26 dicembre 2017

Una partita a scacchi lunga due mesi.

dal "Pippone del Venerdì /38" di Michele Cardulli


                

 
La costruzione di Liberi e Uguali, dopo i sussulti iniziali, procede spedita. Il 7 gennaio ci sarà una nuova assemblea nazionale, chiusa la legge di stabilità alla Camera è arrivato anche il giorno dell’adesione di Laura Boldrini. Con lei il listone della sinistra si arricchisce di un profilo di peso, si ricompone la frattura provocata dalle bizze di Pisapia. Insomma possiamo mangiare il panettone, se non proprio del tutto sereni almeno con un tasso di fiducia in crescita.
Credo che l’appuntamento del 7 gennaio non sarà un semplice passaggio di routine. Come non saranno per nulla scontati i giorni successivi, nei quali si definiranno con precisione le liste dei candidati alle elezioni. Politiche e regionali, nelle zone dove si votano anche le assemblee locali. Dico questo perché, visto che non siamo ancora riusciti a fare un partito, dotarsi di un programma radicale, con punti qualificanti e innovativi su lavoro, diritti, stato sociale, scuola e formazione diventa essenziale.  A fronte di un centrodestra sempre più aggressivo e sicuro della vittoria e di un Pd isolato e avviato sulla strada della deflagrazione post elettorale, occorre mettere un argine serio. Piantare non qualche bandierina isolata, ma un accampamento consistente. E per farlo servono due cose: le idee chiare e una squadra all’altezza per rappresentarle. Non so quale sarà il metodo scelto per selezionare i candidati. Le proposte nasceranno nelle assemblee locali e poi verranno vagliate da un comitato nazionale presieduto da Grasso. Non so quanto sarà ristretto questo gruppo. A me piacerebbe che fosse una sorta di gruppo dirigente provvisorio a cui affidare non soltanto la selezione delle candidature ma anche la definizione del percorso post elettorale. Indietro non si torna, l’ho detto e ripetuto in tutte le occasioni in cui mi è stato possibile. Perché i nostri militanti e, credo, ancor di più i nostri elettori, ci chiedono di costruire una casa.
Non ci siamo riusciti in questi anni. Io sono uscito dal Pd nel 2015, era luglio, e da allora ho sempre cercato, nel mio piccolo, di mettere insieme le forze sparpagliate della sinistra. Secondo me siamo ancora in una fase intermedia. E’ bene tenere le menti e le porte aperte. Perché il processo di scomposizione e ricomposizione della sinistra italiana non è finito. E purtroppo affrontiamo queste elezioni mentre ci troviamo in mezzo al guado. Un pezzo di strada l’abbiamo fatto, anche grazie alle accelerazioni degli ultimi mesi, tanta strada resta da fare e le acque in cui ci muoviamo sono tumultuose, le correnti forti, il nostro equilibrio precario. Per questo quei giorni, dal 7 gennaio alla presentazione delle liste, saranno essenziali.
Io dico – e dopo qualche tempo vorrei provare a scrivere due cose anche sul livello locale – che anche dalle alleanze e dalle candidature che sapremo mettere in campo nelle Regioni si capirà la cifra del nostro progetto politico. Si fa un gran dibattere in questi giorni sulla natura che deve avere il nostro progetto, radicale, di governo, di lotta. Io credo che la dimensione del governo sia talmente naturale che non si debba ripetere ogni due passi. Altrimenti sembra che lo diciamo quasi per farci forza. Mi spiego meglio. Intanto l’obiettivo di andare al governo dovrebbe essere naturale. Che senso ha presentarsi alle elezioni se non si ha in testa, nel breve o nel medio periodo, di entrare nella stanza dei bottoni e provare a guidare l’Italia? Se non si ha in testa questo si potrebbe direttamente aderire al club del bridge e si fa anche meno fatica. In secondo luogo io credo che i profili e la storia dei “soci fondatori” di Liberi e Uguali siano una garanzia.  Non solo per il pezzo che viene dai Ds, ma anche per quello che arriva dall’esperienza di Sel, che si è sempre messa a disposizione – direi anche troppo – nell’ambito di un progetto di centro sinistra.
Se è vero questo, allora, il problema non si dovrebbe neanche porre: dove ci sono le condizioni per costruire un’alleanza per vincere le elezioni si fa. Non è ovviamente così banale. Intanto perché la rottura avvenuta nel Pd per molti di noi è ancora fresca. Le separazioni hanno bisogno di tempo per sedimentarsi, le polveri devono posarsi atterra dopo un’esplosione per tornare ad avere una visione chiara. E poi perché si vota lo stesso giorno. Dunque non sarebbe facile spiegare agli elettori perché su una scheda il Pd è brutto e cattivo e sull’altra un alleato affidabile.  D’altro canto, scendo a livello del Lazio, non sarebbe facile neanche spiegare – se la prospettiva comune a tutti noi – è quella di costruire in futuro un’alleanza per tornare al governo nazionale, per quale motivo si lavora per dare una botta in testa a quel Nicola Zingaretti che, pur con tutti i suoi limiti, per me rappresenta comunque una delle risorse migliori per il “post Pd”.
Non dico altro perché scrivere parole definitive su questa vicenda non è possibile. Le variabili in campo sono ancora molte e non tutte, secondo me, sono ancora conosciute a pieno. Credo che però l’assemblea del 7 gennaio qualche parola chiara di “indirizzo politico generale” debba essere chiamata a dirla. Non essere un partito avrà anche i vantaggi di potersi muovere con agilità, ma se non si mette in campo una proposta politica definita non si richiamano i famosi elettori che stanno nel bosco. E questa secondo me è una discriminante seria: crediamo ancora che la prospettiva per governare questo paese sia un nuovo centrosinistra, in forme del tutto differenti rispetto al passato, oppure pensiamo a qualcosa di differente?
Resto convinto che l’incontro delle differenti culture politiche che abbiamo chiamato centrosinistra sia l’unica strada possibile. Magari evitando di ripetere l’errore di voler racchiudere prospettive differenti in un contenitore unico. Magari costruendo una sinistra che non abbia paura di essere davvero radicale. Guardate che in questa società in continua evoluzione le timidezze anni ’90 ti portano alla situazione di oggi. E ripetere lo stesso errore un’altra volta non mi pare davvero intelligente. Ma detto questo, ricostruito il nostro campo, fatto un partito forte, strutturato, pesante nelle idee non tanto nella burocrazia. Fatto questo, dicevo, bisogna farla contare la propria proposta politica. A tutti i livelli. Mi piacerebbe che nelle proposte programmatiche che i nostri delegati andranno a discutere a gennaio queste riflessioni potessero trovare cittadinanza piena.

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