Cambiare il
sistema mobilità per salvaguardare l'ambiente e tutelare i diritti di cittadini
e lavoratori
Assemblea pubblica
venerdì 6 ottobre alle ore 17,30 allo Scout Center, in l.go dello
Scoutismo 1
Intervento di Vittorio Sartogo (C.A.L.M.A.)
Più volte è stata sottolineata nei precedenti interventi la
rilevanza sociale e ambientale della mobilità ed è importante, secondo me,
insistere su questa dimensione specifica. Intanto per sciogliere l’ambiguità
con cui vengono usati questi termini da differenti , anzi opposti punti di
vista e comportamenti. Ricordo l’avvio della motorizzazione di massa da parte
di Henry Ford con la produzione dell’automobile T acquistabile dai suoi stessi
operai oltre che diffusissima nelle classi medie, che ha modificato modelli di
vita e struttura delle città e del paesaggio (addirittura con strade riservate
all’automobile, le autostrade) e di contro le analisi di Lewis Mumford sulla città e sui
disastri ambientali e sociali legati a quella motorizzazione della vita o di
Jane Jacobs sulla morte delle grandi città. Per rimarcare che il dibattito su
questi legami o relazioni o interconnessioni
deve essere parte di una battaglia culturale e politica volta a
introdurre punti di vista, idee, prospettive concrete altre rispetto a quelle
correnti. Mi spiego prendendo il caso drammatico di Atac condotta a un concordato preventivo in
continuità che significa il cercare un
accordo con i creditori che dovrebbero accettare una drastica riduzione dei
loro crediti e un rimborso, per quel che resta,
dilazionato in alcuni anni sulla
base di un “piano industriale ”, ovvero di un programma di riorganizzazione
aziendale, di investimenti e
riprogrammazione/potenziamento del servizio in grado di risanare i conti e
migliorare le prestazioni. Ebbene, a parte altre considerazioni sulla
negatività di questa scelta dell’Amministrazione Raggi e sull’eventualità di
alternative, è abbastanza evidente che questa strada carica sull’azienda sia i
costi propri, interni per così dire, del malcostume nelle assunzioni e gestione
del personale (parentopoli ,ecc.), della corruzione (la bigliettazione falsa, mazzette
a fornitori) dell’incapacità di manager e dirigenti, sia quelli derivanti dalla
cattiva politica della mobilità urbana e regionale. Pesa come un macigno l’assenza della considerazione del valore
sociale e ambientale dell’azienda ai fini del governo della mobilità nella
città e nel suo proprio hinterland (una area vasta ben maggiore della
dimensione dell’ex provincia ora chiamata impropriamente Città metropolitana ).
Già è stato detto sia della riduzione dei finanziamenti, sia dell’opaco e
aggrovigliato connettersi del bilancio aziendale con quello del Comune in cui
non è facile capire come stiano realmente le cose, sia della mancanza di una
politica della mobilità da parte del Comune. E aggiungo anche da parte della
Regione che ancora non si è dotata neppure del Piano della mobilità e della
logistica annunciato due anni fa e di cui esistono solo ormai vecchie Linee
Guida. La mia convinzione è che se viene meno, da parte della politica e
dell’amministrazione pubblica, l’interesse alla programmazione della mobilità
in termini di rispondenza ai diversificati bisogni delle persone nel contesto
delle trasformazioni sociali in atto, viene meno anche l’interesse ad avvalersi
degli strumenti indispensabili per
operare. Resta una struttura aziendale che mutua dalle imprese industriali la
propria organizzazione e i propri obiettivi riducendoli alla dimensione
economico-commerciale e in cui l’azionista unico, il comune, si limita alla
nomina degli amministratori e non svolge alcuna funzione di indirizzo o di
governo o di controllo. L’equilibrio di bilancio è certo fondamentale ma non è
l’unico obiettivo e certo non deve prevalere sui diritti di cittadinanza. In
effetti, sotto questo profilo, lo stato della mobilità pubblica è un indice
chiaro della capacità o incapacità degli amministratori comunali o regionali,
del loro interesse o del loro disinteresse rispetto alle condizioni sociali
degli abitanti e alla qualità della vita e dell’ambiente. Pensate alla
dimensione della rete dei tram nel 1929 (circa 400 Km) ridotta alle poche linee
e ai 31 Km attuali nel mentre la città è cresciuta e si è espansa ben oltre i
propri confini. Pensate sì alla insufficienza delle linee metro urbane ma ancor
più alla distanza siderale tra i Km delle ferrovie regionali di una Berlino o
di una Parigi e quelli del tutto risibili di Roma. Nel 1960 si iniziò lo
smantellamento della rete di tram per far posto a una crescita abnorme delle
automobili che non ha riscontro nelle altre grandi capitali europee. Tuttora si
preferisce trasformare la Pontina in una vera e propria autostrada invece di
potenziare la ferrovia Roma Latina o costruire una metropolitana leggera di
superficie verso Pomezia , aumentando all’inverosimile il congestionamento in
entrata la mattina e in uscita la sera quale si verifica su tutte le vie
consolari a causa di un pendolarismo costretto a utilizzare l’automobile.
