L’ambiente dimenticato, il più grave errore del Pd di Renzi

Un contributo di Ermete Realacci, deputato del Partito Democratico e storico ambientalista italiano: da Davos a Obama il mutamento climatico e nuovi modelli sostenibili di sviluppo sono al centro delle agende politiche. Perché un innovatore come l'ex Presidente del Consiglio li ignora?

16 Gennaio Gen 2017 1205 16 gennaio 2017 16 Gennaio 2017 - 12:05
 

Mi auguro che la lunga e sincera intervista di Matteo Renzi a Ezio Mauro, su La Republica, produca un cambiamento nella capacità del Partito Democratico di proporre una nuova proposta politica per l'Italia. Non trovo convincenti i temi, i modi e i tempi del dibattito nel Partito Democratico sulle ragioni della pesante sconfitta dei SI alla riforma costituzionale. Non aiuta il fatto, di per sé positivo, che il PD sia l’unica forza politica che usa lo streaming nei suoi organismi dirigenti: c’è il rischio di una discussione più orientata alle cronache politiche che alla lettura del Paese.
Nell’ultima Assemblea Nazionale, dopo una intensa relazione di Matteo Renzi, il confronto, con interventi di 5 minuti trattabili, è stato sostanzialmente, e in parte comprensibilmente, monopolizzato dalle varie correnti tese a ribadire le proprie posizioni. E nelle settimane successive il tema di gran lunga prevalente è diventato quello della legge elettorale e della durata della legislatura. Un tema ovviamente importante, ma ad altissimo rischio di avvitamento autolesionistico. Freudianamente esemplare da questo punto di vista il titolo con cui l’Unità di mercoledì 14 dicembre ha salutato, a tutta prima pagina, la fiducia votata dalla Camera dei Deputati al Governo Gentiloni: “Finalmente il PD non si spacca”. Sottotitolo, per fugare eventuali dubbi, “solo al momento del voto però”. Il trionfo dell’onanismo, mentre il governo è chiamato ad affrontare, nelle condizioni e nei tempi dati, temi vitali che vanno dall’economia, all’immigrazione, alle sofferenze sociali.
Non è da qui che può ripartire una rinnovata proposta politica del PD all’Italia, con la leadership di Matteo Renzi. Passaggio indispensabile per tornare a convincere, aiutare il Paese ad affrontare i problemi aperti e quindi vincere le elezioni. Sbaglia infatti chi si oppone a Renzi con toni e comportamenti sguaiati. La sua figura e la sua proposta politica hanno fatto e fanno la differenza tra il consenso del PD in Italia e quello di tutti gli altri partiti socialisti e democratici dei grandi paesi europei.
L’assunzione piena e coraggiosa di responsabilità di Renzi per la sconfitta della riforma costituzionale rischia però di essere troppo e troppo poco. Troppo perché la sconfitta è di tutto il PD. Troppo poco perché rischia di esaurire l’analisi degli errori fatti e l’individuazione dei cambiamenti necessari. Non basta certo un lungo elenco di mali, limiti e sofferenze per cambiare la realtà. Sicuramente deve essere più centrale la lotta alle diseguaglianze, anche per rafforzare la coesione sociale. Lo stesso Global Risks Report 2017 che prepara il Forum di Davos, considera il cambiamento climatico il primo rischio mondiale immediatamente seguito dalla diseguaglianza nei redditi e dalle fratture sociali. Ma non è possibile affrontare la diseguaglianza riproponendo ricette del secolo scorso, in un mondo in drammatico cambiamento. Basti pensare al pieno ingresso in campo economico e geopolitico di paesi come la Cina e l’India, che da soli rappresentano due miliardi e mezzo di persone. Non si difendono i diritti, le aree deboli e la coesione sociale senza un’idea ambiziosa e al tempo stesso praticabile di futuro. E per rendere più forte la nostra economia non è sufficiente la riduzione delle tasse o la mano invisibile del mercato: non fanno da sole ripartire consumi e occupazione.
Una crisi così lunga cambia anche le antropologie e bisogna fare i conti con società e cittadini diversi. Le stesse misure economiche indispensabili, penso ad esempio al progetto di “Industria 4.0”, hanno bisogno di più anima e non produrranno certo più posti di lavoro. Questi invece verranno da settori tradizionali ma in forte cambiamento: edilizia legata alla qualità, al recupero, alla sicurezza, agricoltura di territorio, turismo sostenibile, cultura e bellezza, cura delle persone, dei territori, delle comunità. C’è bisogno di un’economia al tempo stesso orientata all’innovazione e più a misura d’uomo: proprio per questo più forte e competitiva. Un’economia che in Italia come nel mondo può parlare la nostra lingua.
In questa come in altre politiche sono poi importanti i corpi intermedi, nella società, nell’economia, nelle istituzioni. Il Governo Renzi ha fatto passi significativi: penso al rafforzamento del servizio civile e alla riforma del Terzo settore. E’ vero: le forme tradizionali di organizzazione sono spesso logore e devono cambiare profondamente, ma è stato sbagliato trasmettere l’idea di una disintermediazione che puntasse ad un collegamento diretto tra singoli cittadini e leadership politica. La formula scelta da Beppe Grillo non aiuta il presente e il futuro. Pensate a come è possibile fare i conti senza reti connettive con i flussi migratori o con il rischio del terrorismo. Sarebbe stato possibile affrontare il terremoto, che ha colpito tanta parte del nostro Appennino, senza quella rete di amministratori e piccoli comuni che hanno tenuto in vita le comunità? E mi auguro che, come ha detto Renzi, la legge sulla valorizzazione dei “Piccoli Comuni”, approvata all’unanimità alla Camera, venga presto discussa in Senato.
C’è infine da cambiare rotta sulle priorità dei temi in agenda. A cominciare dal tema ambientale. Non sono mancate iniziative importanti del Governo e del Parlamento. Penso all’ecobonus, al sisma-bonus, al collegato ambientale, alle leggi sugli ecoreati, sulle agenzie ambientali, sullo spreco alimentare. Non parlo delle politiche del Ministero dell’Ambiente. Si sta ad esempio avviando la riscrittura della Strategia Energetica Nazionale. È possibile farlo ancora una volta senza integrarla pienamente con gli obiettivi della COP21 di Parigi per contrastare i mutamenti climatici? Sarebbe un grave errore anche dal punto di vista della prospettiva e della competitività della nostra economia.
In vari passaggi si è data l’idea di una concezione dello sviluppo troppo legata a modelli del passato. Penso ad esempio al cosiddetto referendum sulle trivelle. Il referendum, come ho avuto modo di dire, era marginale e mal posto per responsabilità dei proponenti: non riguardava neanche le trivelle ma le piattaforme. Andava sicuramente evitato. Ma i temi della campagna referendaria hanno fatto assomigliare il PD ad un remake di Dallas, la soap opera petrolifera di un quarto di secolo fa. La vittoria dell’astensione è stata la classica vittoria di Pirro. Credo che anche in quel passaggio, non certo evocatore di futuro, vada cercato il pessimo risultato nel voto giovanile. So che è rozzo e superficiale, ma colpisce che lo stesso 4 dicembre un signore di settantadue anni, Alexander Van der Bellen, ambientalista, abbia vinto elezioni difficili in Austria con un picco dei voti tra i giovani. Qualcosa può fare da subito il governo Gentiloni, ma è necessario definire una nuova piattaforma politica per la futura legislatura.

