31 dicembre 2017

2018, avanti il prossimo

 
 
 
E' il momento di dire Buon 2018 ma temiamo di generare eccessive aspettative. Visto com’era andato il 2016, già il 2017 poteva e doveva essere un anno migliore, ma così non è stato. La linea è rimasta la stessa: rigore per noi e abbuffata per loro. Prima di rimettere il mandato Gentiloni ha fatto a tempo ad assegnarci per il 2018 un forte rincaro di luce, gas e autostrade, tanto per non perdere l’allenamento. Niente di strano: per 382 giorni il ventriloquo di Renzi ha sussurrato politiche antipopolari e favori per i soliti noti, commensali di tutto riguardo di un tavolo da dove non cade nemmeno una briciola per chi ci resta sotto.
 
L’assurdo è diventato ovvio. Siamo un Paese dove gli ambulatori medici aprono due ore al giorno e i supermercati 24 ore su 24. Vestiti da commessi non abbiamo riposi, il denaro deve correre anche se chi lo fa correre inciampa. Vogliono le aperture festive quelli che s’illudono di comprare mentre sono comprati.
 
Anche nel 2017 c’è stato meno welfare e più privato, meno salari e più bonus. Più duri i turni per chi lavora, più lontano il turno di chi aspetta di lavorare. Le pensioni minime sono ancora più minime e quelle massime non smettono di esser tali. Sono aumentati gli esodati, uomini troppo anziani per lavorare ma troppo giovani per andare in pensione. I disoccupati sono meno, ma solo se gli occupati vengono definiti tali anche lavorando poche ore al mese. Il Sud ha continuato a trasferire ricchezza al Nord, che parla di modello Italia quando incassa e di secessione quando deve pagare.
 
Il 2017 è stato l’anno nel quale chi doveva aprire il sistema come una scatoletta di tonno ha finito per fare la figura del tonno. Serve la politica. Un vaffanculo non è un’idea di governo anche quando è bene che un governo ci vada.
 
E, a tal proposito, il 2017 è stato anche l’anno dell’emersione del residuo fascista nostrano. Secondo tradizione, urlano alla “sicurezza” ma vanno sottobraccio alla criminalità organizzata. “Difensori della patria” si dicono, ma sono gli eredi di coloro che quando la ebbero nelle loro mani la regalarono al Terzo Reich. Gridano poi contro “l’invasione straniera”, ma l’ultima conosciuta è quella delle truppe tedesche che, con il loro aiuto, occuparono l’Italia. “Prima gli italiani”, dicono, ma sono gli eredi di chi li metteva prima soltanto quando riempiva i vagoni piombati diretti ai campi di sterminio.
 
Riappaiono oggi senza vergogna e con i polsi libere dalle manette dovute. I califfi delle news, che s’atteggiano a  giornalisti, li accolgono negli studi televisivi, ad onta delle carni ferite e della memoria offesa. Gli offrono la parola invece della condanna e loro si trovano di fronte alle telecamere con un microfono in mano, invece che con un libro da leggere in un corso di rieducazione. Che gli farebbe bene, perché non sono in grado di elaborare un concetto che non sia elementarmente sbagliato; non hanno idee, sono solo portatori insani di rancore diffuso.
 
L’allarme va diramato, anche se siamo di fronte ad una caricatura della storia; che però, nel suo ripetersi ciclico dei corsi e ricordi professati da G.B. Vico ritrova il mondo sottosopra, dove il male assoluto e il mondo peggiore tornano in superficie travestiti di nuovo.
 
Da Internet nessuna buona nuova. Gli idioti del web anche nel 2017 non si sono risparmiati. Fake news (come si chiamano ora le balle), odio e disprezzo elargiti al riparo di anonime tastiere hanno intasato la Rete. Immagini rubate, concetti manipolati, ferocia copiata. Il web è diventato il luogo dei peggiori che si sentono migliori. Dove c’è un coglione prima o poi arriva un social e viceversa. Non c’è rimedio, sembra.
 
La televisione, dal canto suo, offre il racconto di ciò che siamo e diventa emulazione, mentre il peggio di cui disponiamo è ormai intrattenimento. Assistiamo impotenti alla bruciatura dei neuroni di un’altra generazione. Tra Barbara D’Urso e Il Grande Fratello, le case sono invase dall’idiozia che galoppa libera. Risultano ridicole le polemiche contro le serie a sfondo criminale: raccontano ciò che c’è, la fiction è il mezzo per farlo. Ricordano agli smemorati ciò che giace sotto al refrain di  “italiani brava gente”.
 
