12 dicembre 2017

Le riflessioni di Pradella:I FASCISMI E IL VOTO

Ho letto l’articolo “la metamorfosi dei fascisti” di Ezio Mauro su La Repubblica del 1° di dicenbre .
Lo ho trovato eccellente, chiarissimo.
 
Il marasma cui ci ha condotto la entusiastica e acritica accettazione del dogma liberista dopo la svolta reaganiana e la sconfitta del regime sovietico, con la fallace certezza della “fine della storia” e l’inizio della età dell’oro, sta alimentando , al contrario, i fantasmi del fascismo – malattia endemica della borghesia cosiddetta liberale – che ritornano, nelle forme convenienti della attualità, ogni volta che ci si dimentica di controllarne il sonno, stupidamente certi che la sua virulenta e pericolosa risorgenza non possa più accadere.
La predicazione di un “suprematismo” fallace di identità, alimentato da ignoranti slogan di  patria,orgoglio del sangue e razza, che affascina frange crescenti di perdenti, alimentando la falsa aspettativa di un rabbioso capovolgimento sociale, capace di garantire il loro dominio di rivalsa, invece di essere contrastato intelligentemente e concretamente da una classe politica col fiato corto, senza capacità di leadership, prigioniera dei sondaggi e quindi acefalicamente guidata dalla “pancia” della “gente”, viene blandito e assecondato sotto traccia, dichiarando fastidioso questo crescendo di manifestazioni incolte e virulente, ma giustificandone i presupposti, nella speranza di essere premiati nel mondo della competizione politica.
Ai miei occhi, nell’arco di un tempo non lungo, le manifestazioni di intolleranza fascista stanno lievitando, non certo soltanto in Italia, ma in modo clamoroso in Europa e nel mondo intero e in molte aree hanno iniziato la conquista “legittima” del potere, galvanizzati da vittorie eclatanti come quella di Trump negli USA .
 
Questa deriva pericolosa non tanto per la piccola borghesia, piuttosto incline a subirne il fascino, nella speranza vana di riemergere ( le “ grandi borghesie” e i “fascismi” hanno sempre trovato convenienti alleanze), quanto per la civiltà sociale, che subisce un regresso fatale e per gli stessi perdenti (che tali rimagono), riporta prepotentemente alla ribalta – almeno per me – la questione del voto o dell’astensione.
 
Ho pensato, da molto tempo, che
votare per questa classe politica sfibrata,
 
che coopta soltanto mediocrità e allontana i migliori, e  per combattere nella competizione elettorale  i mestatori, consapevoli o meno, che cavalcano le patrie e sventolano bandiere, prova a farlo – male – cercando di sottrargli seguaci, declassando gli episodi di rigurgito fascista a farsa estemporanea e riconoscendo invece che il sangue puo contare,  la patria è un valore e la dignità degli umani dipende dai gruppi di appartenenza,
 
fosse premiare politicanti indegni di stima e che, invece, il peso insostenibile di %ali clamorose di astensione, avrebbe giovato a far valutare la voragine profondissima della disaffezione.
 
Traballa però, la mia idea che una astensione molto alta, superiore al 40% e vicina forse alla metà degli aventi diritto al voto, sia medicina capace di curare l’auto -  referenzialità  di questi politici che, per vincere, sono disposti a fare proprie anche le peggiori idee dell’avversario e dimenticare le proprie (o almeno quelle che si pensa debbano essere tali). Discuteranno di %ali di voti ricevuti, vinceranno quasi tutti, come al solito e sull’astensione, ripeteranno le vuote parole di sempre.
Insomma un poco peggio di quello che succede all’estero
 
Il dilemma è :
votare il meno peggio
rimanere fedele ai propri principi.
 
Nel primo caso ho la sensazione, quasi una certezza, che il meno peggio non ci sia e rimanga soltanto il peggio. A forza di accettare un compromesso al ribasso una volta dietro l’altra, per un molto fumoso e inappropriato senso di “responsabilità”, potrei trovarmi ad avallare persino Berlusconi (e poco mi sembra consolante la promessa di Piero: se Renzi si allea con Berlusconi non lo voto più. Piero rimane una persona seria, ma l’Italia no),e accettare persino una contaminazione con rigurgiti nazionalistici
 
Se vado per la seconda strada,corro il rischio di fingere di stare fuori da uno scenario politico e sociale desolante, mentre ci sto dentro soltanto per subirlo, nella convinzione che il mondo stia rotolando e, se anche  Gian Carlo ci insegna che agire nel giorno per giorno sia bellissimo (a qualche nostro simile regalando una cosa preziosissima: calore, affetto e dignità), non basta per cambiare la rotta.
 
Lo so che è il periodo dell’anno in cui tutti preferiscono vedere il bene e il buono e pensare al panettone – almeno per noi satolli - , ma qualcuno in dircit se la sente ugualmente di capire e aiutarmi a capire  cosa si dovrebbe fare?
umberto

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