Ho
letto il libro “tutto d’un fiato” e ho avuto un forte rammarico per non averla
conosciuta. Bice Foà era una donna molto spiritosa, una volta si diceva “senza
peli sulla lingua”, che amava la verità, la lealtà. Una donna ribelle ma non
rivoluzionaria, attenta alla questione femminile ma non femminista, una donna
che ha lottato ma sempre all’interno delle Istituzioni – ad esempio è stata una
delle prime attiviste del CIDI, Centro di Iniziativa Democratica degli
Insegnanti. Aveva tante passioni di cui parla nel libro, credo che quella della
musica fosse la più forte. La politica – che io considero più un impegno che una
passione – forse veniva subito dopo. Ma Bice era anche moglie e madre e,
inoltre, anche architetto. Questo naturalmente mi interessa molto perché nel
libro l’autrice parla dell’ambiente della Facoltà di Architettura di Napoli
citando persone che poi negli anni ho conosciuto piuttosto bene, avendoli
frequentati allo IUSA (Istituto Universitario Statale) di Reggio Calabria. Bice
ancora studentessa aveva lavorato con il gruppo Quaroni a Matera, per un
esperimento architettonico-urbanistico che ha fatto la storia nella cultura
dell’epoca. A Matera, furono costruiti il quartiere “Sine bianche” di
Carlo Aymonino e le sperimentazioni del borgo La Martella del gruppo che,
appunto, faceva capo a Ludovico Quaroni. Infatti, dopo la seconda guerra mondiale,
l'attenzione dell'allora Istituto UNRRA (United
Nations Relief and Rehabilitation Administration) – CASAS (Comitato
Amministrativo Soccorso ai Senzatetto), diretto da Adriano Olivetti, si posò
sulla città di Matera. Olivetti sposò l'idea di costruire borghi residenziali
che potessero essere di propulsione alla formazione di comunità locali. Diede
molta importanza alle comunità per il riscatto e la redenzione del sud. Nel
1949 nacque la Commissione incaricata dello studio della città e del territorio.
La Martella fu progettata con l'intento di raccogliere sia gli abitanti dei
Sassi, sia un decentramento burocratico-decisionale, la formazione
professionale e un insediamento industriale. Il borgo, dopo la sua creazione,
purtroppo fu abbandonato a se stesso per la miopia della classe dirigente
locale.
Il
libro Donna, ebrea e comunista, apre
con una sorta di Jewish geography –
dicono scherzando gli ebrei di due correligionari che s’incontrano per la prima
volta – in cui si ricostruiscono le parentele e gli alberi genealogici. Così
Foà era imparentata con i Sereni, i Tagliacozzo e i Pontecorvo, una buona
borghesia ebraica di professionisti e di intellettuali. Poi la parte che mi è
piaciuta di più del libro, che è proprio quella che riguarda la sua vita a Napoli
e delle persecuzioni che, in quanto ebrea – da bambina ha dovuto lasciare la
scuola e anche la città per rifugiarsi in un piccolo paese – doveva sottostare
alle leggi razziale del 1938. Nel dopoguerra arriverà a impegnarsi socialmente
e politicamente. Ecco una cosa che a me è sfuggita un po’ – sicuramente per una
mia mancanza di sufficiente attenzione - è come e perché si sia trovata dentro
un Partito, all’epoca ritenuto estremamente poco aperto. Immagino che all’epoca
il PCI dava sicurezza e garanzia di impegno. Essendo io di una generazione
successiva, quella del 1968, ho vissuto il Partito piuttosto come una di quelle
istituzioni da contrastare e cui ribellarsi (un po’ come la famiglia).
I
racconti degli anni successivi sono tutti puntualmente spiritosi e narrano di
varie figure politiche – che diventeranno piuttosto importanti poi – come ad
esempio Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano. Bellissimi sono i ritratti dei
genitori e dei rapporti generazionali dell’epoca, così come della madre e del
padre Chiaromonte che venivano da due piccoli paesini del Melfese in Basilicata,
così come pure la zia Marietta che li aveva aiutati quando, ormai a Napoli,
venne al mondo Gerardo. Ma anche molto belli sono i racconti dei viaggi
ufficiali fatti con il Partito in Russia, in Romania e in Cina che Bice
racconta con ironia e con uno spirto irriverente. Ecco questa è forse la sua
caratterista principale, da un lato il grande sense of humor tipico ebraico, dall’alto l’allegria spiritosa
partenopea. Corredato di alcune foto e di vignette autografe, il libro
costituisce una preziosa testimonianza delle vicende italiane del cosiddetto
“secolo breve” e cioè del Novecento.
Bice Foà Chiaromonte,
Donna, ebrea e comunista, Harpo editore, 2017, € 17.00.
Grande Bice. Me la ricordo da ragazzino nelle riunioni di partito o in occasioni pubbliche . Bice fu una delle animatrici del numero gruppo di donne comuniste napoletane .Fu tra le organizzatrici dei "treni della speranza" che portarono miglia di bambini napoletani affamati in Emilia ed i Toscana dove furono accolti con amore . Una osservazione : chi lo ha detto alla Ghisi Grutter che il PCI di quegli anni era estremamente poco aperto? Un luogo comune fortunato e falso . Io all'epoca avevo 17/ 18 anni , intervenivo sempre e mai nessuno mi ha detto : Regazzì facci lavorare. Il nostro lavoro politico , sopratutto a Napoli , era quello di essere aperti quanto più possibile per essere in contatto non solo con le masse popolari ma anche con l'intellettualità cittadina Cero c'erano norme di comportamento rigide che andavano osservate ma non riguardavano l 'apertura ma la correttezza dei comportamenti personali .
RispondiEliminaSì forse dovevo scrivere rigido al posto di poco aperto.
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