Riceviamo dall'amico Gigi e volentieri pubblichiamo
Questo
articolo di Luigi Agostini, del cui contenuto è responsabile, invita alla
discussione, richiedendo approfondimenti, contributi e osservazioni che si
mantengano in un orizzonte della stessa ampiezza – come fa l’autore – e non
scadendo nella diatriba e negli slogan.
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Dopo
la sconfitta di Veltroni, dopo la sconfitta di Bersani, dopo la sconfitta di
Renzi - non solo è necessario ma anche possibile una valutazione di bilancio
sull’intera sequenza che parte dal Lingotto Uno e giunge fino ad oggi. Non
fermarsi quindi alla fenomenologia della crisi, che attanaglia in questi giorni
il Partito Democratico, ma tirare un bilancio ragionato, se si vuole riflettere
utilmente. Tali sconfitte riportano comunque la questione Partito al centro
dell’interesse, confermando per la Sinistra, pur indirettamente, l’antico
principio che senza Partito non c’è politica democratica.
Le
prossime elezioni tedesche-dato che la Spd
è l’unico vero partito rimasto sul campo-avranno un grande significato anche
,specificamente ,alla questione Partito.
La
concezione del Partito proposta al Lingotto Uno, d’altra parte, era la
risultante di un processo iniziato nell’Ottantanove e che di passaggio in
passaggio (qualcuno dice di espediente in espediente), su proposta di Romano Prodi
aveva trovato al Lingotto il suo esito, esito mutuato dalla esperienza
americana: partito elettorale, primarie, personalizzazione, partito”
scalabile”(in franchising come veniva
definito da qualcuno) in cui la comunicazione era grande parte e, infine, sostanziale
bipartitismo. Si potrebbe sostenere che la caduta di Prodi nelle recenti
elezioni per la Presidenza della Repubblica, cioè del principale importatore/
ideatore di tale operazione, suonava già come epitaffio di tale concezione. Ma è
giusto approfondire il discorso, cercare le risposte al fallimento nelle stesse
cause che l’hanno determinato. Specie oggi.
La
separazione dal Partito democratico del principale troncone della Sinistra
Storica indubbiamente conclude un lungo cammino. Un atto, al di là di alcuni aspetti
e caratteristiche accidentali, che inverte la rotta tracciata al Lingotto.
Il
progetto prospettato al Lingotto da Valter Veltroni di un unico Partito tra la
gran parte degli eredi della cultura ex-comunista e tra gli eredi della cultura
della Sinistra ex-democristiana è approdato ad una logica - a guardar bene – di
separazione.
La
scissione non è che la logica traduzione di una antica legge della politica: le
grandi culture tra loro possono competere, possono confliggere, possono dar
vita ad alleanze, ma non possono fondersi (basti
pensare ai temi della biopolitica, per esempio, oggi divenuta così importante).
Un
Partito si fonda su un principio e una cultura, le alleanze si fondano su un
programma.
L’amalgama
non è riuscito.
L’intera
sequenza inoltre evidenzia due paradossi. Il primo paradosso: Veltroni propose
al Lingotto un Partito elettorale, in franchising
per usare la formula di R.K. Carty, mentre nel mondo bolliva, fino ad esplodere,
la più grande crisi del capitalismo (del capitalismo specificamente
occidentale). Un caso da manuale in cui, per dirla con Paul Sveezy, il presente
non viene vissuto come storia. Un partito leggero, per tempi tranquilli, adatto
se mai e fino ad un certo punto, data la natura contradditori delle forze contraenti,
ad affrontare tematiche civili, ma incapace, se non indifferente, alle
tematiche produttive e sociali, che inevitabilmente la crisi avrebbe rovesciato
nella vita quotidiana di grandi masse. Si può dire che tale proposta era fuori
dalla storia in fieri, ma in buona
compagnia: la stessa idea di crisi era stata espunta da
tutta
l’Accademia - tranne Nouriel Roubini -, ma anche a sinistra, con in testa - à outrance - la sinistra privatizzatrice,
persino dall’ordine delle possibilità ridotta a turbolenza o semmai a fenomeno
confinato a realtà periferiche. Chi ricorda la Terza
via?
L’irrompere
della crisi ha invece spiazzato l’intera operazione dalle fondamenta.
Secondo
paradosso: la natura della crisi, e quindi le sue cause, i suoi caratteri, le
sue implicazioni, la sua durata. Un conto è una crisi congiunturale, crisi che
si può affrontare anche con qualche misura redistributiva dal versante della
domanda, altro conto una crisi strutturale, una crisi da sovraccapacità produttiva,
una crisi dal versante della offerta, un vero e proprio movimento tellurico che
non può che scompaginare tutti gli assetti, anche quelli più consolidati della
società.
Tale
crisi per poter essere affrontata - il tema dominante è un nuovo modello di sviluppo
- ha bisogno di soggetti a dimensione continentale e allo stesso tempo, di un
Partito con un radicamento sociale e territoriale formidabili. Quindi di un
Partito con caratteristiche opposte al Cartel
Party proposto.
