L' introduzione elementare ai sistemi elettorali cerca di attirare l'attenzione sugli obiettivi (stabilità e governabilità) che secondo alcuni i sistemi elettorali dovrebbero perseguire. Sostengo che i citati obiettivi sono un imbroglio e non sempre conciliabili e che la governabilità dipende da altri fattori. Aggiungo solo che è semplicistico contrapporre proporzionale e maggioritario secco. La combinazione del proporzionale con la dimensione dei collegi, con le soglie, con la previsione di recuperi diversi di seggi, con turni diversi, ballottaggi, con premi al singolo partito o alla coalizione possono rendere sistemi a base proporzionale e a base maggioritaria equivalenti negli effetti. PQM servono le simulazioni con modelli matematici avendo a monte chiari gli obiettivi che si vogliono perseguire e sapendo che gli obiettivi di rado convergono.
Enzo Russo
Molti ci dicono che il compito dei sistemi elettorali
è quello di assicurare la stabilità del governo e della legislatura e la
governabilità del Paese. Non è così perché le due parole vengono utilizzate
come sinonimi e, invece, tali non sono. In generale la stabilità può essere
condizione necessaria ma non sufficiente per la governabilità. Nel Paese del
Gattopardo dove spesso si cambia tutto per lasciare le cose come stanno, e dove
prevale l’approccio secondo cui i problemi si risolvono con l’approvazione di
nuove leggi che poi rimangono inattuate neanche le due condizioni di necessità
e sufficienza funzionano. Aggiungo che i politici governanti, non di rado,
spacciano per governabilità la stabilità del loro governo coerentemente con
l’osservazione secondo cui il vero obiettivo dei governanti è quello di
massimizzare il loro potere oltre che prolungarlo nel tempo. PQM vale la pena
di precisare che governabilità è la capacità di un governo di risolvere sul
serio i problemi del Paese e, in particolare, quelli delle classi più deboli.
Per stabilità loro intendono che il governo e la legislatura durino tutto il
tempo ordinariamente previsto per la seconda e/o per più legislature se
rieletti. Ma se un governo dopo un anno o due non riesce a risolvere i problemi
come sopra o, addirittura, fa solo gli interessi dei più forti, è meglio
mandarlo a casa al più presto possibile.
A chi fa il confronto con la situazione della prima
Repubblica mi sento di dire che tale comparazione non è molto appropriata
perché con la caduta del Muro di Berlino (1989) e l’implosione dell’Unione
Sovietica (1991), la situazione in Europa e specialmente in Italia è veramente
cambiata. Nella prima Repubblica l’alternanza al governo non era possibile per
via del vincolo estero. La Democrazia Cristiana aveva una cospicua maggioranza
relativa con il sistema elettorale di tipo proporzionale. Il sistema era
bloccato. Quando nel 1976 Aldo Moro, più per necessità che per virtù, organizza
il governo di solidarietà nazionale associando il PCI al governo, pagherà con
la vita detta scelta che altri, in Italia e all’estero, ritenevano sbagliata.
Negli anni ’90 prima con la legge n. 81/1993 per la elezione diretta dei
Sindaci e dei Presidenti dei consigli provinciali e poi con quella per
l’elezione diretta dei presidenti delle Regioni a statuto ordinario (l. n.
43/1995 poi costituzionalizzata con l’art. 5 della legge costituzionale n.
1/1999) si va ad una forte torsione in senso maggioritario. In tutta sintesi,
dette leggi hanno assicurato la stabilità ma di certo non la migliore
governabilità nella maggior parte delle regioni e degli EELL. Prima c’erano
frequenti crisi dei consigli comunali, provinciali e regionali e dopo no, ma la
qualità del prodotto non è cambiata, anzi, a mio giudizio, per alcuni aspetti è
peggiorata.
Per il livello nazionale, sempre nei primi anni ’90,
con l’approvazione delle leggi 276 e 277 del 4-08-1993 si introdusse un sistema
elettorale composito che prevedeva un maggioritario a turno unico per la
suddivisione del 75% dei seggi delle due Camere e un recupero proporzionale (e
differenziato tra Camera e Senato) del 25% dei rimanenti seggi. Per la Camera
era anche previsto uno sbarramento al 4%. Il c.d. Mattarellum ha eletto tre
legislature, ha consentito l’alternanza ma nel 2005 è stato abbandonato perché,
in modo diretto o indiretto, si voleva passare all’elezione in fatto diretta
del premier. Le analisi dei politologi di allora dicevano che si trattava di un
maggioritario coatto perché costringeva a formare coalizioni eterogenee. Nel
2005, contestualmente alla riforma costituzionale – fatta approvare da
Berlusconi a colpi di maggioranza assoluta -
veniva approvata la legge elettorale Calderoli n. 270/2005
proporzionale, con premio di maggioranza e liste bloccate. Queste ultime
consentono alle oligarchie centralistiche dei partiti di nominare gran parte
dei Deputati e Senatori. È stata utilizzata per le elezioni del 2006 quando
favorì l’elezione di Prodi del partito di opposizione, nel 2008 e nel 2013. Il Professore veniva messo in minoranza ad
opera di Veltroni per interposta persona (Mastella) facilitato dal fatto che al
Senato il governo aveva una esigua maggioranza. Inoltre Prodi e Tommaso Padoa Schioppa,
a fine 2006, attuavano una manovra lacrime e sangue con la legge finanziaria
2007 che scontentava molta gente e facilitava la vittoria di Berlusconi che,
invece, prometteva riduzioni massicce delle tasse e, in particolare, di quelle
sulle prime case. Nel 2008 ritornava al potere Berlusconi con una cospicua
maggioranza ma nel 2011, essendosi screditato da solo all’interno e all’esterno
dell’Italia, anche lui perdeva la guida del governo ad opera del Presidente
Napolitano. Ricordo questi particolari per far vedere come, al di là della
bontà del sistema elettorale, la stabilità è assicurata da altri fattori che
hanno a che fare con la qualità della leadership e con le rivalità all’interno
dei diversi partiti e/o coalizioni di governo. Nel 2011 il Presidente della
Repubblica Napolitano iniziava la serie dei governi del Presidente sino
all’attuale imprimendo una forte torsione autoritaria e presidenzialista al
sistema istituzionale.
