8 giugno 2017

UNA "MORTE DIGNITOSA " PER TOTO' RIINA

A proposito del pronunciamento della Corte di Cassazione di far morire Totò Riina ,  che occhio e croce dovrebbe scontare oltre 3000 anni di reclusione prima della sua scarcerazione, a casa propria  fuori dal carcere perché  affetto da gravi problemi di salute, e  a proposito di tutte le dichiarazioni pro e contro rilasciate in questi giorni , anche Tre Righe vuole dire la sua , facendo parlare lo stesso Riina.
Dalle sue parole, possiamo comprendere meglio quale valore lui attribuisca   alla vita e quindi essere più obiettivi nell'esprimere un giudizio circa la sua eventuale o meno scarcerazione.
D.F.
                                        
                            Totò Riina  (da giovane)
 
"Io ho detto al bambino di mettersi in un angolo, cioè vicino al letto, quasi ai piedi del letto, con le braccia alzate e con la faccia al muro. Allora il bambino, per come io ho detto, si è messo faccia al muro. Io ci sono andato da dietro e ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato indietro e l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera (incrocia le braccia) e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muoveva. Nel momento della aggressione che io ho butttato il bambino e Monticciolo si stava già avviando per tenere le gambe, gli dice ‘mi dispiace’ rivolto al bambino ‘tuo papà ha fatto il cornuto’ (…) il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, uno solo e lento, ha fatto solo questo e non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi. (…) io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura di quello ce abbia potuto capire o è un fatto naturale perché è gonfiato il bambino. Dopo averlo spogliato, ci abbiamo tolto, aveva un orologio da polso e tutto, abbiamo versato l’acido nel fusto e abbiamo preso il bambino. Io ho preso il bambino. Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra. (…) io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire."
(Una confessione di Riina tratta da Atti del processo del libro "al posto sbagliato, storie di bambini vittime di mafia)."

I commenti in rete

La mafia è quella forma di criminalità associata che fonda il suo potere sulla determinazione feroce e spietata a uccidere chi le si oppone come e quando le pare. Totò Riina ne è il capo e comandante. Io sono per riconoscergli il rispetto del diritto di umanità nella morte solo dopo che si sarà pentito, avrà chiesto perdono, avrà confessato tutto. La dignità si conquista, non può essere gratuitamente regalata a chi per teoria e pratica l'ha sempre calpestata. Altrimenti il piccolo Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido senza alcuna colpa, insorgerebbe dalla tomba.

Gian Carlo Marchesini

Per approfondire , pubblichiamo la sentenza in questione  della Corte di Cassazione

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I PENALE
Sentenza 22 marzo - 5 giugno 2017, n. 27766

Presidente: DI TOMASSI MARIA STEFANIA

Relatore: COCOMELLO ASSUNTA

Data Udienza: 22/03/2017


SENTENZA

sul ricorso proposto da

Riina Salvatore, nato il 16/11/1930 a Corleone avverso l'ordinanza n.299/2016 del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, del 20/5/2016;

Visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Assunta Cocomello;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Felicetta Marinelli, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende;

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza del 20 maggio 2016 il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, rigettava le richieste, presentate nell'interesse di Salvatore Riina, di differimento dell'esecuzione della pena ex art. 147, n. 3 cod. pen. e, in subordine, di esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare, ex art. 47- ter, comma 1-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354.

Il Tribunale, anzitutto, escludeva la sussistenza dell' ipotesi di differimento obbligatorio della esecuzione della pena detentiva, prevista dall'art. 146 cod.
pen., non emergendo dalle relazioni sanitarie acquisite che le pur gravi condizioni di salute del detenuto fossero tali da rendere inefficace qualunque tipo di cure e dandosi, anzi, atto nelle stesse, di numerosi ed articolati trattamenti terapeutici praticati al detenuto, unitamente ad un attento e continuo monitoraggio che aveva portato anche a vari ricoveri ex art.11 legge 26/7/1975 n.354, ivi compreso quello, in corso alla data dell'istanza, presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma.

