Con François Cluzet, Marianne Denicourt, Christophe Odent,
Patrick Descamps, del 2016. Fotografia Nicolas Gaurin.
Una lezione di umanità
Il
film Il medico di campagna mostra una
zona rurale della Francia del nord dedita prevalentemente ad agricoltura e a
pastorizia. Siamo a Chaussy, una piccolissima cittadina di neanche 700 anime nella
Val-d’Oise, al confine con la Normandia. Jean-Pierre Werner (un bravissimo
François Cluzet) è un medico condotto cinquantenne che si occupa da solo di
tutti i malati della zona, di cui molti curati a domicilio. Quindi, dopo l’orario
di ambulatorio, Jean-Pierre deve percorrere parecchi chilometri per raggiungere
tutti i suoi pazienti nelle case agricole sparse, talvolta anche di notte, con
il fango nelle strade sterrate e con il cattivo tempo. Il ruolo del medico di
campagna è anche quello di supplire all’assenza di strutture ospedaliere: fa
radiografie e interventi di ogni genere. I suoi pazienti lo amano molto e si
sentono rassicurati dalla sua presenza umana piena di attenzioni.
A un
certo punto Jean-Pierre scopre di avere un tumore al cervello e deve seguire i
protocolli del caso, iniziando con la chemioterapia. Il suo amico oncologo gli
suggerisce di prendere un aiutante per il suo ambulatorio e gli manda Nathalie
Delezia (un’affascinante Marianne Denicourt), una non giovanissima e
determinata dottoressa con esperienza principalmente di pronto soccorso.
La
storia in sostanza è tutta qui, nella descrizione del rapporto tra i due
medici. All’inizio il più esperto e maturo Jean-Pierre è contrariato dalla
presenza di Nathalie e la mette in imbarazzo dandole casi difficili (o umanamente
o in luoghi difficili da raggiungere), poi man mano comincerà ad apprezzarla fino
a che la reputerà indispensabile, specialmente nelle emergenze. La vicenda
umana narrata nel film, in fondo, è un pretesto per uno squarcio sulla
provincia francese, dove sembra che la società del consumo debba ancora
arrivare e che la mentalità contadina sia conservatrice e antiprogressista. Sembra
quasi impossibile vedere un medico che elabora manualmente le schede dei
pazienti senza l’ausilio di un computer. Il
medico di campagna, inoltre, presenta una galleria di tipi umani: il
giovane ritardato (ma forse autistico?), la ragazza giovane e incauta che si fa
sottomettere dal suo compagno, l’anziano signore che vuole morire a casa
propria e non vuole finire in ospedale, e perfino gli affaristi che vorrebbero
investire nella sanità solo per trarne profitto.
Una
cosa che mi ha stupito un po’ del film è la festa campagnola in costume da cow-boys con musica americana country-folk organizzata dal sindaco di
Chaussy: l’idea che un modello americano possa essere emulato in Francia mi meraviglia.
È stato scelto, inoltre, “Halleluja”, il brano di Leonard Cohen, poeta
cantautore canadese scomparso da pochissimo, a simbolo di un’idilliaca arcadia.
Il
regista Thomas Lilti è un quarantenne, ex medico internista, al suo secondo
film che parla di medicina. Forse gli piace indugiare un po’ troppo sul
dettaglio dei corpi, sulle cure prestate, però è evidente che crede in un
rapporto empatico tra medico e paziente. Viceversa nel film non c’è nessun
indugio al piacere del paesaggio della campagna francese né c’è spazio per la
piacevolezza delle case in pietra d’Oltralpe.
Ghisi
Grütter
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