Prima di entrare nella valutazione di una qualsiasi
proposta di sistema elettorale voglio fare una considerazione preliminare.
L’Italia è una società fortemente pluralista al limite del frazionismo
esasperato. Da un lato, il pluralismo è l’essenza della democrazia. Senza
diversità di preferenze e valori non ci sarebbero problemi di rappresentanza e
rappresentatività. In altre parole, se tutti avessimo le stesse preferenze per
gli stessi valori, se tutti condividessimo la stessa teoria della giustizia
sociale, potremmo affidarci ai computer per risolvere facilmente i problemi
economici e sociali in relazione alle risorse scarse, alias, massimizzare la
funzione del benessere sociale. Ma sappiamo che non è così. Gli italiani hanno
interessi e valori molto diversificati non necessariamente convergenti e serve
il lavoro serio ed onesto dei rappresentanti per ricondurli a sintesi e/o
operare i necessari bilanciamenti. Siccome questo problema non è risolvibile
con gli strumenti della democrazia diretta, serve un sistema elettorale che
scelga i rappresentanti e che operi un certo bilanciamento tra i due obiettivi
della governabilità e della stabilità delle maggioranze fermo restando che non
sono due obiettivi naturalmente convergenti ma, in pratica, quasi sempre
divergenti. Occorre quindi procedere a dei bilanciamenti più o meno appropriati.
Da Condorcet a oggi matematici, statistici e premi
Nobel per l’economia hanno studiato i sistemi elettorali allo scopo di
migliorare le procedure delle scelte pubbliche.
Non è il mio caso, ma per capire meglio ho studiato la letteratura
sull’argomento e ho seguito all’Università qualche seminario scientifico
sull’argomento. Prima di sceglierli i sistemi elettorali andrebbero simulati
con modelli statistico-matematici che oggi possono contare, in alcuni paesi, su
una straordinaria abbondanza di dati (c.d. big data), che, in un modo o
nell’altro, rilevano le preferenze degli elettori. In breve, la conclusione è
che, in teoria, non esiste un sistema elettorale ottimo per tutti i Paesi e per
tutti gli usi. Il sistema elettorale può essere paragonato ad un vestito che va
ritagliato e allestito su misura sul corpo degli elettori e siccome non c’è un
vestito adatto per lavorare in una cava e, allo stesso tempo, per andare ad una
festa, bisognerebbe avere diversi vestiti a seconda delle esigenze. In Italia di sistemi elettorali per lo più si
occupano o giuristi senza alcuna familiarità con i modelli di simulazione o
statistici e sondaggisti senza alcuna cultura istituzionale. Cerco di spiegarmi
meglio con un esempio relativo alla nostra recente esperienza. Per scrivere o
riscrivere una costituzione serve un sistema elettorale che assicuri il massimo
di rappresentatività delle diverse
componenti della società. PQM opportunamente si eleggono le assemblee
costituenti con sistemi elettorali di tipo proporzionale. Un sistema un po’
meno proporzionale e/o maggioritario che incoraggi il compattamento delle
diverse forze politiche può andare bene per l’elezione del Parlamento. Ancora
diverso è il problema dell’elezione diretta del capo del governo a seconda che
siamo in regime di separazione netta dei poteri, a seconda che nella società
prevalga una forte coesione sociale che, a sua volta, dipende dalla più ampia
condivisione dei valori alla base dei diritti e delle libertà fondamentali
delle persone. Vale la pena sottolineare il punto della differenza tra
l’eleggere una o due camere dei rappresentanti ed eleggere direttamente il
governo. In quest’ultimo caso, si esce dalla Repubblica parlamentare e si entra
in quella del premierato assoluto. La missione fondamentale del governo è
governare, quella dei rappresentanti è appunto di rappresentare le esigenze dei
cittadini-elettori e controllare l’attività del governo. Senonché le preferenze
e/o i bisogni collettivi dei cittadini possono cambiare anche durante l’arco
temporale di una legislatura mentre la funzione di controllo resta ordinaria e
permanente. Se le missioni sono diverse
sarebbe opportuno avere sistemi elettorali diversi per il governo e per le
camere rappresentative. È quello che prevede la Costituzione degli Stati Uniti
con la problematica separazione netta dei poteri che non piace alla stragrande
maggioranza dei costituzionalisti e politologi italiani e, meno che mai, ai
politici italiani. Il modello del
Sindaco d’Italia previsto nella riforma costituzionale appena bocciata voleva
un Parlamento asservito al governo. E il governo dalla notte dei tempi tende ad
essere autocratico e/o autoritario. Sta lì per decidere e valorizza le proprie
preferenze specialmente quando i programmi di governo sono formulati in termini
generici e le preferenze dei cittadini-elettori non sono facilmente
aggregabili.