Nell’era geologica precedente, quando non era degli immigrati la colpa di tutto ciò che è criminale, non ci siamo fatti mancare niente. Ci siamo regalati la Mafia, la ‘Ndrangheta, la Camorra, la Sacra Corona Unita, la Banda della Magliana, la Mafia del Brenta e la Banda Vallanzasca e fino alla fine degli anni ’70 avevamo il “delitto d’onore”. Più che il made in Italy, ormai peraltro proprietà della Francia, abbiamo esportato criminalità in ogni dove del mondo prima d’importare poveri più poveri di quelli che già avevamo.
 
Doveva e poteva essere l’anno dello Ius Soli, per riaffermare che ciò che è giusto non può essere illegale. Stabilire che due persone che nascono nello stesso Paese hanno due diritti diversi, è un illogico moto intestinale. Diveniamo asimmetrici, diseguali, offensivi nell’affermazione di una logica che scambia principi con voti, diritti con convenienze, educazione delle coscienze con opportunismo elettorale. Serviva approvarlo, lo Ius Soli,  contro il mostro razzista che ha ormai invaso case e cuori, disegnando uno sconcertante stato confusionale, che costruisce un senso comune privo di senso. Di questo si nutre l’industria della paura: di una narrazione falsa, che confonde clandestini con illegali, immigrati con residenti, stranieri con delinquenti.
 
Questo governo, loffio e dannoso, per la sua sopravvivenza ha offerto crudeltà e ipocrisia alle politiche dell’accoglienza. Ricattato dal partito di maggioranza, e ricattando il dissenso di minoranza, ha messo uno sbirro mancato a disegnare politiche, scaricando lontano dagli occhi la vergogna di un nuovo e silenzioso genocidio: quello contro i poveri. Non importa, infatti, da dove scappino e dove vogliano andare: il Sud è il bottino di guerra del Nord. Chi vive povertà e guerre è condannato a morire di fame, sangue e senza terre. I nuovi dannati della terra muoiono in mare.
 
E’ stato un annus horribilis per le donne, alle quali si chiede la bella presenza per un salario minore, riconoscendo solo nel minor diritto la loro differenza. Nel 2017 il femminicidio è stato l’elemento più evidente di un genere maschile che, più che Alfa, è criminogeno. Le famiglie, deputate all’armonia, spesso diventano gli orchi al riparo delle mura. Le molestie sono la questione dell’anno, ma per le donne è questione di sempre.
 
Sono molestie le appropriazioni indebite di libertà. Le coercizioni di dignità effettuate con l’arroganza e la cialtroneria del potere. L’abuso dei ruoli esibiti con la sfacciataggine dell’impunità e difesi con distinguo balbuzienti. E’ molestia l’idea di possesso ad ogni costo che sovrasta quella di relazione. Del dominio in luogo della reciprocità, della forza in assenza di seduzione. Va bene ma serve a poco il pubblico ludibrio; urgono norme che educhino i comportamenti se questi non riescono a rispettare le persone. I potenti hanno bisogno di obblighi, i deboli di leggi.
 
Almeno sono arrivate le unioni civili e il testamento biologico. Saremo liberi di delegare a chi ci ama il diritto di non farci più soffrire inutilmente. Avremo la possibilità di rinunciare alle torture immobili in un letto e di poter dire, ancora vigili, che la dignità di morire ci spetta di diritto. Perché il modo in cui si muore ha a che vedere il modo in cui si è vissuto. I crociati dell’obiezione hanno già pronta la solita truffa: obiettare in pubblico per guadagnare in privato. Onde evitare lo scempio di legalità già visto con la Legge 194, sarà bene esser chiari da subito: chi non applica le leggi dello Stato perde il posto di lavoro nel pubblico. Obiezioni anche su questo principio elementare?
 
Il 4 Marzo si voterà con una legge  elettorale concepita per non far vincere chi potrebbe vincere e non far perdere chi non deve perdere, ovvero il modello. Un modello che non conosce critica, perché chi dovrebbe criticare è salariato dal modello. Che non conosce rifiuto, perché la sinistra è parola che fa paura persino declinare. La fa anche a chi dice di volerla ricostruire ma si guarda bene dal nominarla, risultando così inadeguato.
 
Andremo con le narici chiuse e le speranze ridotte a porre una croce sul meno peggio facendo finta di credere che sia il nuovo. Perché nella stagione della rassegnazione, nell’inverno della speranza, abbiamo appreso a respirare con la bocca, ad impugnare una matita come fosse un bastone per cacciare i mercanti dal tempio.
 
I nostri nonni, che seppero pulire l’Italia dalla vergogna del nazifascismo, ci guardano con commiserazione. Finita la dotazione ideale, abbiamo solo una matita poco appuntita e una scheda fin troppo pieghevole, niente altro. E i venti soffiano al contrario. Prosit

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