Con Alex
R. Hibbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes, Janelle Monàe, Jarrel Jerome, Naomie
Harris, André Holland, Mahershala Ali, del 2016.
L’altra Miami
Il
film Moonlight racconta una storia
umana e commovente, tratta dall’opera teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney, anche
se il regista Barry Jenkins, che ne è anche lo sceneggiatore, è riuscito a non
fare sentire troppo la matrice teatrale. Il film è strutturato in tre parti
corrispondenti a tre età di Chiron: bambino, adolescente e adulto. A dieci anni
Chiron era chiamato da tutti “Little” (interpretato dal delizioso Alex R.
Hibbert), era un bimbo timido, molto chiuso e sofferente. La madre (una molto
brava Naomi Harris) si drogava e lo trascurava, mentre a scuola era vittima di
bullismo. Un giorno mentre scappava dai compagni di scuola incontra Juan (Mahershala
Ali), uno spacciatore del quartiere, ma anche una sorta di “gigante buono” che
diventerà il suo padrino, gli insegnerà a nuotare e ad affrontare la vita: « a
casa mia non ti devi mai sedere con le spalle alla porta, può sempre entrare
qualcuno all’improvviso…» gli dice di fronte alla sua bellissima compagna Teresa (Janelle
Monàe).
Nel secondo
capitolo Chiron, sempre timido e taciturno (interpretato dal bravissimo Ashton
Sanders),
conoscerà la sessualità con il suo amico e compagno di scuola Kevin (Jarrel
Jerome) e reagirà violentemente alle terribili angherie orchestrate dai soliti compagni
di scuola omofobi finendo, però, in riformatorio.
La terza
parte da Miami si sposta ad Atlanta, Georgia, a distanza di quasi dieci anni, mostra
“Black” (altro soprannome di Chiron interpretato da Trevante Rhodes) adulto, apparentemente
forte e solido, diventato anche lui spacciatore indisturbato di una vasta zona
di Atlanta.
Quest’ultima
parte, a mio avviso è stata caricata un po’ troppo. L’esplosione della muscolosità
e l’eccessiva preparazione atletica del protagonista – da fragile e mingherlino
qual era da bambino e adolescente – e tutta la sua maschera da duro (denti
d’oro, catena e pistola) rispetto al suo essere represso nella sua
omosessualità e nei sentimenti in generale, rendono questo omaccione un po’ goffo.
Per contro, molto belli sono i dialoghi dei due amici imbarazzati che si rincontrano
dopo così tanti anni, anche se hanno fatto scelte diverse ed entrambi sono
cambiati, ricordano con affetto il passato comune.
Barry
Jenkins ci mostra una Miami povera e degradata di Liberty City o di Overtown, un
ambiente dove non c’è neanche un bianco (afroamericani, meticci, sudamericani
scuri, ecc.), ma solo persone disperate che o sono drogati o sono spacciatori. Moonlight è un film generoso e intenso
che tocca vari aspetti della fragilità maschile, del mutamento e della faticosa
ricostruzione della propria identità (nel corpo e nell’anima), e mette in
evidenza la dicotomia tra l’essere e l’apparire. Anche se è molto ben
interpretato da tutti gli attori, non riesce a entusiasmare del tutto come
film.
Il regista,
appartenente al movimento di cinema indipendente Mublecore, ha aspettato otto
anni prima di dirigere il suo secondo film dopo Medicine for Melancholy del 2008. Presentato al festival di Roma
2016, Moonlight aveva già vinto il
Golden Globe per il migliore film drammatico, con Mahershala Ali ha vinto
lo Screen Actors Guild Award, ha vinto tre statuette all’89mo Oscar: miglior
film, migliore sceneggiatura non originale a Barry Jenkins e Tarell Alvin Mc
Craney, e miglior attore non protagonista a Mahershala Ali.
Ghisi
Grütter
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