Con Mimi
Branescu, Judith State, Bogdan Dumitrache, Dana Dogaru, Sorin Medeleni, Ana
Ciontea, Tatiana Iekel, del 2016. Fotografia di Barbu Balasoiu.
Ritualità e ipocrisia
Sieranevada è un film estenuante per la
sua lunghezza, soffocante nel suo essere così claustrofobico, irritante per il
peso delle situazioni famigliari, ma molto bello.
La
sua durata, infatti, è di quasi tre ore (173 minuti) girate con pochissimi
piani sequenza. In effetti, una mezz’ora in meno non avrebbe tolto significato
al film anzi, lo avrebbe reso ancora più accettabile.
Siamo
a Bucarest subito dopo l’attentato parigino a “Charlie Hebdo” del 7 gennaio
2015, nella casa del vecchio capofamiglia Emil morto da poco. Nella sua
famiglia si stanno per svolgere le celebrazioni funebri – la prima delle tre cerimonie
in quaranta giorni secondo la tradizione ortodossa - in attesa dell’arrivo del
prete per la benedizione.
La
casa sembra essere un corridoio tra porte che si aprono e si chiudono continuamente.
Lì è piazzata la cinepresa che distribuisce i gruppi mediante la tecnica del long take e cioè di lunghe inquadrature
quasi completamente prive di montaggio (famoso fu l’uso del long take lungo les Champs Elysées di
Jean Luc Godard in Fino all’ultimo
respiro del 1960).
Come
tutti quelli mostrati dalla cinematografia romena – l’appartamento è strapieno
di oggetti in una sorta di horror vacui
e le stanze sono mondi generazionali che svolgono differenti funzioni tematiche:
quello dell’infanzia e dell’innocenza, quello dell’adolescenza e della scoperta
delle droghe, e poi la stanza della politica, quella della religione e così
via. L’unico bagno in fondo al corridoio è sempre occupato. La cucina è il vero
cuore della casa, lì si fuma, si discute, si fa della filosofia, si riscalda il
latte dei bimbi, si cucina la zuppa e così via.
Lary
è il figlio maggiore medico, attraverso i cui occhi, si osserva e costituisce
un po’ il centro della vicenda. Ci sono sua moglie, sua madre, una sorella
minore con marito e un bambino, suo fratello militare. C’è la zia Ofelia,
sfuggita dal marito adultero, con i due figli: il maschio, politicamente impegnato,
che crede nel “complotto dell’11 settembre” e Camelia, la giovane sventata che
si porta dietro un’amica serba ubriaca e che vomita a più riprese. Ci sono tre
amici di famiglia tra cui una signora anziana che crede che il comunismo sia
stato, e sia ancora, la soluzione più giusta per tutti i mali e rimpiange i tempi
di Ceausescu.
Come
in una pièce teatrale ci sono le
entrate e le uscite di scena. La moglie
di Lary se ne va a fare spesa al supermercato proprio mentre arriva il
secondogenito, più tardi arriverà il fedifrago zio Toni che sosterà sul
pianerottolo per un po’. A questo punto se ne andrà suo figlio con il quale c’è
incompatibilità. Bella è la scena del prete ritardatario con i due
chierichetti, con i suoi salmi e benedizioni, che racconta un suo sogno sulla
ridiscesa in terra del Messia di sapore bunuelliano.
Un’altra
caratteristica del film è la cupezza delle immagini, l’assenza di luce
naturale, e la mancanza di spazio; nonostante la famiglia sembrerebbe
appartenere a una fascia benestante – due dei maschi sono medici – l’appartamento
ha dimensioni modeste e neanche attorno al tavolo c’è sufficiente posto, bisogna
quindi alzarsi continuamente dalle sedie per far passare le persone.
Il
tempo scorrerà tra gesti inutili – apparecchiare e sparecchiare cose, piatti,
scodelle, portare cibo preconfezionato ai vicini e, non ultimo, il giovane
cugino che deve indossare un vestito benedetto del morto, peraltro, palesemente
over size: prima di tutto ciò è
vietato toccare il cibo. Tra i temi come i complotti e il comunismo, tra
infedeltà sessuali, bugie e consumismi, la ritualità della tradizione è salva e
va rispettata!
Cristian
Puiu è l’autore de La morte del signor
Lazarescu del 2005, uno dei capostipiti della nuova cinematografia rumena,
e con Sieranevada ha ottenuto,
meritatatmente, il Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 2016.
Ghisi
Grütter
Nessun commento:
Posta un commento