6 gennaio 2017

Recensione film: IL MEDICO DI CAMPAGNA regia di Thomas Lilti


Con François Cluzet, Marianne Denicourt, Christophe Odent, Patrick Descamps, del 2016. Fotografia Nicolas Gaurin.

 



 

Una lezione di umanità

Il film Il medico di campagna mostra una zona rurale della Francia del nord dedita prevalentemente ad agricoltura e a pastorizia. Siamo a Chaussy, una piccolissima cittadina di neanche 700 anime nella Val-d’Oise, al confine con la Normandia. Jean-Pierre Werner (un bravissimo François Cluzet) è un medico condotto cinquantenne che si occupa da solo di tutti i malati della zona, di cui molti curati a domicilio. Quindi, dopo l’orario di ambulatorio, Jean-Pierre deve percorrere parecchi chilometri per raggiungere tutti i suoi pazienti nelle case agricole sparse, talvolta anche di notte, con il fango nelle strade sterrate e con il cattivo tempo. Il ruolo del medico di campagna è anche quello di supplire all’assenza di strutture ospedaliere: fa radiografie e interventi di ogni genere. I suoi pazienti lo amano molto e si sentono rassicurati dalla sua presenza umana piena di attenzioni.

A un certo punto Jean-Pierre scopre di avere un tumore al cervello e deve seguire i protocolli del caso, iniziando con la chemioterapia. Il suo amico oncologo gli suggerisce di prendere un aiutante per il suo ambulatorio e gli manda Nathalie Delezia (un’affascinante Marianne Denicourt), una non giovanissima e determinata dottoressa con esperienza principalmente di pronto soccorso.

La storia in sostanza è tutta qui, nella descrizione del rapporto tra i due medici. All’inizio il più esperto e maturo Jean-Pierre è contrariato dalla presenza di Nathalie e la mette in imbarazzo dandole casi difficili (o umanamente o in luoghi difficili da raggiungere), poi man mano comincerà ad apprezzarla fino a che la reputerà indispensabile, specialmente nelle emergenze. La vicenda umana narrata nel film, in fondo, è un pretesto per uno squarcio sulla provincia francese, dove sembra che la società del consumo debba ancora arrivare e che la mentalità contadina sia conservatrice e antiprogressista. Sembra quasi impossibile vedere un medico che elabora manualmente le schede dei pazienti senza l’ausilio di un computer. Il medico di campagna, inoltre, presenta una galleria di tipi umani: il giovane ritardato (ma forse autistico?), la ragazza giovane e incauta che si fa sottomettere dal suo compagno, l’anziano signore che vuole morire a casa propria e non vuole finire in ospedale, e perfino gli affaristi che vorrebbero investire nella sanità solo per trarne profitto.

Una cosa che mi ha stupito un po’ del film è la festa campagnola in costume da cow-boys con musica americana country-folk organizzata dal sindaco di Chaussy: l’idea che un modello americano possa essere emulato in Francia mi meraviglia. È stato scelto, inoltre, “Halleluja”, il brano di Leonard Cohen, poeta cantautore canadese scomparso da pochissimo, a simbolo di un’idilliaca arcadia.

Il regista Thomas Lilti è un quarantenne, ex medico internista, al suo secondo film che parla di medicina. Forse gli piace indugiare un po’ troppo sul dettaglio dei corpi, sulle cure prestate, però è evidente che crede in un rapporto empatico tra medico e paziente. Viceversa nel film non c’è nessun indugio al piacere del paesaggio della campagna francese né c’è spazio per la piacevolezza delle case in pietra d’Oltralpe.

 

Ghisi Grütter

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