23 ottobre 2017

Recensione libro: DONNA, EBREA, COMUNISTA di Bice Foà Chiaromonte


 

 Il 21 ottobre scorso è stata presentato al MAXXI di Roma, la nuova edizione del libro autobiografico di  Bice Foà Chiaromonte,morta pochi mesi fa, ad aprile. Hanno partecipato alla presentazione Claudia Fellus e Alba Sasso con delle belle testimonianze delle sue due diverse anime, mentre le due bravissime Amina Magi e Rossella Monaco, hanno letto alcuni brani del libro. Ha coordinato Letizia Paolozzi che conosceva benissimo l’autrice e che aveva scritto una recensione del libro il 22 aprile del 2007 su “Liberazione”. In quella recensione Letizia Paolozzi sosteneva che le identità diverse di Bice erano molto di più di due riportando ciò che la stessa autrice ha scritto «in ognuno di noi coesistono tante anime che non sempre riescono a convivere pacificamente, dicono gli ebrei forse con maggior consapevolezza degli altri ». Bice Foà ha iniziato a pensare di scriverlo negli anni ’80 quando, dopo i sanguinosi fatti di Sabra e Chatila, ha sentito l’esigenza di “rimettere insieme” le sue due identità, da un lato quella di ebrea, dall’altro quello di donna democratica, di sinistra e comunista, come spiega lei stessa nella Premessa.
Ho letto il libro “tutto d’un fiato” e ho avuto un forte rammarico per non averla conosciuta. Bice Foà era una donna molto spiritosa, una volta si diceva “senza peli sulla lingua”, che amava la verità, la lealtà. Una donna ribelle ma non rivoluzionaria, attenta alla questione femminile ma non femminista, una donna che ha lottato ma sempre all’interno delle Istituzioni – ad esempio è stata una delle prime attiviste del CIDI, Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti. Aveva tante passioni di cui parla nel libro, credo che quella della musica fosse la più forte. La politica – che io considero più un impegno che una passione – forse veniva subito dopo. Ma Bice era anche moglie e madre e, inoltre, anche architetto. Questo naturalmente mi interessa molto perché nel libro l’autrice parla dell’ambiente della Facoltà di Architettura di Napoli citando persone che poi negli anni ho conosciuto piuttosto bene, avendoli frequentati allo IUSA (Istituto Universitario Statale) di Reggio Calabria. Bice ancora studentessa aveva lavorato con il gruppo Quaroni a Matera, per un esperimento architettonico-urbanistico che ha fatto la storia nella cultura dell’epoca. A Matera, furono costruiti il quartiere “Sine bianche” di Carlo Aymonino e le sperimentazioni del borgo La Martella del gruppo che, appunto, faceva capo a Ludovico Quaroni. Infatti, dopo la seconda guerra mondiale, l'attenzione dell'allora Istituto UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) – CASAS (Comitato Amministrativo Soccorso ai Senzatetto), diretto da Adriano Olivetti, si posò sulla città di Matera. Olivetti sposò l'idea di costruire borghi residenziali che potessero essere di propulsione alla formazione di comunità locali. Diede molta importanza alle comunità per il riscatto e la redenzione del sud. Nel 1949 nacque la Commissione incaricata dello studio della città e del territorio. La Martella fu progettata con l'intento di raccogliere sia gli abitanti dei Sassi, sia un decentramento burocratico-decisionale, la formazione professionale e un insediamento industriale. Il borgo, dopo la sua creazione, purtroppo fu abbandonato a se stesso per la miopia della classe dirigente locale.
Il libro Donna, ebrea e comunista, apre con una sorta di Jewish geography – dicono scherzando gli ebrei di due correligionari che s’incontrano per la prima volta – in cui si ricostruiscono le parentele e gli alberi genealogici. Così Foà era imparentata con i Sereni, i Tagliacozzo e i Pontecorvo, una buona borghesia ebraica di professionisti e di intellettuali. Poi la parte che mi è piaciuta di più del libro, che è proprio quella che riguarda la sua vita a Napoli e delle persecuzioni che, in quanto ebrea – da bambina ha dovuto lasciare la scuola e anche la città per rifugiarsi in un piccolo paese – doveva sottostare alle leggi razziale del 1938. Nel dopoguerra arriverà a impegnarsi socialmente e politicamente. Ecco una cosa che a me è sfuggita un po’ – sicuramente per una mia mancanza di sufficiente attenzione - è come e perché si sia trovata dentro un Partito, all’epoca ritenuto estremamente poco aperto. Immagino che all’epoca il PCI dava sicurezza e garanzia di impegno. Essendo io di una generazione successiva, quella del 1968, ho vissuto il Partito piuttosto come una di quelle istituzioni da contrastare e cui ribellarsi (un po’ come la famiglia).
I racconti degli anni successivi sono tutti puntualmente spiritosi e narrano di varie figure politiche – che diventeranno piuttosto importanti poi – come ad esempio Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano. Bellissimi sono i ritratti dei genitori e dei rapporti generazionali dell’epoca, così come della madre e del padre Chiaromonte che venivano da due piccoli paesini del Melfese in Basilicata, così come pure la zia Marietta che li aveva aiutati quando, ormai a Napoli, venne al mondo Gerardo. Ma anche molto belli sono i racconti dei viaggi ufficiali fatti con il Partito in Russia, in Romania e in Cina che Bice racconta con ironia e con uno spirto irriverente. Ecco questa è forse la sua caratterista principale, da un lato il grande sense of humor tipico ebraico, dall’alto l’allegria spiritosa partenopea. Corredato di alcune foto e di vignette autografe, il libro costituisce una preziosa testimonianza delle vicende italiane del cosiddetto “secolo breve” e cioè del Novecento.
 
Ghisi Grütter

 

Bice Foà Chiaromonte, Donna, ebrea e comunista, Harpo editore, 2017, € 17.00.

 

 

 

 

2 commenti:

  1. Grande Bice. Me la ricordo da ragazzino nelle riunioni di partito o in occasioni pubbliche . Bice fu una delle animatrici del numero gruppo di donne comuniste napoletane .Fu tra le organizzatrici dei "treni della speranza" che portarono miglia di bambini napoletani affamati in Emilia ed i Toscana dove furono accolti con amore . Una osservazione : chi lo ha detto alla Ghisi Grutter che il PCI di quegli anni era estremamente poco aperto? Un luogo comune fortunato e falso . Io all'epoca avevo 17/ 18 anni , intervenivo sempre e mai nessuno mi ha detto : Regazzì facci lavorare. Il nostro lavoro politico , sopratutto a Napoli , era quello di essere aperti quanto più possibile per essere in contatto non solo con le masse popolari ma anche con l'intellettualità cittadina Cero c'erano norme di comportamento rigide che andavano osservate ma non riguardavano l 'apertura ma la correttezza dei comportamenti personali .

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  2. Sì forse dovevo scrivere rigido al posto di poco aperto.

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