Con
Marion Cotillard, Alex Brendemühl, Louis Garrel, Brigitte Roüan, Victoire Du
Bois, Aloïse Sauvage, del 2016.
Fotografia
di Christophe Beaucarne, Musiche di Daniel Pemberton.
Lo spostamento del desiderio
Se
fosse una storia ottocentesca – ad esempio di Guy di Maupassant - si potrebbero
sintetizzare le vicende narrate dal film come “la storia di un’isteria”, ma io
preferisco pensare che rappresentino più generalmente una metafora della
condizione femminile.
Mal di pietre, presentato al festival di Cannes del 2016, è tratto dal libro
omonimo di Milena Agus (edizione Nottetempo) del 2006, che parla proprio del
destino di una donna sarda anticonformista che usa un linguaggio spregiudicato
e allontana i suoi pretendenti scrivendo lettere piene di fantasie sessuali.
Nicole
Garcia ambienta la vicenda nella campagna di Valensole, nell’Alta Provenza, alla
fine della seconda guerra mondiale. Una famiglia di possidenti benestanti dà
lavoro ai braccianti spagnoli scappati a causa dell’avvento del franchismo nel
1939. Due sono le figlie femmine, ma Gabrielle (un’immensa Marion Cotillard) ha
dei comportamenti a dir poco stravaganti, sembra disturbata psicologicamente, e
s’invaghisce follemente del suo tutore di letteratura, felicemente sposato e in
attesa di un figlio.
All’epoca
la “malattia mentale” era una specie di onta, non c’erano terapie se non le
case manicomiali, si cercava quindi di negarla. Adéle (Brigitte Roüan), la
madre di Gabrielle, pensa che un matrimonio (un uomo) possa risolvere i
problemi della figlia, e sicuramente può risolvere quelli della famiglia.
Pertanto propone a José Rabascal (Alex Brendemühl), un operaio/bracciante catalano,
di sposarla in cambio di aiuti finanziari e lavorativi.
E
così, come si usava una volta per i matrimoni combinati, Gabrielle accetta a
malavoglia – l’alternativa era di essere internata – pur ponendo una serie di
restrizioni e condizionamenti a José. Con il tempo la stessa Gabrielle,
apprezzando la riservatezza del marito, si scioglierà
un po’ e accetterà anche di avere rapporti
sessuali con lui. Josè le si affeziona e, poco a poco, cercherà di fare ciò che
pensa la faccia felice, le costruisce anche una bella casa sul mare a Le
Ciotat, sotto Marsiglia.
Un
aborto spontaneo svelerà che Gabrielle ha il “mal di pietre” che sarà curato in
una clinica svizzera con la terapia Kneipp delle acque e delle docce alternate.
Lì incontrerà André Sauvage (Louis Garrel), un giovane tenente malatissimo (ha
un solo rene) che ha combattuto in Indocina e che le farà rinascere il
sentimento di passione assopito da anni. Non voglio narrare qui tutte le vicende
che porteranno Gabrielle a essere madre, ma sempre e completamente posseduta dall’amour fou.
È
così che molte donne hanno vissuto, e ancora vivono, una realtà che non hanno
scelto e che le rendono infelici. Solo rifugiandosi nell’immaginario e nella
fantasia molte donne riescono a sopravvivere a tutte le condizioni.
L’attrazione poi per ciò che non si può avere è sempre più forte di ciò che
abbiamo a portata di mano e il desiderio aumenta con l’impossibilità a ottenere
ciò che si pensa possa darci la felicità.
La
luce è un elemento forte del film, dai campi di lavanda al tramonto, alla
nebbia alpina, al sole della casa in riva al mare, ai colori pastello di Lione.
Ottima la scelta delle musiche: Bach, Purcel, Favre e così via.
La
regista Nicole Garcia nasce in Algeria da famiglia spagnola. In Francia dal 1960,
ha ottenuto molti successi come attrice girando con famosi registi come
Lelouch, Tavernier e Deville. Come regista scava sempre nella psiche dei suoi
personaggi – ad esempio in L’avversario
del 2002 con Daniel Auteuil – e nei rapporti interpersonali familiari.
Ghisi
Grütter
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