29 giugno 2017

Recensione film : SIERANEVADA regia di Christian Puiu


 

Con Mimi Branescu, Judith State, Bogdan Dumitrache, Dana Dogaru, Sorin Medeleni, Ana Ciontea, Tatiana Iekel, del 2016. Fotografia di Barbu Balasoiu.

 

 



 

Ritualità e ipocrisia

 

Sieranevada è un film estenuante per la sua lunghezza, soffocante nel suo essere così claustrofobico, irritante per il peso delle situazioni famigliari, ma molto bello.

La sua durata, infatti, è di quasi tre ore (173 minuti) girate con pochissimi piani sequenza. In effetti, una mezz’ora in meno non avrebbe tolto significato al film anzi, lo avrebbe reso ancora più accettabile.

Siamo a Bucarest subito dopo l’attentato parigino a “Charlie Hebdo” del 7 gennaio 2015, nella casa del vecchio capofamiglia Emil morto da poco. Nella sua famiglia si stanno per svolgere le celebrazioni funebri – la prima delle tre cerimonie in quaranta giorni secondo la tradizione ortodossa - in attesa dell’arrivo del prete per la benedizione.

La casa sembra essere un corridoio tra porte che si aprono e si chiudono continuamente. Lì è piazzata la cinepresa che distribuisce i gruppi mediante la tecnica del long take e cioè di lunghe inquadrature quasi completamente prive di montaggio (famoso fu l’uso del long take lungo les Champs Elysées di Jean Luc Godard in Fino all’ultimo respiro del 1960).

Come tutti quelli mostrati dalla cinematografia romena – l’appartamento è strapieno di oggetti in una sorta di horror vacui e le stanze sono mondi generazionali che svolgono differenti funzioni tematiche: quello dell’infanzia e dell’innocenza, quello dell’adolescenza e della scoperta delle droghe, e poi la stanza della politica, quella della religione e così via. L’unico bagno in fondo al corridoio è sempre occupato. La cucina è il vero cuore della casa, lì si fuma, si discute, si fa della filosofia, si riscalda il latte dei bimbi, si cucina la zuppa e così via.

Lary è il figlio maggiore medico, attraverso i cui occhi, si osserva e costituisce un po’ il centro della vicenda. Ci sono sua moglie, sua madre, una sorella minore con marito e un bambino, suo fratello militare. C’è la zia Ofelia, sfuggita dal marito adultero, con i due figli: il maschio, politicamente impegnato, che crede nel “complotto dell’11 settembre” e Camelia, la giovane sventata che si porta dietro un’amica serba ubriaca e che vomita a più riprese. Ci sono tre amici di famiglia tra cui una signora anziana che crede che il comunismo sia stato, e sia ancora, la soluzione più giusta per tutti i mali e rimpiange i tempi di Ceausescu.

Come in una pièce teatrale ci sono le entrate e le uscite di  scena. La moglie di Lary se ne va a fare spesa al supermercato proprio mentre arriva il secondogenito, più tardi arriverà il fedifrago zio Toni che sosterà sul pianerottolo per un po’. A questo punto se ne andrà suo figlio con il quale c’è incompatibilità. Bella è la scena del prete ritardatario con i due chierichetti, con i suoi salmi e benedizioni, che racconta un suo sogno sulla ridiscesa in terra del Messia di sapore bunuelliano.

Un’altra caratteristica del film è la cupezza delle immagini, l’assenza di luce naturale, e la mancanza di spazio; nonostante la famiglia sembrerebbe appartenere a una fascia benestante – due dei maschi sono medici – l’appartamento ha dimensioni modeste e neanche attorno al tavolo c’è sufficiente posto, bisogna quindi alzarsi continuamente dalle sedie per far passare le persone.

Il tempo scorrerà tra gesti inutili – apparecchiare e sparecchiare cose, piatti, scodelle, portare cibo preconfezionato ai vicini e, non ultimo, il giovane cugino che deve indossare un vestito benedetto del morto, peraltro, palesemente over size: prima di tutto ciò è vietato toccare il cibo. Tra i temi come i complotti e il comunismo, tra infedeltà sessuali, bugie e consumismi, la ritualità della tradizione è salva e va rispettata!

Cristian Puiu è l’autore de La morte del signor Lazarescu del 2005, uno dei capostipiti della nuova cinematografia rumena, e con Sieranevada ha ottenuto, meritatatmente, il Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 2016.

 


Ghisi Grütter

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