In merito alla valutazione della sussistenza dei presupposti per un rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena, ai sensi dell'art.147, comma 1, n. 2), cod.
pen., il Tribunale sosteneva la trattabilità delle patologie del detenuto anche in ambiente carcerario, evidenziando, in relazione a ciascuna di esse, condizioni tendenzialmente stazionarie. In particolare, con riferimento alla patologia cardiaca, il provvedimento impugnato sottolineava come gli episodi di aggravamento erano stati adeguatamente fronteggiati con tempestivi interventi di ricovero. L'ordinanza escludeva, inoltre, il superamento, nel caso in esame, dei limiti inerenti il rispetto del senso d'umanità di cui deve essere connotata la pena e del diritto alla salute e, in relazione al particolare aspetto del rischio di insorgenza di eventi cardiovascolari infausti, affermava che, proprio in considerazione della idoneità della struttura penitenziaria ad apprestare interventi urgenti, lo stato di detenzione nulla aggiungeva alla sofferenza della patologia, essendo il rischio dell'esito infausto pari e comune a quello di ogni cittadino, anche in stato di libertà.

Infine, a sostegno del rigetto dell'istanza, il provvedimento effettuava un giudizio di bilanciamento della complessa situazione sanitaria del richiedente la misura alternativa con le esigenze di sicurezza ed incolumità pubblica, in ragione della notevole pericolosità del Riina, in relazione alla quale individuava la sussistenza di circostanze eccezionali tali da imporre l'inderogabilità dell'esecuzione della pena nella forma della detenzione inframuraria. In particolare il Tribunale evidenziava l'altissimo tasso di pericolosità del detenuto, soggetto di notevolissimo spessore criminale, che ricopriva "la posizione di vertice assoluto dell'organizzazione criminale Cosa Nostra", ancora pienamente operante e rispetto alla quale il Riina non aveva mai manifestato volontà di dissociazione, circostanze che rendevano impossibile effettuare una prognosi di assenza di pericolo di recidiva del predetto, nonostante l'attuale stato di salute, non essendo necessaria, dato il ruolo apicale rivestito dal detenuto, una prestanza fisica per la commissione di ulteriori gravissimi delitti nel ruolo di mandante.

Rappresentava, altresì, il Tribunale che, solo nel 2013, il ricorrente aveva riportato l'ennesima condanna per minacce rivolte a personale della Polizia penitenziaria ed alla magistratura e che, in data 22 novembre 2015, allo stesso era stato rinnovato, il regime di carcerazione di cui all'art. 41- bis legge n. 354/1975.

2. Avverso il suddetto provvedimento propone ricorso per Cassazione Salvatore Riina, a mezzo del suo difensore, denunciando, con un unico motivo, violazione di legge con riferimento agli artt. 147 cod. pen. e 47-ter comma 1 ter, legge n.354 del 1975, nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente, nello specifico, si duole che nella valutazione dei presupposti per l'applicazione degli istituti di cui all'art.147 cod. proc. pen. e 47- ter comma 1 ter, legge n. 354 del 1975 (nessun ulteriore cenno risulta invece, nel corpo del ricorso, all'art.146 cod. pen.), il provvedimento impugnato:

-adotta una motivazione apodittica, illogica e contraddittoria, laddove alle premesse sul grave stato di infermità fisica del detenuto istante trae comunque le conclusioni per escludere la ricorrenza dei presupposti per l'applicazione degli istituti suddetti; in particolare l'ordinanza opera una valutazione solo parziale dei profili afferenti al "grave stato di infermità fisica del detenuto", in quanto motiva soltanto in ordine al profilo dell'adeguatezza delle cure che possono essere fornite mantenendo lo stato di detenzione inframuraria o per mezzo di ricovero ospedaliero dello stesso, omettendo un' adeguata motivazione sulla necessità di apprezzare, come imposto da principi costituzionali e dalla CEDU, anche l'ulteriore profilo che il mantenimento dello stato detentivo possa risolversi in un trattamento contrario al senso di umanità. Si contesta nello specifico che l'ordinanza affermi che la condizione di un soggetto non più in grado di deambulare e con concreti e riconosciuti rischi di eventi cardiovascolari infausti e non sempre prevedibili, rientri in quei limiti di tollerabilità che rendono la permanenza in carcere sopportabile e non contraria ai principi espressi dall'art.3 CEDU;

