17 ottobre 2017

OCCUPAZIONE O OCCUPATI?

Venerdì sera, a otto e mezzo, il prof.Giovannini (ex capo economista OCSE e ex presidente ISTAT ) ha messo la questione del livello dell’occupazione in Italia nella giusta prospettiva, dicendo cose che qualunque economista – di qualunque tendenza – sa bene e che invece i politici ignorano o fingono di ignorare.
Propendo per l’ignoranza vera  dei politici, perchè altrimenti gli oppositori del Job Act renziano, avrebbero cavalcato questa seria maniera di guardare al problema del lavoro (forse però c’è anche la possibilità che non vogliano essere accusati dello stesso tipo di mistificazione, quando toccasse a loro l’obbligo di affrontare la questione)  .
Cosa ha detto Giovannini?
Che contare le teste occupate oggi e confrontarle con le teste occupate ieri è un modo così grossolano di affrontare il problema e così mistificante da togliere al termine “occupazione” ogni significato di valore.
La scusante per i politici italiani è che non sono soli a sfruttare il termine “occupazione” in modo ambiguo.
Lo fanno tutti, in Europa certamente e per una eccellente ragione: se si usasse questo termine in modo preciso, in opposizione a quello di “disoccupazione”  nessuno potrebbe vantare un qualsiasi successo (nemmeno la Germania).
La valutazione corretta del livello di occupazione deve prendere in considerazione non le teste, ma le ore complessive di lavoro.
Se si vuole confrontare l’occupazione nel 2007 con quella del del 2016 (quella del 2017 non è ovviamente disponibile) in Italia, bisogna moltiplicare il numero delle teste occupate per il numero delle ore lavorate da ciascuno nell’intero anno.
Se si fa questo semplicissimo conto, si scopre che nel 2016 l’occupazione non è tornata ai livelli pre – crisi(!), come annunciato con colpi di gran cassa, ma manca all’appello più di un milione di ore.
Quale è la differenza?
Sta nella definizione di “occupato” che i politici non possono ammettere essere equivalente a concetti ben diversi quali “occupato indigente”, “lavoratore precario povero”, “lavoratore in nero alle stesse condizioni, ma legalizzato”..
Se un occupato lavora, anche continuativamente, quattro ore al giorno, fa parte comunque degli “occupati interi”. Invece, correttamente, divrebbe contare come “mezzo occupato”.
Se un lavoratore, utilizzato secondo uno dei numerosi contratti “legali” (interinale, a chiamata, a termine involontario....) lavora, in un anno, meno di un terzo delle ore std. piene (8 ore /giorno x n° dei giorni lavorativi dell’anno), risulta essere occupato come chi tutte quelle ore std. le ha lavorate. 
.Ho provato una volta – tempo fa – a ricordare in dircit,  parlando di contratti legali per i “lavori minimi” tedeschi, che il blaterare dei politici sull’argomento  non centra affatto l’essenza della questione, contestando la fola   che la Germania fosse e sia  in grado di mantenere il livello della disoccupazione al livello – stimato ideale dalla politica – della “frizione necessaria”, derivante dai cambiamenti di occupazione dei singoli.
Con questa leggenda, Renzi ha potuto affermare che il Job Act è stato potente strumento di miglioramento dell’occupazione, dimenticando di dire che nel termine si raccoglievano occupati “veri”, e precari di ogni tipo, persino sotto la soglia della povertà assoluta ......
Con questa leggenda si fornisce alla opinione pubblica la “prova “ che il capitalismo, persino quello finanziario,nonostante tutto, è in grado di fornire la piena occupazione (vedi Germania) e se, da qualche parte, questo non avviene, è perchè gli si impedisce di svolgere appieno tutto il suo potenziale con l’approntamento di lacci e lacciuoli che sviliscono la libertà di iniziativa privata e mortificano il sistema.
Se il sistema viene liberato, sviluppa tutta la sua potenzialità e l’eliminazione di lacci e lacciuoli ingrossa la schiera degli occupati, non importa a che condizioni (questa è una condizione etica e non può interessare l’economia), visto che basta essere un titolare di qualsivoglia contratto legale, per essere dichiarato “occupato”, secondo la terminologia in uso.
Statisticamente siamo a posto, date le definizioni; il resto non conta e non importa se la differenza con il lavoro nero,stia soltanto nella sua formale legalizzazione.
Umberto  Pradella 

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