da http://www.donnealtri.it/2016/12/microcritiche-il-bambino-zucchina-che-ci-commuove/
Sceneggiatura di Céline Sciamma. Con Gaspard Schlatter, Sixtine Murat, Paul Jaccoud, Michel Vuillermoz. Svizzera/Francia del 2016. Musiche di Sophie Hunger.
Gli
europei francofoni sono molto bravi a fare film d’animazione dove spesso vengono
toccate tematiche sociali importanti. “La
mia vita da zucchina” in particolare è un film commovente, un condensato di
buone intenzioni e di visioni politically
correct: l’istituto per minori, in cui ogni ragazzo ha una storia
drammatica alle spalle, è accogliente, il poliziotto è buono, il giudice è comprensivo.
C’è spazio anche per gli amori delicati e i rossori della pubertà e per la
curiosità sessuale. «Che fa il pisellino, esplode?» chiede uno degli orfani
all’amichetto considerato più esperto.
“La mia vita da zucchina” è un film
estremamente gradevole nonostante il clima malinconico nel quali ci fa immergere.
Icare detto Zucchina è un bambino di nove anni che parla poco e ama molto
disegnare. Vive nella sua stanza mansardata e tiene una sorta di diario per
immagini, con le quali riesce a comunicare molto bene. Rimasto orfano a nove
anni per la morte accidentale della madre alcolizzata - il padre lo aveva
abbandonato anni prima – il nostro eroe viene interrogato da Raymond, un empatico
poliziotto che, si saprà poi, aver perso a sua volta il proprio figliuolo. Raymond
accompagnerà Zucchina nella casa-famiglia - dove troverà tanti bambini nella
sua stessa condizione - e continuerà ad andarlo a trovare regolarmente. Icare
ha con sé una lattina di birra come unico ricordo della madre (che però faceva
un purè molto buono) e ha disegnato su un aquilone il suo papà da un lato e una
gallina sul retro perché la mamma diceva che suo padre «Correva sempre dietro alle
pollastrelle».
Lì
Zucchina conoscerà Simon, Ahmed, Jujube, Alic e Bétrice e poi l’ultima arrivata
Camille – di cui s’innamorerà – tutti bambini che vivono isolati dal mondo in
una campagna, anch’essa isolata. Assolutamente deserte sono anche le montagne
innevate dove andranno a fare una scampagnata tutti insieme. Il dato surreale
circonda il gruppettino dei bambini e fa emergere ancora di più la coesione che
nasce tra loro.
Un
po’ come i personaggi di Linus, Snoopy, Lucy, Charlie Brown e Shröreder, l’altezza
del punto di vista è quella dell’occhio di bambino e vivono in un microcosmo
tutto loro, ma mentre gli eroi statunitensi sono i figli di una middle-class suburbana e integrata, qui i
bambini fanno parte di un’umanità sofferente che vive ai margini della società.
Chi ha avuto i genitori drogati, chi la madre rimpatriata a forza nel paese
d’origine, chi il padre pedofilo o assassino o ladro. I pupazzi di plastilina
animati in stop motion con gli
occhioni grandi di Claude Barras assomigliano molto a quelli di Tim Burton de La sposa cadavere del 2005.
Il
film è tratto dal libro “Au tobiografia di una zucchina” di Gilles Paris e il
primo lungometraggio dello svizzero Claude Barras che è riuscito a ottenere i
diritti nel 2008. Solo dopo l’incontro con la cineasta francese Cecile Sciamma
è riuscito a realizzare questo delizioso film girato al Pôle
Pixel di Villeurbanne al ritmo di trenta secondi al giorno. “La mia vita da zucchina” è stato presentato
alla “Quinzaine des Réalisateurs” del festival di Cannes di quest’anno e
proposto all’Oscar come migliore film straniero dalla Svizzera.
Bravi
anche i doppiatori italiani: Lorenzo D’Agata (Zucchina), Lucrezia Roma
(Camille), Riccardo Suarez (Simon), Stefano Mondini (Raymond).
Ghisi Grütter
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