a mobilitare, a suscitare la speranza che da troppo tempo è  stata tradita. Se non sarà,  nessuno potrà dirsi innocente.   
 
 
 
 
   
 
 
 
 

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