7 aprile 2017

Art.1.MDP: PER UNA NUOVA AGENDA SOCIALE E PROGRESSISTA



Per una nuova Agenda sociale e progressista

Per ragionare sulla prossima legge di bilancio e quindi sul prossimo DEF bisogna aver chiara la situazione economica e finanziaria del Paese. La ripresa in Europa è arrivata, ma l’Italia non sembra beneficiarne: la crescita rimane stentata, e l’Italia rimane collocata all’ultimo posto nella graduatoria dei Paesi europei. La mancata crescita ha effetti negativi non solo sulla occupazione, ma anche sul disavanzo pubblico e sul debito pubblico.

I nostri conti sono precari. La Commissione europea ci chiede una manovra correttiva di 3,4 miliardi per il 2017. Ma preoccupazioni ancora maggiori si prospettano per il 2018 e la manovra relativa. A fine anno il QE della BCE verrà meno e quindi i tassi di interesse cresceranno con effetti preoccupanti sui nostri conti, mentre almeno in teoria con la prossima manovra dovremo compensare le clausole di salvaguardia per circa 20 miliardi. L’Italia non ha saputo utilizzare un periodo molto favorevole di euro basso, interessi bassi e basso costo dell’energia che ora si sta concludendo. Inoltre il risparmio nella spesa per interessi di circa 20 miliardi dovuto al QE è stato compensato dalla maggiore spesa per i pagamenti connessi alla dissennata politica dei derivati effettuata in passato dai nostri Governi.
Non sono utili ulteriori bonus e sconti fiscali. Tutte le risorse disponibili dovrebbero invece essere utilizzate per maggiori investimenti pubblici ad alto moltiplicatore, in modo da stimolare la crescita e l’occupazione e portare finalmente il Paese fuori dalla crisi, privilegiando gli investimenti sotto soglia comunitaria da parte degli enti territoriali per garantire maggiore celerità e, quindi, realizzabilità. Il rilancio delle spese per investimenti pubblici è da tempo consigliato dal FMI e dall’OCSE, e da autorevoli studiosi. Le politiche seguite negli ultimi anni basate sulla riduzione della spesa pubblica e delle imposte non hanno avuto effetto perché in una situazione di stagnazione, depressione, deflazione, come quella italiana (ed europea) le politiche dell’offerta sono inefficaci in quanto il problema è la carenza della domanda e non la rigidità dell’offerta. Il moltiplicatore fiscale degli investimenti è di due tre volte maggiore di quello della riduzione delle imposte che in realtà è inferiore all’unità. In questo quadro, non convince l’ipotesi di procedere con privatizzazioni pensate al solo scopo di fare cassa, fuori da qualsiasi logica industriale.

Serve quindi un incremento netto degli investimenti di almeno ½ punto di PIL l’anno per almeno tre anni per finanziare un grande piano del lavoro e per l’ambiente. I settori di intervento più utili ed urgenti dovrebbero essere quelli della manutenzione urbana delle nostre città, della messa in sicurezza del territorio, della prevenzione contro il dissesto idrogeologico, della viabilità minore, delle bonifiche dei siti inquinati che potrebbero essere gestiti dai Comuni (e dalle Province). Vanno però introdotte procedure che rendano effettivi questi interventi eliminando gli ostacoli di diversa origine che oggi fanno sì che il ciclo della spesa per opere pubbliche sia in Italia di 9 anni. Al tempo stesso vanno accelerati gli investimenti nel mezzogiorno che si trova in una situazione di crisi economica e sociale drammatica, rispristinando la piena applicazione della c.d. “Clausola Ciampi” con cui si riserva la destinazione del 45 % degli investimenti pubblici proprio ai territori del Mezzogiorno.

Non sarebbero utili nella situazione attuale interventi di riduzione generica del cuneo fiscale. Una riduzione strutturale del costo del lavoro sarebbe opportuna nel medio periodo, ma, date le esigenze e le difficoltà attuali, essa, oltre ad essere costosa, sarebbe poco utile, come si è potuto verificare anche dagli interventi effettuati sia dall’ultimo Governo Prodi che dal Governo Renzi. Andrebbe piuttosto data priorità a un intervento sull’Irpef a vantaggio dei redditi medio-bassi rispetto al taglio dell’Ires sui profitti aziendali previsto dall’ultima Legge di Bilancio. Va verificata la possibilità di risparmi di spesa, soprattutto nelle spese per consumi intermedi, il cui ammontare è cresciuto ultimamente.

Va affrontato il problema dell’evasione fiscale di massa, finora ignorato o eluso. Le proposte esistono da tempo, altre se ne possono avanzare, e se realizzate correttamente esse potrebbero fornire risultati molto rilevanti. Vanno evitati ulteriori interventi di condono fiscale o misure che mettono in discussione il principio costituzionale della progressisvità fiscale, come quelle a favore dei milionari stranieri che decidono di stabilirsi in Italia.

Dopo anni di blocco del personale è necessario riprendere gradualmente le assunzioni nel settore pubblico, partendo dai settori e dalle situazioni in cui le necessità sono più evidenti, quali la sanità, la scuola l’Università, e iniziando a favorire il reinserimento nella Pubblica Amministrazione dei giovani, la cui quota è drasticamente scesa negli ultimi anni.

Va evitato che la riclassificazione dei LEA possa portare a un aumento del pagamento per i tickets da parte dei cittadini. E in verità bisognerebbe porsi l’obiettivo di eliminare gradualmente il cosiddetto superticket introdotto dall’ultimo Governo Berlusconi, che spesso ha avuto l’effetto di rendere più costoso l’accesso al servizio sanitario pubblico rispetto a quello privato. Non va sottaciuto il taglio operato dal Governo sulla spesa sanitaria rispetto agli impegni sottoscritti con le Regioni nel Patto della Salute. Va difesa l’univeralità e l’equità del nostro servizio sanitario nazionale, riportando la sua incidenza ad almeno il 7% del PIL (la media europea registrata nel 2013 è del 7,2%), invertendo la tendenza alla discesa verso il 6,5% ribadita dal DEF dell’anno scorso.
Le risorse attualmente disponibili per contrastare la povertà attraverso i provvedimenti da ultimo varati dal Governo sono insufficienti e necessitano almeno dell’incremento di una stanziamento pari a 1 miliardo di euro per l’anno in corso.

L’entrata in vigore del Jobs act ha fortemente affievolito le tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento giudicato ingiusto) per i nuovi assunti. Occorre su questo un ripensamento, sia sul fronte dei licenziamenti disciplinari, sia di quelli collettivi.

Occorre adottare un piano di contrasto alla delocalizzazione produttiva e fiscale delle imprese, introducendo finalmente la web tax sulle imprese del digitale con sede all’estero.

Entro questo anno il fiscal compact dovrebbe entrare a far parte dei trattati. Bisogna battersi con le opportune alleanze affinché esso sia modificato nella direzione di una golden rule sugli investimenti da esercitare almeno entro il limite del 3%. In caso contrario va contrastata l’introduzione nei trattati. Anche le regole sulla misurazione del pareggio strutturale andrebbero modificate e riviste: la Commissione dovrebbe concordare con FMI e OSCE un metodo di calcolo condiviso.






 

 

 
 
 







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