da http://altrenotizie.org/societa/7325-italiani-riformisti-scettici.html
di Tania Careddu
Se l’ultimo referendum non ha avuto (e meno male) l’esito per cui è stato concepito, ha, però, sortito effetti collaterali imprevisti e interessanti. In primis, ha rieducato gli italiani ai temi, polverosi per i più, della Carta costituzionale, li ha risvegliati dal torpore sulle questioni pubbliche, mobilitandoli, prima ancora che al voto, al dibattito, e non solo nelle sedi politiche ma anche negli ambienti privati.
E così, mentre le istituzioni dello Stato riscuotono la consueta diffidenza, la partecipazione politica avanza. Tanto che, nell’ultimo anno, quello dell’anti-politica, appare cresciuta, in maniera significativa, sebbene attraverso nuove forme, vedi la rete e i social network, rubando il passo alla partecipazione sociale.
Un coinvolgimento mirato, anche, a chiedere riforme. Pure fra chi ha votato no al referendum, alcuni dei contenuti del progetto di riforma vengono ampiamente condivisi: per esempio, la riduzione dei parlamentari viene appoggiata da nove italiani su dieci e il superamento del bicameralismo mette d’accordo più di un cittadino su due.
E se il 2016, sul terreno delle riforme, viene percepito come la grande occasione mancata, gli italiani continuano a rivendicare una democrazia, che rimane comunque il confine entro il quale loro continuano a pensare il sistema politico, “più democratica”. Ma mettono in discussione i suoi attori e i suoi meccanismi: perché la corruzione non è diminuita rispetto all’era Tangentopoli e la sfiducia nelle istituzioni rende più esigenti gli italiani.
In una graduatoria del consenso sociale, ormai consolidata, in cima, secondo quanto si legge nell’indagine Gli italiani e lo Stato", condotta da Demos & Pi, compaiono le Forze dell’ordine e la scuola; stabili, in fondo alla classifica, Parlamento e partiti; perdono punti lo Stato, i sindacati e le banche. E, con una leggera flessione, il Presidente della Repubblica versus Papa Francesco che supera qualsiasi organismo dello Stato italiano.
E’ un’Italia più delusa, bloccata e impaurita del solito: cresce la paura degli immigrati, considerati, per il 40 per cento degli abitanti del Belpaese, un pericolo per la sicurezza nazionale. Già minacciata da un futuro incerto che fa i conti con l’euro, il timore di abbandonarlo e la sfiducia nell’Unione europea.
Un popolo frustrato dal malfunzionamento dei principali servizi pubblici - sanitari, dell’istruzione e dei trasporti - deludenti ma incapace di reagire diversamente: la propensione al privato, infatti, continua a riguardare una parte del tutto minoritaria e fa segnare l’ennesimo arretramento.
E’ un atteggiamento di prudenza critica, quello degli italiani, radicato nella società dello Stivale, disincantato e polemico. Con una sete di riforme ma chiedendo di non “politicizzarle”. O meglio, di non piegarle a fini politici contingenti. Roba nostrana.
Se l’ultimo referendum non ha avuto (e meno male) l’esito per cui è stato concepito, ha, però, sortito effetti collaterali imprevisti e interessanti. In primis, ha rieducato gli italiani ai temi, polverosi per i più, della Carta costituzionale, li ha risvegliati dal torpore sulle questioni pubbliche, mobilitandoli, prima ancora che al voto, al dibattito, e non solo nelle sedi politiche ma anche negli ambienti privati.
E così, mentre le istituzioni dello Stato riscuotono la consueta diffidenza, la partecipazione politica avanza. Tanto che, nell’ultimo anno, quello dell’anti-politica, appare cresciuta, in maniera significativa, sebbene attraverso nuove forme, vedi la rete e i social network, rubando il passo alla partecipazione sociale.
Un coinvolgimento mirato, anche, a chiedere riforme. Pure fra chi ha votato no al referendum, alcuni dei contenuti del progetto di riforma vengono ampiamente condivisi: per esempio, la riduzione dei parlamentari viene appoggiata da nove italiani su dieci e il superamento del bicameralismo mette d’accordo più di un cittadino su due.
E se il 2016, sul terreno delle riforme, viene percepito come la grande occasione mancata, gli italiani continuano a rivendicare una democrazia, che rimane comunque il confine entro il quale loro continuano a pensare il sistema politico, “più democratica”. Ma mettono in discussione i suoi attori e i suoi meccanismi: perché la corruzione non è diminuita rispetto all’era Tangentopoli e la sfiducia nelle istituzioni rende più esigenti gli italiani.
In una graduatoria del consenso sociale, ormai consolidata, in cima, secondo quanto si legge nell’indagine Gli italiani e lo Stato", condotta da Demos & Pi, compaiono le Forze dell’ordine e la scuola; stabili, in fondo alla classifica, Parlamento e partiti; perdono punti lo Stato, i sindacati e le banche. E, con una leggera flessione, il Presidente della Repubblica versus Papa Francesco che supera qualsiasi organismo dello Stato italiano.
E’ un’Italia più delusa, bloccata e impaurita del solito: cresce la paura degli immigrati, considerati, per il 40 per cento degli abitanti del Belpaese, un pericolo per la sicurezza nazionale. Già minacciata da un futuro incerto che fa i conti con l’euro, il timore di abbandonarlo e la sfiducia nell’Unione europea.
Un popolo frustrato dal malfunzionamento dei principali servizi pubblici - sanitari, dell’istruzione e dei trasporti - deludenti ma incapace di reagire diversamente: la propensione al privato, infatti, continua a riguardare una parte del tutto minoritaria e fa segnare l’ennesimo arretramento.
E’ un atteggiamento di prudenza critica, quello degli italiani, radicato nella società dello Stivale, disincantato e polemico. Con una sete di riforme ma chiedendo di non “politicizzarle”. O meglio, di non piegarle a fini politici contingenti. Roba nostrana.
Nessun commento:
Posta un commento