Stefano Caroselli
Cari tutti,
é indispensabile che oltre al
livello locale la battaglia sia portata sul livello nazionale e regionale.
L'obiettivo politico che la
Sinistra del Brancaccio deve porsi è ottenere aziende pubbliche, più
efficienti del privato, fuori dalla gabbia dell’austerity e del rigorismo
inconcludente, tecnologicamente all'avanguardia, per garantire il diritto
universale e costituzionale della libera mobilità per i cittadini e il rispetto
dei livelli occupazionali e salariali per chi ci lavora. Forti della
convinzione che le aziende pubbliche “se gestite correttamente” sono asset
insostituibili dell'economia locale, “se” governate con una pianificazione
pubblica e condivisa e non dalle influenze egemoniche di gruppi lobbistici
nazionali ed europei, in combutta con la rendita fondiaria sono una risorsa per
l’ambiente e la mobilità urbana.
Le responsabilità della profonda
crisi del settore risiedono in un congeniato “programma” di dismissione degli
asset pubblici costruito nel tempo e perfezionato con i decreti Madia-Delrio. A
Roma, gli obblighi di rientro del debito capitolino, i vincoli di bilancio e la
colpevole inerzia della Giunta Raggi, sono l’innesco attuativo del volto
destrogeno del M5S e mercatista dato dalle normative nazionale e regionali
vigenti.
I cosidetti progressisti
pro-svendita dei servizi pubblici e degli indotti industriali, si giustificano
sempre con la crisi e le minori risorse disponibili, per destabilizzare
l’entità pubblica di questa o quella amministrazione, per
strumentalizzare la disperazione sociale, l’impoverimento economico dei strati
popolari e l’incarognimento, indotto da una crisi che non ha precedenti, per
contrapporre cittadini contro lavoratori e smantellare i residui di un welfare
ridotto ad ospedaletto compassionevole che ormai è eterodiretto più dal
privato che dal pubblico.
Anche se la Giunta Raggi a Roma, ha
grandissime responsabilità, preesiste un pregresso di responsabilità, dal
quale tutta la sinistra non può prescindere. Il palcoscenico sociale ed
economico del Modello Roma, é caduto e ha lasciato macerie. E, oltre al
capitolo di Mafia Capitale, si sono disvelate le pessime gestioni in buona
parte clientelari nelle aziende pubbliche. Ma chi le ha volute
così?
Ovviamente la gestione e produzione
aziendale di Atac che era di per sè già fortemente logorata non ha fatto
eccezioni. I crediti inesigibili degli enti locali che ne detengono la piena
partecipazione azionaria sono soltanto una parte del problema. I bilanci sono
stati sempre in precario equilibrio; anche con la cessione tramite
affidamenti dal 20 al 30% della rete di superficie per i privati nelle
periferie con Roma TPL e nei servizi dell’indotto. In realtà hanno vinto
“pilotate” strategie di “definanziamento” di Roma e delle Partecipate, in
parallelo con una scientifica campagna di delegittimazione morale dell’ambito
pubblico, supportata da “spintanee" e imponenti campagne mediatiche che
fin dal 2010 hanno costruito l’attuale svalorizzazione del lavoro
pubblico nell’immaginario collettivo.
A ridosso della scadenza degli
affidamenti e al rinnovo delle gare del 2019, si é manifestato con una
curiosa contestualità, lo sfascio gestionale di Atac, con un proporsi dei
privati europei e un “pressing” di interventi legislativi, come il Regio
Decreto 148, e la legge delega 50, tesa a parcellizzare la compattezza
dei bacini facilitando ingresso e affidamento a più privati, e per
destrutturare il profilo contrattuale autoferro. Questo é il Patto tra i
grandi operatori nazionali ed europei, quali le FS_Bus Italia, l’AV di
Mazzoncini, la RTP ed Arriva e il PD. Cedere questi bastioni pubblici, che
hanno troppe garanzie contrattuali e diritti, dopo averne indebolito, con
scelte industriali scellerate e tanta corruzione, la struttura gestionale
ed economica per, causa dissesto, fallimento, commissariamento, non impedire la
cessioni ad altri soggetti imprenditoriali del settore, per alimentarsi di
future convenienze di scambio politico_clientelare, per convertire in via
definitiva il servizio pubblico e la collettività al falso credo del
profitto neoliberista, attraverso i disservizi che subiscono e non solo alle
firme raccolte dai Radicali Italiani e al PD.
