Con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny,
Charles Berling, Virginie Efira, Christian Berkel, del 2016.
Il fascino discreto
della borghesia
Elle è la rappresentazione di una fascia
borghese con i suoi vizi e le sue virtù (forse le virtù si vedono meno…). Il
film s’ispira al racconto “Oh…” di Philippe Dijan e narra le vicende di Michèle,
una donna imprenditrice di successo, proprietaria di una società che produce
video-giochi. Siamo a Parigi e Michèle Leblanc (la bravissima Isabelle Huppert)
è divorziata dallo scrittore squattrinato Richard; vive da sola in un quartiere
residenziale di case unifamiliari quando, un giorno, viene aggredita nella sua
casa, stuprata da un uomo in tuta da jogging
e con il volto coperto da un passamontagna. Unico testimone Marty, il bel gattone
grigio simil certosino che vive con lei.
Invece
di denunciare l’aggressione, la donna si compra spray urticanti, martelli e altri strumenti di difesa e, dopo ulteriori
messaggi e messaggini dell’aggressore, sembra piuttosto intenzionata a voler
scoprire da sola l’identità dell’uomo mascherato.
Le
motivazioni per cui non va alla polizia sembrano essere molteplici: da un lato,
i ricordi penosi della sua infanzia glielo impediscono, dall’altra la voglia di
tenere lei tutto sotto controllo (lavoro, figli, madre, fidanzati, ex mariti e…molestatori)
e la sua fede nel potere della rimozione, infine, ma non ultimo, un certo piacere
subito durante aggressione, dove sembrerebbe non aver del tutto disdegnato il
rapporto sessuale in una sorta di perversione sadomasochista.
Mediante
flashback si scopre che suo padre,
una quarantina di anni prima a Nantes, aveva fatto una strage sparando con il
fucile a ventisette vicini compresi i bambini, e uccidendo perfino sei cani e due
gatti: «si
salvò inspiegabilmente un criceto…» racconta lei a Patrick, l’attraente
vicino di casa la sera di Natale. Michèle, all’epoca una bambina di dieci anni,
è rimasta schioccata dall’evento, mentre il padre, arrestato e condannato
all’ergastolo, è ancora in prigione scontando la sua pena. Alcuni media dell’epoca riportarono una sua
foto seminuda con il volto impietrito che però fece sospettare di una sua
eventuale complicità nella strage, peraltro mai provata.
Attorno
a Michèle tutta una serie di personaggi che contribuiscono a dipingere questo
piccolo gruppo di borghesia francese. I giovani impiegati nella sua società,
geni dei computer che lei spadroneggia, sono tutti un po’ stravaganti. Sua
madre è una donna che accetta male di invecchiare ed ha sempre degli amanti più
giovani. Il figlio, succube di una madre troppo determinata, è un po’
inconcludente, lavora in un fast food
e si mette con una ragazza che non lo stima affatto e che è incinta (ma sarà di
lui?). I vicini di casa, sono una coppia timorata di Dio – lei una bigotta, lui
un mediocre broker bancario - che allestiscono
il presepe in giardino con le statue in scala 1.1 inserendo un S. Giuseppe nero.
Di connotazione borghese anche la coppia della socia e amica inseparabile Anna,
con il cui marito Robert lei ha dei rapporti sessuali saltuari. E così anche
l’ex marito Richard che tenta di ricostruirsi la vita con una troppo giovane
dottoranda.
Il
film, il cui stile è stato definito a metà tra il thriller da camera (all’europea) e la black comedy presenta anche una certa ironia e un certo piacere del
grottesco. Tanto per citare un episodio, il nipotino di Michèle
nascerà inspiegabilmente con una pelle da mulatto.
La
casa di Michèle è arredata con gusto minimalista, molto probabilmente da un
architetto, tipica è la lampada di Castiglione quasi uno status symbol.
Verhoeven
è un regista olandese forse non sufficientemente apprezzato in passato,
osannato invece per motivi futili come ad esempio la famosa scena osé di Sharon Stone in Basic Instinct del
1992. Qui, seguendo come afferma lui
stesso il racconto, dà il meglio di sé mettendo in luce l'ipocrisia borghese,
religiosa e perbenista. Fa sdoppiare i suoi personaggi in una lotta contro se
stessi e li fa vivere in una perenne ambiguità.
Per
alcuni versi mi sono venuti in mente certi film di Buñuel, non tanto per il suo linguaggio
surrealista qui totalmente assente, quanto proprio per la messa in scena delle
perversioni sessuali di donne borghesi. Tanto per ricordarne un paio, in Belle de jour del 1967, una donna
sposata che si credeva frigida scopre il piacere sessuale nel prostituirsi,
mentre Tristana del 1970 accetta di
diventare amante del suo padre putativo e che, alla fine, lascerà morire.
Isabelle Huppert sembrerebbe si sia ormai specializzata in queste parti.
Indimenticabile nella parte di Erika Kohut, una maestra di pianoforte frustrata,
nello splendido film La pianista di Michael
Hanneke del 2001, dove però la perversione sembrava essere più soggettiva e
meno connotativa di un gruppo sociale.
Elle è stato candidato come miglior film
agli European Film Award ed ha vinto
parecchi premi sia negli Stati Uniti (un Golden Globe 2017) sia in Francia,
dove infatti il film e la sua interprete Isabelle Huppert sono stati vincitori
del premio César 2016.
Ghisi
Grütter
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