Pendolarismo a sua volta dovuto dal dominio della rendita urbana che ha trovato
nella motorizzazione individuale di massa la propria alleata nella distruzione
del territorio. Si vuole costruire uno Stadio per la Roma, in realtà in affitto
alla Roma e con varie palazzine per uffici e abitazioni, nell’ansa del Tevere a
Tor di Valle senza tener conto che questa vera e propria speculazione
compromette una diversa destinazione di quell’area golenale, ed è a rischio idrogeologico con vie di accesso e di deflusso dei tifosi e
dei futuri abitanti e impiegati del tutto inadeguate in un’area già
pesantemente penalizzata. Provate a percorrere le vie Ostiense e del Mare la
mattina o la sera o salite sulla Roma Lido o immaginate che cosa può succedere
se i tifosi avessero a litigare tra di
loro.
E’ stata ricordata prima la proposta Tocci risalente alla
programmazione del 1996, della connessione tra tre metropolitane e tre passanti
ferroviari ma a me sembra abbastanza inutile insistervi senza tener conto di
quel che è effettivamente successo da allora. Non è qui il caso di esaminare le
contradizioni della Metro C che forse poteva avere inizialmente una motivazione trasportistica ma la cui progettazione
abborracciata, non ostante vi fosse da principio un lavoro comune tra ingegneri
e archeologi, non ha poi tenuto conto della complessità storica del sottosuolo centrale della città e
ha dato i risultati noti: continue varianti, aumento stellare dei costi,
abbandono delle parti più innovative come la stazione di Largo Ricci quale
ingresso all’ area dei Fori, mancanza di idee su come eventualmente proseguire
dopo Piazza Venezia, compromissione della Collina Rivaldi, del Colosseo, della
Basilica di Massenzio. Non sarebbe stata miglior cosa ricostruire la rete dei
tram (al netto delle truffe un Km di tram mediamente costa un decimo di quello
di una metropolitana)? Pensate a quanto positivo sarebbe l’impatto del tram sul
Lungotevere di sinistra: dalla stazione Ostiense (collegata a Fiumicino)
intercetta la Roma Lido, il tram 3 (cui si collegano il 19 e il 2, la stazione
Trastevere e la stazione Tiburtina
destinata a essere una delle due dedicate all’AV) e la Metro B, poi il tram 8
che potrebbe essere spinto fino a Termini, il 19 e il tram 2 fino all’Olimpico,
al Flaminio la metro A. Se poi venisse attivata la stazione di Vigna Clara si
determinerebbe la chiusura effettiva dell’anello ferroviario collegando
Flaminio, Vigna Clara, Valle Aurelia, Stazione san Pietro e di nuovo Ostiense.
Senza dire che il percorso lungo il Lungotevere di sinistra servirebbe il
centro storico egregiamente, limitando drasticamente
la presenza dei pullman turistici. Analoghi discorsi possono farsi per il
collegamento Saxa Rubra Laurentina su ferro in
superficie e così via
Attualmente il Comune ha lanciato l’elaborazione del Piano
Urbano per la Mobilità Sostenibile invitando i cittadini a fare proposte tra
cui privilegiare alla fine quelle che avranno ottenuto maggiori voti in un
consultazione on line che ripete, mi sembra, le modalità della Piattaforma
Rousseau. Ritengo che un dibattito pubblico minimamente decente sulla mobilità
romana non possa svolgersi in questi termini e senza una idea portante sulla
quale innestare le differenti proposte tenendo conto dell’unitarietà del sistema
mobilità e delle sue connessioni e impatti con il sistema economico, le
situazioni sociali, la tutela del paesaggio e dei beni culturali e storici
della città, le forme del turismo, la distribuzione delle merci e così via. Ossia si dovrebbe definitivamente abbandonare
l’idea che si possa procedere per singoli interventi senza inserirli in una
intelaiatura che dia loro senso e li valorizzi come elementi di guida nella
coesione sociale e nella crescita della qualità della vita. Tanti interventi
possono essere subito attuati per migliorare una situazione di grande
sofferenza della mobilità , ma i loro frutti potranno non essere episodici e
momentanei se disposti lungo un
itinerario di recupero e affermazione di quali sono o almeno possano essere
alcuni assi direttivi lungo i quali indirizzare la trasformazione della città e
dell’area vasta metropolitana.
Tornando all’Atac, in conclusione, siamo posti dalla sua
vicenda di fronte a un grande obiettivo culturale e politico, quello di ricostruire
un significato accettabile di ciò che
intendiamo per servizio pubblico. Oggi è un servizio misurato solo in termini
quantitativi ed economici rispetto a uno standard di prestazioni definite in
una Carta dei servizi predisposta da
Comune e Azienda (quante fermate, linee, frequenze, quali orari, il tot di
mezzi, ecc.), i cui scostamenti sono definiti come disservizi, gestito da
un’Azienda che ripete la propria organizzazione e attività dal modello delle
imprese private. Oppure si tratta di un servizio che, secondo la Costituzione,
concorre a rimuovere le disuguaglianze di ceto, di luogo, di lavoro, di genere
per gli obiettivi che si pone e le modalità di gestione? Sotto questo profilo
il Referendum voluto dai Radicali non fa che ribadire che la funzione economica
è quella unica e importante e che, in definitiva, la mobilità non è un aspetto
della più comprensiva politica sociale bensì deve essere dominata dalla
concorrenza. Parola sinonimo di antagonismo e rivalità. Non si vuol dire che si
sottovaluti la corruzione e il dominio di interessi nel Comune e nell’Azienda, ma che il
risanamento vero impone l’affermarsi di un altro modo di vedere la mobilità
pubblica: quello costituzionale. E su questo versante ricostruire Comune a servizio
sociale della mobilità. Grazie
Nessun commento:
Posta un commento