- ammette esso stesso, sulla base di un ragionamento illogico e contraddittorio, le deficienze strutturali e, dunque, l'incompatibilità con lo stato di salute del ricorrente, della Casa di reclusione di Parma, laddove, nella parte conclusiva, evidenzia " le deficienze strutturali del carcere, lamentate dalla difesa, pur non rilevanti ai fini del decidere in questa sede, relative alla necessità del condannato di avere a disposizione un particolare letto rialzabile che, per le sue misure, non si riuscirebbe materialmente a far entrare nella camera di detenzione, qualora effettivamente riscontrate dall'Istituto Penitenziario, dovranno essere ovviate nel più breve tempo possibile, potendo il soggetto rientrare in ogni momento dall'ospedale, non potendosi ammettere che la mera assenza delle condizioni materiali di cura possa assurgere a possibile causa della scarcerazione di un soggetto di tale risaputo spessore criminale". In merito, evidenzia il ricorrente, la genericità di tale segnalazione, la quale, non indicando i rimedi necessari né i tempi di realizzazione degli stessi, rappresenta la negazione del presupposto affermato dall' ordinanza medesima.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 

1.11 Collegio ritiene che il ricorso debba essere accolto per i motivi che si passa ad esporre.

1.1 II provvedimento impugnato, pur affermando le gravissime condizioni di salute in cui versa l'istante -soggetto di età avanzata, affetto da plurime patologie che interessano vari organi vitali, in particolare cuore e reni, con sindrome parkinsoniana in vasculopatia cerebrale cronica- nega la sussistenza dei presupposti normativi richiesti dall'art.147, comma 1, n.2, cod. pen. per il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena, in particolare escludendo, da un lato, l'incompatibilità della detenzione con le condizioni cliniche dell'istante e, dall'altro, il superamento dei limiti imposti dal rispetto dei principi costituzionali del senso di umanità della pena e del diritto alla salute.

1.2 Ritiene il Collegio che la motivazione adottata dal provvedimento impugnato, sia in relazione al primo che al secondo profilo ; è carente e, in alcuni tratti, contraddittoria.

1.3 Il provvedimento in esame sostiene l'assenza di un' incompatibilità dell'infermità fisica del ricorrente con la detenzione in carcere, esclusivamente in ragione della trattabilità delle patologie del detenuto anche in ambiente carcerario, in considerazione del continuo monitoraggio della patologia cardiaca di cui quest'ultimo è affetto e dell' adeguatezza degli interventi, anche d'urgenza, operati, al fine di prevenire danni maggiori, a mezzo di tempestivi ricoveri del detenuto presso l'Azienda ospedaliera Universitaria di Parma, ex art. 11 legge n.354 del 1975.

Osserva la Corte che tale prospettiva di valutazione è parziale e, pertanto, inadeguata a sostenere la ritenuta compatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il regime carcerario. In particolare, il Tribunale omette, nella motivazione adottata, di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue generali condizioni di scadimento fisico, pure descritte nel provvedimento. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, affinchè la pena non si risolva in un trattamento inumano e degradante, nel rispetto dei principi di cui agli artt. 27, terzo comma Cost. e 3 Convenzione EDU, lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell'esecuzione della pena per infermità fisica o l'applicazione della detenzione domiciliare non deve ritenersi limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita della persona, dovendosi piuttosto avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un'esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria (Sez. 1, n. 16681 del 24/01/2011, Buonanno, Rv. 249966; Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, Aquino Rv. 244132).

In presenza di patologie implicanti un significativo scadimento delle condizioni generali e di salute del detenuto, il giudice di merito, pertanto, deve verificare, adeguatamente motivando in proposito, se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tali intensità da eccedere il livello che, inevitabilmente, deriva dalla legittima esecuzione di una pena. Al di là, quindi, della trattabilità delle singole patologie, rileva nel giudizio de quo, la valutazione complessiva dello stato di logoramento fisico in cui versa il soggetto, sovente aggravata anche da altre cause non patologiche come, nel caso di specie, la vecchiaia. La giurisprudenza di legittimità, in particolare, con riferimento all'età avanzata del detenuto ha precisato che il tribunale, adito ex art. 147 c.p. o 47-ter legge n.354 del 1975, ha un obbligo di motivazione specifica sul punto, incidendo inevitabilmente l'età del predetto sulle valutazioni richieste dalle norme di riferimento e da quelle costituzionali sulla umanità della detenzione e sul diritto alla salute (Sez. 1, n. 52979 del 13/07/2016, Di Giacomo, Rv.
268653; Sez. 1, n. 3262 del 01/12/2015, dep. 2016, Petronella, Rv. 265722).

Ritiene il Collegio che il provvedimento in esame non si è attenuto ai suddetti principi, non emergendo dalla motivazione dell'ordinanza impugnata in che modo si è giunti a ritenere compatibile con le molteplici funzioni della pena e con il senso di umanità che la nostra costituzione e la convenzione EDU impongono nell'esecuzione della stessa, il mantenimento in carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne, affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa, tanto da essere allettato con materasso antidecubito e non autonomo nell'assumere una posizione seduta, esposto, in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili.