Colpisce che lo stesso 4 dicembre un signore di settantadue anni, Alexander Van der Bellen, ambientalista, abbia vinto elezioni difficili in Austria con un picco dei voti tra i giovani. Qualcosa può fare da subito il governo Gentiloni, ma è necessario definire una nuova piattaforma politica per la futura legislatura

Matteo Renzi sa bene che già oggi una parte significativa della nostra economia è orientata verso la green economy e che le imprese che investono sull’ambiente sono quelle che innovano di più, esportano di più, producono più posti di lavoro. Nel 2016 sono 249 mila i nuovi posti di lavoro prodotti, pari al 44,5% della domanda complessiva di lavoratori non stagionali, quota che sale fino al 66% nel settore ricerca e sviluppo.
Ho sostenuto e sostengo la sua leadership anche perché lo ritengo in grado di fare di questo una delle chiavi del futuro dell’Italia. Questo non è finora avvenuto in maniera adeguata.
Obama ha tenuto martedì scorso a Chicago un discorso straordinario, bellissimo, a tratti commovente. Un discorso che riconcilia con la politica e la sua missione che per Bob Kennedy era “addomesticare l’istinto selvaggio dell’uomo e rendere dolce la vita sulla Terra”. E’ stata un’occasione per fare il bilancio dei suoi otto anni di presidenza ma anche per indicare l’agenda del suo impegno futuro.
Tra i temi principali: un’idea forte della democrazia e direi anche della vita, economia ed occupazione, diritti ed emigrazione, lotta al terrorismo, mutamenti climatici. In particolare sull’ambiente si è concentrato negli ultimi tempi il suo impegno. L’ambiente come dovere per il futuro ma anche come opportunità economica e tecnologica. E come sfida politica. Penso ad un importante e documentato suo articolo apparso su “Science” nei giorni scorsi e soprattutto a misure pesanti e ad altissimo valore simbolico come il divieto di ricerca petrolifera lungo le coste dell'Atlantico, dal New England fino alla Virginia e nei mari dell’Artico.
Anche in Italia il tema ambientale è fondamentale per l’economia, l’innovazione, l’occupazione. E per la politica. Siamo pieni di obamiani ma l’ambiente non è stato mai citato nell’Assemblea nazionale del PD. Non è così che si prepara un’agenda democratica in grado di affrontare il presente e il futuro. Per questo c’è molto da lavorare.