12 aprile 2017

PERCHE' SI UCCIDE?

 Penso che questa sia la questione cruciale, il tema dei temi. Se sei aggredito, e rischi la vita, devi difenderti opponendo forza a forza, violenza a violenza. Non c'è dubbio. A meno che il tuo nome non sia Gandhi o Gesù. Se vedi che qualcuno è gravemente minacciato, devi intervenire, non c'è dubbio. Ma chi ha preso l'iniziativa per aggredire e uccidere, come può essere giustificato? E questo succede tra parenti in famiglia, o tra cosche mafiose e bande di vicinato, o tra popoli e stati confinanti. Ma cosa, chi, perché ha messo nell'essere umano un impulso così violento da trasformarlo a volte in assassino? Si uccide per appropriarsi del comando sulle risorse di un territorio, per padroneggiare ed espandere i propri domini. Si uccide per punire chi ci ha intollerabilmente offeso, per sottomettere e intimidire. Si uccide per provare l'ebbrezza delirante dell'onnipotenza. Come se, paradossalmente, perversamente, l'uccidere qualcuno, il potere di togliere la vita umana, facesse sentire simili a Dio. Come se, essendo tutti destinati a morire, uccidere qualcun altro prima di noi ci facesse sentire meglio. Ma questo ha a che fare con la disperazione per l'inaccettabilità della nostra condizione di esseri a termine. Confesso che a volte, in presenza di situazioni o fatti di una ingiustizia grave e inaccettabile, mi sento nascere dentro una rabbia tale che, liberata, temo mi porterebbe là dove succede l'irrimediabile. Sono d'accordo con Papa Francesco che dice che a essere colpevole non è solo chi usa armi per muovere aggressione e guerra, ma innanzitutto chi le costruisce. Sogno un mondo in cui non solo nessuno lancia gas asfissianti su scuole e ospedali, ma a nessuno passa neanche per l'anticamera del cervello l'idea di realizzarli. Chissà se si arriverà mai a un mondo così fatto. Forse tra mille anni.
Gian Carlo Marchesini

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