Come ci siamo arrivati? Una lezione
ci viene dalla lady di ferro (rimpianta dai Radicali Italiani) Margareth
Thatcher, che con il motto “Affamare il cavallo”, privatizzò integralmente i
trasporti locali di Londra, dovendo poi fare marcia indietro per recuperare
inefficienze e aumento dei costi dati dai privati. Un’altra la fornisce
Noam Chomsky quando ci spiega che occorrono tre cose per la privatizzazione: la
corruzione, la mancanza di risorse e la volontà politica.
La torta italiana Italia è un
settore di 1.121 aziende, addetti pari a 116.500 unità, 50.000 miliardi
di km percorsi, 5,4 miliardi di viaggiatori trasportati, un valore produttivo
ma sempre frenato.
Con un 78% delle aziende opera in
servizio misto per i ⅔ e fattura 50 milioni di € anno.
E a colpevoli sottovalutazioni si è
aggiunta una crisi paragonabile alla seconda guerra mondiale, tradotta in tagli
capestro nei DEF ma sotto dettatura dell’ideologia neo-liberiste della
troika a trazione franco tedesca, dell’eurozona. É questo che sta
portando in queste ore, su scala nazionale, situazioni di collasso del servizio
e precarietà occupazionali per gli operatori e l’indotto. Servizi
scadenti, tensioni sociali, incerto diritto alla mobilità. É, nelle grandi aree
metropolitane, che il tpl continua ad essere penalizzato dalla gomma, con Roma
che il primato europeo del 78% di invasione di auto e trasporto merci
selvaggio.
In queste condizioni non c'è
operatore privato o pubblico che possa produrre un servizio degno di questo
nome. Nel trasporto nel Lazio é il rapporto Pendolaria Legambiente (2016/17)
che denuncia gli effetti della spasmodica corsa di FS- Trenitalia, verso il
lancio in borsa e una esclusiva dedizione all'Alta Velocità, mentre abbandona
gli Intercity per i pendolari al disastro delle 8 linee FR. Siamo di fronte ad
un trasporto pubblico ineguale e di classe e gli 650 mila pendolari lo
sanno bene perché attraversano quotidianamente il GRA. Ricordiamoci comunque
che ogni privato é sempre “sussidiato” da risorse pubbliche, e nel Lazio e a
Roma non c’è una gestione, tra le 65 imprese private del trasporto, che abbia
brillato per gestione del servizio e garanzia per i diritti dei
lavoratori. E Zingaretti l’assessore Civita, per ben 2 volte, ha ribadito che
di gestione pubblica o regionale, partecipata dalla regioni, province e
enti locali e integrata con FS-Atac-Cotral non se ne parla. Eppure, gli
elementi di rilancio di carattere economico e sociale, diretti ed indiretti,
del settore sono enormi. Gli attuali trend confermano che se il trasporto
locale e regionale fosse finanziato, analizzato e governato anche per il suo
valore ambientale sociale, può essere uno dei percorsi di uscita dalla
crisi e una sicura opportunità industriale "pubblica" per il Paese e
le regioni.
