1 aprile 2017

Recensione film: ELLE regia di Paul Verhoeven

Sceneggiatura di David Birke.

Con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny, Charles Berling, Virginie Efira, Christian Berkel, del 2016.

 



 

Il fascino discreto della borghesia

 

Elle è la rappresentazione di una fascia borghese con i suoi vizi e le sue virtù (forse le virtù si vedono meno…). Il film s’ispira al racconto “Oh…” di Philippe Dijan e narra le vicende di Michèle, una donna imprenditrice di successo, proprietaria di una società che produce video-giochi. Siamo a Parigi e Michèle Leblanc (la bravissima Isabelle Huppert) è divorziata dallo scrittore squattrinato Richard; vive da sola in un quartiere residenziale di case unifamiliari quando, un giorno, viene aggredita nella sua casa, stuprata da un uomo in tuta da jogging e con il volto coperto da un passamontagna. Unico testimone Marty, il bel gattone grigio simil certosino che vive con lei.

Invece di denunciare l’aggressione, la donna si compra spray urticanti, martelli e altri strumenti di difesa e, dopo ulteriori messaggi e messaggini dell’aggressore, sembra piuttosto intenzionata a voler scoprire da sola l’identità dell’uomo mascherato.

Le motivazioni per cui non va alla polizia sembrano essere molteplici: da un lato, i ricordi penosi della sua infanzia glielo impediscono, dall’altra la voglia di tenere lei tutto sotto controllo (lavoro, figli, madre, fidanzati, ex mariti e…molestatori) e la sua fede nel potere della rimozione, infine, ma non ultimo, un certo piacere subito durante aggressione, dove sembrerebbe non aver del tutto disdegnato il rapporto sessuale in una sorta di perversione sadomasochista.

Mediante flashback si scopre che suo padre, una quarantina di anni prima a Nantes, aveva fatto una strage sparando con il fucile a ventisette vicini compresi i bambini, e uccidendo perfino sei cani e due gatti: «si salvò inspiegabilmente un criceto…» racconta lei a Patrick, l’attraente vicino di casa la sera di Natale. Michèle, all’epoca una bambina di dieci anni, è rimasta schioccata dall’evento, mentre il padre, arrestato e condannato all’ergastolo, è ancora in prigione scontando la sua pena. Alcuni media dell’epoca riportarono una sua foto seminuda con il volto impietrito che però fece sospettare di una sua eventuale complicità nella strage, peraltro mai provata.

Attorno a Michèle tutta una serie di personaggi che contribuiscono a dipingere questo piccolo gruppo di borghesia francese. I giovani impiegati nella sua società, geni dei computer che lei spadroneggia, sono tutti un po’ stravaganti. Sua madre è una donna che accetta male di invecchiare ed ha sempre degli amanti più giovani. Il figlio, succube di una madre troppo determinata, è un po’ inconcludente, lavora in un fast food e si mette con una ragazza che non lo stima affatto e che è incinta (ma sarà di lui?). I vicini di casa, sono una coppia timorata di Dio – lei una bigotta, lui un mediocre broker bancario - che allestiscono il presepe in giardino con le statue in scala 1.1 inserendo un S. Giuseppe nero. Di connotazione borghese anche la coppia della socia e amica inseparabile Anna, con il cui marito Robert lei ha dei rapporti sessuali saltuari. E così anche l’ex marito Richard che tenta di ricostruirsi la vita con una troppo giovane dottoranda.

Il film, il cui stile è stato definito a metà tra il thriller da camera (all’europea) e la black comedy presenta anche una certa ironia e un certo piacere del grottesco. Tanto per citare un episodio, il nipotino di Michèle nascerà inspiegabilmente con una pelle da mulatto.

La casa di Michèle è arredata con gusto minimalista, molto probabilmente da un architetto, tipica è la lampada di Castiglione quasi uno status symbol.

Verhoeven è un regista olandese forse non sufficientemente apprezzato in passato, osannato invece per motivi futili come ad esempio la famosa scena osé di Sharon Stone in Basic Instinct del 1992. Qui, seguendo come afferma lui stesso il racconto, dà il meglio di sé mettendo in luce l'ipocrisia borghese, religiosa e perbenista. Fa sdoppiare i suoi personaggi in una lotta contro se stessi e li fa vivere in una perenne ambiguità.

Per alcuni versi mi sono venuti in mente certi film di Buñuel, non tanto per il suo linguaggio surrealista qui totalmente assente, quanto proprio per la messa in scena delle perversioni sessuali di donne borghesi. Tanto per ricordarne un paio, in Belle de jour del 1967, una donna sposata che si credeva frigida scopre il piacere sessuale nel prostituirsi, mentre Tristana del 1970 accetta di diventare amante del suo padre putativo e che, alla fine, lascerà morire. Isabelle Huppert sembrerebbe si sia ormai specializzata in queste parti. Indimenticabile nella parte di Erika Kohut, una maestra di pianoforte frustrata, nello splendido film La pianista di Michael Hanneke del 2001, dove però la perversione sembrava essere più soggettiva e meno connotativa di un gruppo sociale.

Elle è stato candidato come miglior film agli European Film Award ed ha vinto parecchi premi sia negli Stati Uniti (un Golden Globe 2017) sia in Francia, dove infatti il film e la sua interprete Isabelle Huppert sono stati vincitori del premio César 2016.

 

Ghisi Grütter

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