Ma al di là dell’ingegneria istituzionale, sinteticamente,
G. Zagrebelsky ha affermato che le “costituzioni sono come dei vestiti. Si
indossano bene se coprono un corpo sano”. Cito a memoria: se vengono cucite
addosso ad un corpo malato, ossia, una società che non ha una teoria della
giustizia sociale largamente condivisa, una società dove c’è una forte
propensione alla delega. Una società che percepisce come iniquo ed inefficiente
il sistema di governo, anche “la più bella costituzione del mondo” non funziona
perché, in pratica, non trova il consenso necessario per attuarla. Questo vale
anche per i sistemi elettorali. Se nella società c’è forte coesione sociale ed
etica della responsabilità, al di là dei dati numerici e dei partiti, le parti
più responsabili delle diverse forze politiche assicurano governi e
governabilità. Altrimenti no. Un esempio preclaro è quello degli Stati Uniti
che, per oltre due secoli, il Paese è stato governato dall’accordo bipartisan
tra le ali moderate del partito democratico e di quello repubblicano, isolando
nel Congresso le ali estremiste dell’uno e dell’altro partito. Come noto, negli
Stati Uniti le due Camere e il Presidente sono eletti con sistemi elettorali
diversi e diversa è la durata dei rispettivi mandati: due anni per la Camera
dei rappresentanti, 4 anni per il Presidente, 6 anni per i senatori che però si
rinnovano per 1/3 ogni due anni. Credo
che solo in Italia sedicenti esperti di sistemi elettorali cercano un sistema
elettorale che assicuri la stessa maggioranza sia alla Camera che al Senato. Ma
se Deputati e Senatori devono essere dei cloni che senza discutere e senza
possibilità di modificare i ddl proposti dal governo, che senso ha avere il
bicameralismo paritario o differenziato?
I più ci dicono che eleggere le due Camere con due
leggi elettorali diverse significherebbe avere due Camere ingovernabili. E già
perché il problema è quello di governare, alias, sottomettere ai voleri del
governo i rappresentanti del popolo sovrano. Se questa resta la volontà delle
forze politiche dopo l’esito del referendum, la democrazia resta in pericolo
perché, in questo modo, salterebbe la separazione dei poteri che è l’essenza dello
Stato di diritto. Le forze conservatrici hanno in mano l’arma della riforma
elettorale e questa è altrettanto pericolosa della riforma appena bocciata.
Prima i conservatori rifiutavano di discutere il combinato disposto perché la
riforma sottoposta a referendum era una legge costituzionale mentre il sistema
elettorale è previsto da una legge ordinaria. Ora ci dicono: discutiamone ma
gli obiettivi fondamentali restano gli stessi. Si dobbiamo discuterne ma liberamente
e con il massimo di chiarezza, soprattutto, al riguardo degli obiettivi che si
intendono perseguire. Dobbiamo conoscere bene tutte le implicazioni e le
problematiche relative alla scelta tra diversi sistemi elettorali e i dettagli
delle loro varianti. Lo ripeto si tratta di scegliere tra un sistema elettorale
unico con obiettivi plurimi per lo più inconciliabili tra di loro o sistemi
elettorali diversi per Camere elettive diverse. Dobbiamo sapere che
apprendisti-stregoni sono al lavoro e che il loro obiettivo è asservire i
rappresentanti del popolo sovrano al governo che, non di rado, si piega agli
interessi della finanza rapace. La vittoria referendaria non deve indurci ad
abbassare la guardia.
Note:
Legge 25 marzo 1993, n. 81: Elezione
diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e
del consiglio provinciale Pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta
Ufficiale n. 72 del 27 marzo 1993;
Legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei
consigli delle regioni a statuto ordinario – c.d. “Tatarellum”). Tale normativa
è stata successivamente costituzionalizzata dal legislatore costituzionale che,
all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999;
Le leggi 4
agosto 1993 n. 276 e n. 277, (c.d. Mattarellum) e introdussero in Italia, per
l'elezione del Senato e
della Camera dei
deputati, un sistema
elettorale misto maggioritario a
turno unico per la ripartizione del 75% dei seggi parlamentari; proporzionale
differenziato (con scorporo al Senato, liste bloccate e sbarramento alla Camera)
per il 25% dei residui seggi.
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