Quindi oltre le malegestioni ci
sono le mancate risorse nel Fondo Nazionale Trasporti. Nel 2010-11 ben
545 mln €; nel 2012 ben 893 mln €. E se il plafond FNT del
2013, rispetto al 2010, restituisce 600 milioni di euro, ha una decurtazione
dai 6/8 mld che in conto esercizio non potranno mai compensare quel fabbisogno del
17% in meno, (circa 7 mld). La situazione di questi trasferimenti mancati
sembra si protarrà fino al 2024. Questa é l'origine del male, il
combinato disposto di risorse mancanti, esternalizzazione di e funzioni
strategiche e primarie, e la spinta coercitiva al libero mercato che é
stata micidiale.
Il trasporto pubblico locale é
sopravvissuto, praticamente cannibalizzandosi. Anche grazie alla cinica
indifferenza di chi, nelle istituzioni, pur sapendo, dei trasferimenti negati
dalla Polverini, del FNT e della corruzione in Atac, ha taciuto per favorire,
il privato nazionale lanciato in borsa quale FS e altri operatori europei, che
gareggiano da noi ma che si guardano bene dal concedere il vincolo della
reciprocità nei loro Paesi. Anzi questi operatori UE, prima
hanno concesso affidamenti trentacinquennali ai loro operatori di
pubblici negli asset di rete e oggi procedono spediti con
acquisizioni che sfoceranno in veri oligopoli senza che ci sia
un’Antitrust europea che dica nulla.
Da quí traggono origine, le
motivazioni di fondo, per le quali in meno di quattro anni, preesistenti
difficoltà produttive ed organizzative di molte aziende “non a caso Atac e
soprattutto pubbliche”, sono diventate patologiche, con livelli di
indebitamento che (Roma docet) mettono a rischio la stessa tenuta patrimoniale
in conto capitale dei bilanci degli enti. Per questo in queste ore, nel
Paese è in corso, lo smottamento del servizio pubblico locale del trasporto.
Dopo i buoni intenti del Testo
Unico dei Servizi pubblici locali, altre 65 leggi di riforma, il percorso di
messa sul mercato dei beni pubblici, ci consegna:
la efficientissima Atv di Padova a
rischio spezzatino; le eredità gestionali di Fassino e Chiamparino a Torino
affossano GTT; le ex gestioni uliviste locali, Iervolino e Bassolino metrtonoin
crisi De Magistris a Napoli con Atan e Circumvesuviana; nella rossa
Reggio Emilia l’Atc in affanno; nella regione di Burlando (il
legislatore della 422) e Paita a Genova con la crisi dell’Amt; la Firenze di
Renzi e Bardella con Ataf-BusItalia-FS che spremono come limoni i
lavoratori;Umbria Mobilità che se forse si risana lo farà con interventi
discrezionali e scarsamente deontologici di Delrio ; o la Palermo di Crocietta
con l’Amtab in default. Governi inadempienti e Regioni svincolate da obblighi
“inderogabili” verso i servizi pubblici, hanno causato tagli sui contratti di
servizio, sui salari, sulle clausole sociali, pessima qualità del trasporto
sulla pelle di cittadini e lavoratori. Appalti e subappalti al 48% di ribasso,
che tagliano occupazione e salari a danno dei profili più malpagati e sfruttati
nell’indotto dei servizi.
Di questi effetti gli
opinionisti non ne parlano mai. Giusto denunciare, e noi siamo sempre
stati in direzione ostinata e contraria, rispetto alla corruzione e ai
disservizi, ma non é che i persistenti tagli dei governi e regioni non
abbiano avuto impatti devastanti sui bilanci traballanti delle aziende,
aggravati da gestioni corrotte volute dalle lobbies politici locali e
regionali che oggi PD in testa, vogliono privatizzare il servizio.
Le aziende fino ad oggi hanno
affrontato delle “mission impossible”: Tappare le falle date da mancate
risorse, senza pianificazione pubblica; il mancato rinnovo del parco rotabile,
la mancanza di forniture, la cannibalizzazione dei mezzi in disuso. Tutto per
far coincidere i conti con quel 30% da introiti da traffico e quel il 17% da
ricavi di servizi collaterali e commerciali che in verità, sono stati sempre
esternalizzati a quel privato che oggi si invoca come panacea di tutti i mali.