In relazione a tale ultimo profilo, inoltre, il provvedimento impugnato evidenzia come la possibilità del prospettato esito infausto integri una "condizione di natura" comune a tutti gli appartenenti al consesso umano, anche non detenuti e, pertanto, di una circostanza neutra ai fini della valutazione del senso di umanità richiesto dalla costituzione nell'espiazione della pena.

Anche in ordine a tale aspetto, il Collegio ritiene di dover dissentire con l'ordinanza impugnata, dovendosi al contrario affermare l'esistenza di un diritto di morire dignitosamente che, proprio in ragione dei citati principi, deve essere assicurato al detenuto ed in relazione al quale, il provvedimento di rigetto del differimento dell'esecuzione della pena e della detenzione domiciliare, deve espressamente motivare.

2.0sserva, inoltre, la Corte che l'ordinanza impugnata incorre in una intrinseca contraddittorietà della motivazione, laddove, come evidenziato nel ricorso, da un lato afferma la compatibilità dello stato di detenzione dell'istante con le sue condizioni di salute e dall'altro evidenzia espressamente le deficienze strutturali della Casa di reclusione di Parma ove il medesimo è ristretto, pur ritenendo le stesse irrilevanti ai fini della decisione sulle istanze oggetto di valutazione. E' lo stesso Tribunale, in particolare, ad evidenziare che la necessità del condannato- rappresentata dalla difesa e non contestata dal provvedimento- di avere a disposizione un particolare letto rialzabile, non può essere soddisfatta a causa delle ristrette dimensioni della camera di detenzione.

Tale contraddizione è messa in ancor maggiore risalto nella parte conclusiva dell'ordinanza, nella quale il Tribunale disponendo che le deficienze strutturali del carcere, "qualora effettivamente riscontrate dalla Direzione dell'Istituto Penitenziario", dovranno essere rimosse nel più breve tempo possibile, sottolinea un' inidoneità in concreto della struttura penitenziaria ospitante.

Il Tribunale, secondo questo Collegio, ha errato nel ritenere che le deficienze strutturali del luogo di restrizione non siano rilevanti ai fini del decidere sull'istanza del ricorrente avente ad oggetto proprio l'esecuzione della pena in luogo diverso, ed ha errato altresì, nel non rinviare la propria decisione all'esito di un accertamento volto a verificare, in concreto, se e quanto la mancanza di un letto che permetta ad un soggetto molto anziano e gravemente malato, non dotato di autonomia di movimento, di assumere una diversa posizione, incida sul superamento o meno di quel livello di dignità dell'esistenza che anche in carcere deve essere assicurato. Solo all'esito di tale accertamento il Tribunale avrebbe potuto delibare, con cognizione di causa, sulla compatibilità, in concreto, della struttura carceraria con le condizioni di salute del ricorrente, fornendo, se del caso, indicazioni per il trasferimento del detenuto presso altra struttura.

Ritiene, infatti, questa Corte che il termine di paragone per la valutazione delle condizioni di salute del richiedente la misura alternativa, debba essere individuato proprio nelle condizioni di detenzione del soggetto, le quali non possono certo essere considerate in astratto, bensì, in concreto, con riferimento anche a particolari caratteristiche del luogo di detenzione, se rilevanti.

Anche a tali principi, non appare essersi attenuta l'ordinanza in esame.

3.11 provvedimento del Tribunale di sorveglianza, infine, è carente di motivazione sotto il profilo della attualizzazione della valutazione sulla pericolosità del soggetto, tali da configurare quelle eccezionali esigenze che impongono l'inderogabilità della esecuzione della pena.

Si osserva in merito che, ferma restando l'altissima pericolosità del detenuto Salvatore Riina e del suo indiscusso spessore criminale, il provvedimento non chiarisce, con motivazione adeguata, come tale pericolosità possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico dello stesso.

Ritiene in merito il Collegio che le eccezionali condizioni di pericolosità debbano essere basate su precisi argomenti di fatto, rapportati all' attuale capacità del soggetto di compiere, nonostante lo stato di decozione in cui versa, azioni idonee in concreto ad integrare il pericolo di recidivanza.


P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Bologna.


Così deciso il 22 Marzo 2017.

 

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