Umberto riprende le sue riflessioni pubblicate da Tre Righe il 14 gennaio. Ci rendiamo conto che il tema "filosofico" trattato da Umberto, per la sua profondità di pensiero, esula un po' dalla linea editoriale di Tre Righe che essenzialmente si occupa di politica e di Roma.
Ma a volta certe riflessioni ci aiutano a comprendere meglio quello che ci circonda e a rispondere a domande che a volte, forse per la loro complessità, non ci vogliamo porre.
E per questo lo ringraziamo.
D.F.
Non nevica più. La neve sembra panna montata e invece è dura, perchè a mezzogiorno, ci sono anche sei/otto gradi sotto zero che scendono a dieci alla sera e un poco più giù, di notte. A Lillaz, a 10 minuti a piedi da Cogne ce ne sono -21. I passerotti e tutti gli altri pennuti, che sono qui intorno, se la cavano bene. Sono tantissimi. Devono arrivare con il passa parola.
Avevo scritto una mail senza molto costrutto (Alessio me lo ha fatto notare) convinto che sarebbe passata sotto silenzio.
Non è stato così e sono molto contento, ma mettendo insieme un po’ di tutto ho finito di tradire quello che volevo dire, per cui, ci torno sopra, senza obbligo per nessuno di leggere.
Intanto anche la religione parla di fine del tempo – basta rifarsi alla apocalisse -, quindi che il mondo e noi si scompaia non dimostra proprio niente (se non la mia inclinazione). Ma non era questo che mi interessava.
Davvero non mi interessava nemmeno accusare una divinità di crudeltà; la cosa, per un non credente è una banalità letteraria,per un credente una falsità.
Chi crede in dio può pensare in termini teleologici, persino accettando gli sviluppi della evoluzione, che di per sè, non costringono alla negazione della metafisica.
A loro, la mia richiesta di coerenza non può essere rivolta. L’uomo, almeno per le religioni del libro, è il centro del creato e l’universo intero gli è stato dato in dote.
La differenza tra l’uomo e il resto del creato – qualunque sia l’atteggiamento nei confronti degli altri viventi – è ovvia.
Quindi, sfrondando e focalizzando, vien fuori che parlavo ai non credenti. Quelli che non credono che la vita sia disegno divino, ma prodotto, insieme a tutto il resto dell’universo, di combinazioni chimico-fisiche..... e niente altro.
Nemmeno, però, volevo discutere di morale;. Il ciclo vita – morte, con il suo corredo di violenza intrinseca, è un fatto esistenziale e, come tale, “amorale”.
Anche perchè, se si parlasse di morale si arriverebbe facilmente allo scontro di opinioni diversissime, che toccano estremi di ogni genere, tante quante sono le morali.
Insomma niente morale.
La questione per me è semplice e forse invece, a voi sembrerà di lana caprina:
Non esiste nessun diritto dell’uomo di prevaricare l’universo vivente.
Immagino che tutti si ammetta che ogni strategia di vita si appoggi su una specifica “strumentazione” di adattamento.
Al genere “omo” è toccato in sorte lo strumento più efficace: il cervello. Niente di più e niente di meno, per cui non capisco “l’orgoglio di essere stato un essere umano” dichiarato da più di qualcuno.. L’orgoglio pretende merito e il merito di avere il cervello è nullo .
Scontato ormai – la scienza lo ha provato al di là di ogni possibile dubbio – che gli animali soffrano di dolore riflesso; siano empatici; socializzino....
Scontato ormai che il libero arbitrio – vanto umano - soffra di limiti sempre più vincolanti.....al cervello deve essere riconosciuta la miglior performance come strumento versatile e malleabile, capace di garantire la sopravvivenza in modo estremamente flessibile, guidato da una curiosità “necessaria” che ci spinge sempre oltre le colonne d’ercole. Per contro, come tutti gli “specialismi”, potrebbe essere lo strumento del suicidio del genere umano e, purtroppo, non solo.
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Insomma se il cervello è l’equivalente “dote” del collo lungo della giraffa o della proboscide dell’elefante e così via, da un punto di vista logico, quale è il fondamento del “diritto” del genere umano di “servirsi” degli altri esseri viventi? Se si ammette che non ci sia miglioramento ma soltanto adattamento e se si ammette che l “antropocene” sia caratterizzato dal dominio del genere omo, in virtù dello strumento “cervello”, manca, o no, la giustificazione “filosofica” della pretesa sottomissione dei viventi all’uomo?
Se, eliminato il soprannaturale, non possiamo considerarci la ciliegina sulla torta della evoluzione; se non possiamo considerare l’evoluzione come una linea che, pur facendo dei ghirigori, conduce all’”essere”, allora non esiste nessun “necessario” privilegio umano rispetto agli altri esseri viventi.
Alla domanda : con che diritto? Possiamo soltanto rispondere: con quello del più forte e attrezzato, che, dal punto di vista del diritto, è certamente una risposta barbara
Quindi, per esempio, tutte le volte che Elena Cattaneo o Corbellini (scienziati che stimo. Più la prima che il secondo) dichiarano la necessità della vivisezione (contro il parere di altri scienziati) per migliorare la conoscenza e la sorte degli uomini, sottintendendone il pieno diritto ad usarla, derivante da una gerarchia indiscutibile, ragionano come se ci fosse dio, e mi sembra inaccettabilmente illogico per persone che rifiutano il soprannaturale.
Lo stesso facciamo quasi sempre noi, che ci vantiamo, a torto o a ragione, di rifiutare il soprannaturale, e a cui piace pensarci alieni da barocchismi metafisici e, come dice Piero, sensibili al rigore definitorio.
Quando si tratta di definire i limiti concettuali del nostro preteso dominio sul mondo e su ogni altra forma di vita, nella migliore delle ipotesi, glissiamo.
Ci rimane soltanto la ragione del più forte, ma,secondo me, dovremmo provare un poco di vergogna per la nostra incoerenza concettuale.
Umberto Pradella
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