Tuttavia, il settore
rappresenta una torta di mercato “sicuro” e sussidiato da risorse pubbliche che
fà gola alle multinazionali, perchè con abbonamenti e biglietti incassa 2,6 mld
di € anno; copre il 26% dei costi di esercizio rispetto al quel 35% imposto dal
1998 con le controriforme Bassanini-Burlando. La stessa Atac oggi incassa 1 mld
e 86 mln anno, e stornando i crediti inesigibili del Comune e della Regione il
suo deficit si attestava sui 325 mln euro. I cavalieri serventi del PD per il
privato, che fin dal primo minuto della consigliatura M5S, manovrando dal
Senato, mirano al commissariamento e allo spezzatino di Atac, sanno che,
soltanto adeguati interventi di programmazione e pianificazione antitraffico in
capo agli enti locali, possono avviare una reale crescita del trasportato, una
politica di parcheggi di scambio, con una congestion charge che non privilegi i
ricchi e convinca tutti a lasciare l'auto in garage. Investimenti in ITC,
infrastrutture e corsie preferenziali, una strategia seria contro
l’evasione tariffaria.
Sarà un caso che queste politiche,
come il PGTU, e i Pums, sono tutte in mano agli enti locali?
L’efficienza si ottiene con
la puntualità e il rispetto dell’entità delle risorse. Non si capisce perché
misure logiche e civili in un qualsiasi altro paese europeo, dove raramente
pensano di mettere tutto in mano al privato e che potenzialmente possono
consentire di raggiungere i 3 miliardi, di fatturato entro il 2019, non
passano. E’ chiaro che se si vogliono realmente raggiungere questi obiettivi,
bisogna avere il coraggio politico di attuare scelte “scomode” che rispondano
alla qualità alta della domanda e non riducendo l’offerta. Quindi con una
offerta diversificata, si può guadagnare e reinvestire per la collettività.
Con i giusti interventi
infrastrutturali e senza stressare il lavoro, é possibile recuperare i
kmv persi con più ferro, filobus ed elettrico, per offrire un
modello di mobilità ecologicamente sostenibile.
Un Tpl di qualità a tutela della
salute e del diritto alla mobilità. Cioé tutto ciò che non é stato fatto per
questo settore, e a Roma Capitale in primis. Il tpl nazionale, anche al netto
del trasversale depredamento, nel pieno della crisi del Paese, vale comunque
tra i 9 e 10 miliardi di € anno, a tariffe invariate. Questo valore economico,
sociale e ambientale non può essere svenduto. E' una risorsa
"pubblica" che deve essere al servizio del Paese e sostenuta con una
coerente fiscalità generale. Non un "bene rifugio" riserva del
privato che si intreccia con la speculazione edilizia e finanziaria,
avvantaggiandosi di cospicui sussidi pubblici, da trasformare in dividendi per
gli azionisti, i cui benefici, come la recente crisi idrica ed energetica ci ha
mostrato, non cadono mai a vantaggio del bene comune.
Il percorso di privatizzazione dei
servizi pubblici ha prodotto diseguaglianze e scelte di classe specialmente al
Sud e grazie alle politiche incontrastate delle FS. Questo è il piatto
preparato dai governi Prodi, Berlusconi, Monti e Gentiloni. Il renzismo, era
già in fase embrionale, dopo lo scippo della vittoria del referendum del 2011 a
tutela dei beni comuni, ha stretto un patto con i Potentati economici del
settore e ha voluto blindare il progetto liberista di dismissioni delle
partecipate, con i decreti anticostituzionali Madia.
