19 gennaio 2017

BAMDO PERIFERIE,RISPOSTA AL BISOGNO DI CIVISMO URBANO?

    
 

Un’analisi del Programma governativo come occasione di rilancio delle politiche urbane: un modello d’iniziativa pubblica, seppure ancora da comprendere nella sua capacità d’incidere positivamente sulle nostre città
Il Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia (D.P.C.M. del 25 maggio 2016 pubblicato in G.U. S.G. 127 del 01/06/2016) ha perso il principale artefice, Matteo Renzi, dimessosi dopo il risultato del referendum costituzionale, ma continua a tenere vivo il dibattito, in attesa del DPCM che renderà nota la graduatoria delle proposte.
In origine
Senza intenzione alcuna di avventurarsi in esegesi del Renzi pensiero, la gestazione del Bando Periferie è di duplice interpretazione: la prima riguarda la qualità della città post-bellica, presto scaduta in una più superficiale retorica delle periferie (a cui ha contribuito, suo malgrado, anche Renzo Piano); la seconda è direttamente legata a una visione, inequivocabile, dell’ex premier, rinvenibile fin dagli anni in cui era sindaco di Firenze. Già nel programma di mandato del 2009 Renzi scriveva: «L’urbanistica non è l’esibizione muscolare di interessi privati o l’elucubrazione mentale di tecnici in cerca di ardite fantasie. L’urbanistica è la risposta qui e oggi ai problemi dell’uomo del nostro tempo. […] dare risposta ai bisogni quotidiani di bellezza […]».
Bisogni quotidiani di bellezza e Fare presto erano dunque un mantra ben presente quando si volle accentrare, presso la Presidenza del Consiglio, la stesura e la gestione del Bando Periferie. La dichiarazione di Renzi premier del novembre 2015 (rimarcata l’anno dopo dal megafono mondiale dell’assemblea dell’ONU), «Per ogni euro investito in sicurezza, uno per la cultura: […] il terrorismo proviene anche dalle periferie abbandonate delle città», che ufficialmente lanciò il programma, è piuttosto ascrivibile alla comunicazione politica. Forse efficace e felice come immagine, ma inconsistente nel contenuto.
Vi sono altre due iniziative salienti che invece ne delineano l’approccio culturale, prima che politico: i cosiddetti Patti per lo Sviluppo che molte città hanno sottoscritto col Governo negli ultimi mesi; il progetto governativo Casa Italia che, pur ancora da decifrare, parrebbe essere sintonizzato sulla lunghezza d’onda di una vera e propria Agenda urbana.
Integrare, coordinare, mettere a sistema, allineare politiche settoriali, alimentare progettualità. Sono questi i termini che si ritrovano nei Patti per lo Sviluppo, Casa Italia e il Bando Periferie. Da qui, si comprende l’attenzione e l’interesse ricevuti da soggetti mobilitatori di cultura tra cui l’Istituto Nazionale di Urbanistica.
La visione e il contributo dell’INU
A fine aprile 2016 l’INU ha tenuto, a Cagliari, il suo XXIX Congresso. Un Congresso di svolta dove le parole d’ordine degli urbanisti italiani, per la prima volta, non hanno parlato di riforma dell’ordinamento, né anteposto la parola “piano” a tutto il resto. Si è asserito di urbanistica tra adattamenti climatici e sociali, innovazioni tecnologiche e nuove geografie istituzionali. Si è parlato di un progetto di sistema: Progetto Paese (titolo, appunto, dato al congresso). I mesi intensi di preparazione e maturazione del documento congressuale hanno coinciso col lavoro del Governo sul Bando Periferie.
Quei quattro commi nella Legge di Stabilità 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1, commi 974, 975, 976, 977 e 978) furono il presupposto normativo del conseguente Bando per il quale arrivarono richieste, seppur informali, per apporti e collaborazione dall’INU. Il fermento culturale pre-congressuale del Progetto Paese di quel periodo è stato utile alla causa. Un’analisi e un punto di vista aggiornati fecero sì che l’Istituto esprimesse nella mancanza/inadeguatezza di progetti e nella scarsa capacità di spesa i due problemi endemici e complementari da cui sicuramente ripartire. L’INU chiedeva un bando che non spingesse i Comuni a un tour de force per produrre strategie ed elaborazioni tecniche in un tempo troppo compresso. Ma, soprattutto, auspicava un momento educativo collettivo: per le strutture tecniche degli enti locali, nell’esercizio di “pensiero competente” al servizio dei cittadini; per le comunità, mettendole in gioco nell’innovazione e sostenibilità urbana; per gli amministratori, nel riappropriarsi di funzioni di indirizzo e di scelta, del resto contratte dai troppi anni di crisi. In definitiva, l’INU proponeva di impiegare gran parte dei 500 milioni originari previsti per una progettazione urbana integrata sostenibile, diretta a costituire un “parco progetti” maturo e valido per tutte le possibilità (ordinarie e straordinarie) di programmazione, individuando, nel contempo, un numero definito di progetti da poter attuare subito.
Quanto queste proposte dell’INU abbiano influito nella costruzione del Bando non è dato sapere. Rimane il fatto oggettivo che l’art. 5 del Bando pubblicato indica: […] Una quota del 5% delle risorse dell’investimento per ciascuna città può essere destinata alla predisposizione di piani urbanistici, piani della mobilità, studi di fattibilità e/o atti necessari per la costituzione di società pubblico/private e/o interventi in finanza di progetto, investimenti immateriali quali e-government, marketing territoriale, sviluppo di nuovi servizi, formazione (se collegati e funzionali ai progetti innovativi proposti) […].
Questo impianto ha spinto l’INU, che ha gli enti pubblici tra la propria base associativa, a scrivere nell’estate scorsa ai Comuni eligibili manifestando loro la volontà di sostegno delle candidature. A quella disponibilità hanno risposto Ancona, Catania, Città metropolitana di Milano, Ferrara, Grosseto, Latina, Messina, Modena, Nuoro, Reggio Emilia. Queste città, insieme ad altre, hanno poi partecipato al convegno #progettaitalia: gli approcci per riqualificare le periferie d‘Italia (URBANPROMO, Milano, 10 novembre 2016).
Una prima valutazione
Il termine ultimo per la conclusione dei lavori del nucleo di valutazione sulle proposte dei Comuni era fissato dal bando per il 28 novembre scorso. Prima di tale data è accaduto un fatto importante. A metà ottobre, durante l’Assemblea ANCI, il primo ministro Renzi aveva annunciato il finanziamento, seppur differito nel tempo, di tutte le proposte pervenute (120 in totale).
Il combinato disposto tra questa importante decisione e la possibilità, prevista nel bando, di una quota di risorse da poter utilizzare per la predisposizione di piani urbanistici, piani della mobilità, ecc., si avvicina abbastanza a ciò che l’Istituto aveva proposto.
Rimane da comprendere se la componente ideologica del fare presto ha penalizzato oltremodo la qualità delle proposte, il loro contenuto, la loro reale fattibilità. E se così fosse, resta da capire se ci sarà possibilità di correggere qualcosa strada facendo (nelle more delle sottoscrizioni delle convenzioni). In ogni caso, se così fosse, nonostante i buoni presupposti sopra richiamati, il Bando Periferie sarebbe una risposta mancata a un bisogno, pressante, di civismo urbano; una necessità sentita di città più belle, accoglienti, sostenibili e dense di opportunità.

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