Il cui intento coercitivo di
impedire l’affidamento in-house penalizzando l’ente locale con un meno 15% di
trasferimenti dal FNT, va rigettatto proprio sul profilo costituzionale a cui
tutti noi teniamo.Il sistema Madia utilizza un metodo coercitivo e
anticostituzionale per favorire l’operatore privato
Stiamo scontando il mancato
riconoscimento della volontà popolare nell’esito referendario sull’acqua
pubblica del 2011, che ha aperto le porte alla deregulation contro il pubblico
e contro il lavoro. La non rispettata volontà di milioni di italiani, che come
al solito prima della classe politica, comprese i rischi, si espresse
solennemente bocciando le logiche del solo profitto. Perché il nostro Paese
deve considerare il TPL un “bene inferiore e costoso” da passare ai
privati.. Nei paesi industrializzati, con un modello di sviluppo urbano
centrico a fronte di una maggiore coscienza ambientale, il tpl è “valore
sociale ed ecologico” in quanto la sua attuazione per la collettività riduce
congestione e inquinamento. Invece, nel nostro Paese, da sempre, il tema del
tpl, è gestito con intolleranza o come ha disvelato la magistratura, una
occasione di occupazione partitica. Non a caso, la magistratura ha accertato
che incapacità e boicottaggio spesso coincidono con la bulimia politica
che ha sfociato come a Roma in Mafia Capitale.
Una miope lente economicista e da
partitocrazia, che oggi mostra i suoi limiti.
La difficoltà principale delle
aziende è quella di garantire la qualità del servizio a fronte della scelta per
l’80% degli spostamenti locali con auto. Un trend inalterato e devastante per
l’ambiente, l’economia, la salute pubblica. Negli ultimi 10 anni i tempi di
percorrenza nei maggiori centri urbani sono aumentati del 20-30%, con velocità
di spostamento nelle ore di punta di 7/8 km orari. Nell’arco temporale della
crisi, i fondi pubblici destinati sono stati ridotti di €1.4 miliardi. Il Fondo
nazionale trasporti, sabotato dalla spending review di montiana memoria, mise a
disposizione soltanto €4.9 mld. Il gap è strutturale ma non lo si vuole
riconoscere. I fondi coprono il 75% della gestione del servizio (dati
Conferenza delle Regioni e Province), e soltanto ¼ del finanziamento è
trasferito agli enti locali, che, in base ai propri deficit e a
improbabili fondi addizionali “valutano” se è come utilizzarli per il trasporto
pubblico locale o meno. A tutto ciò si aggiunge una incompetente “furbizia”
della politica nelle regioni, nel privilegiare province amiche o le
emergenze invece degli “assetti di sistema”. Non si rinnova il parco
rotabile tant’è che la vita rotabile media italiana rispetto all’UE è 7 anno
contro 12. Ergo, Atac: 12 anni per i bus, 25 per i tram, 15 per le metro.
Conseguentemente (e
pericolosamente) si riduce la sicurezza di esercizio, la qualità e lievitano i
costi di manutenzione. Il trasporto rapido di massa, ha un sicuro ritorno
economico, qualitativo, ambientale con ferrovie locali che funzionano, con i
tram, metro e le linee ferroviarie e flotte elettriche, ma sono i numeri degli
acquisti sul materiale rotabile, che ci danno la misura di strategie di corto
respiro.
Dunque,
gli unici soggetti, che possono dichiararsi esenti da responsabilità, sono i
cittadini romani e i lavoratori autoferrotranvieri e invece rischiano ancora
una volta di essere le vittime predestinate di politiche sbagliate.
Per questo si é costituito il 7
settembre il comitato a difesa dei servizi pubblici locali partecipato da tutta
la Sinistra romana, sindacati confederali e di base, associazioni di utenti e
dei pendolari.
Il paradigma economico e sociale
attuale sul valore dei servizi pubblici deve essere ribaltato e recuperato a
beneficio della collettività, della mobilità, del ruolo del lavoro. Questa
battaglia politica deve essere posta alla base dei principi e valori per la
costruzione di un nuovo soggetto politico dentro la Sinistra e dentro tutte le
parti sociali.
Stefano Caroselli
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