Sorge
spontanea la domanda: in una crisi che ha assunto questi caratteri, in un Paese
che ha la storia dell’Italia - secondo paradosso - come può verificarsi
l’assenza di un grande Partito che si richiami esplicitamente alla/e cultura/e
socialista/e?
In
fondo è stato Karl Marx che per primo capì e teorizzò che il capitalismo si
sarebbe sviluppato attraverso le crisi, e oggi un Partito che non si dota di un
pensiero della crisi (a partire da Marx, lo spirito del mondo, come lo chiama Jacques
Attali in una splendida biografia) è destinato alla sovrastrutturalità, se non
alla superfluità.
In
fondo, l’errore di Bersani, l’errore a cui tutti gli altri errori possono
essere ricondotti, sta non tanto nel non aver nominato la crisi, ma nel non
averla qualificata, definita e quindi nel non aver potuto/voluto declinarne
tutte le implicazioni sia in termini di linea politica sia di concezione del Partito:
ha soltanto alluso ad un partito nuovo, di “combattimento” ma non ha saputo o
potuto dargli né identità né organizzazione.
Al
dunque, i movimenti di contestazione, innescati dalla crisi, hanno incontrato
una sinistra subalterna al liberismo, una sinistra privatrizzatrice, il che ha
portato tali movimenti ad una diffidenza radicale sulla volontà e possibilità
di contrastare le diseguaglianze e gli effetti perversi dei processi di
finanziarizzazione, ragioni di fondo della crisi: li ha portati cioè a
stabilire una equivalenza tra destra e sinistra sulla loro possibilità/capacità
di affrontare la crisi.
Manuel
Castells, in un suo saggio recente sui movimenti sociali innescati dalla crisi,
sostiene che gli Indignatos di Porta del Sole sono costati a Zapatero quasi
cinque milioni di voti.
In
fondo, il fenomeno Grillo cosa è se non la somma contradditoria di Tea Party e di Indignados?
Il
referendum sull’acqua, avvenimento di straordinaria importanza nello sviluppo
del grillismo, rappresenta il caso esemplare di come la radicalizzazione dei
comportamenti sociali indotti dalla crisi, abbia aggirato, accantonato la
sinistra subalterna al mercato: l’esito del referendum, cioè la ripubblicizzazione
dell’acqua, ha trovato in quasi tutti i sindaci del Pd, in gran parte
sostenitori del referendum per ragioni puramente politiche, resistenze e
ostruzionismi tali da vanificare una delle più esemplari vicende democratiche.
La
domanda di valenza strategica riguarda quindi di quale Partito dotarsi per
stare dentro al processo di
radicalizzazione dei comportamenti sociali in atto e in rapido mutamento, visto
che la crisi tenderà a svilupparsi e a prolungarsi attraverso sue dinamiche
autonome, non governate, per incapacità o per scelta dal potere della politica.
In
termini concreti di Partito, questo significa Identità ed Organizzazione.
La Identità del
Partito, il tratto identitario non può che essere l’eguaglianza. L’Egalité come idea-forza, il suo principium
individuationis. Siamo, come sostiene Pierre Rosanvallon, alla
seconda grande crisi della eguaglianza, dopo quella del primo Novecento.
Alla
prima crisi, che la destra costruì attorno alle idee del nazionalismo, del
protezionismo, della xenofobia, la sinistra rispose con la costruzione dello
Stato sociale.
Ora,
quali politiche della eguaglianza al tempo della mondializzazione dei mercati e
della rinazionalizzazione degli interessi? Questa è la sfida globale come ci ricorda Joseph
Stiglitz nella sua ultima fatica, dedicata appunto al prezzo della
diseguaglianza.
Louis
Dumont, citando la lettera ai Galati di Paolo
di Tarso, l’inventore del principio di eguaglianza, sosteneva, che il concetto
di individuo (siamo alla società degli individui) stà in primo luogo e in
relazione diretta con il concetto di eguaglianza.
Individuo ed eguaglianza
si rinviano a vicenda.
Dunque,
Partito neosocialista perché, se le parole hanno un senso, per un partito
socialista, l’eguaglianza sociale rappresenta non un optional ma un vincolo, un imperativo politico, il metro regolatore
di ogni scelta concreta. Partito neosocialista, perché, per l’attuale
configurazione delle forze politiche europee, può svilupparsi velocemente in
partito a dimensione continentale. Partito socialista, quindi, utilizzando il
grande apporto che va da Karl Polany a Jurgen
Habermas, solo per ricordare le maggiori suggestioni teoriche. Di enorme interesse
il recente confronto tra due dei principali intellettuali tedeschi, Habermas,
appunto, e Wolfgang Streeck.
L’Organizzazione,
la forma-partito, infine. L’evoluzione della crisi impone il riordino delle
forze per fermarne l’attuale evaporazione e una forma-partito che, come il mitico
pipistrello di La Fontaine, sia capace di
essere, di volta in volta, roditore ed uccello, capace cioè, fuor di metafora,
di aderire a tutte le pieghe della condizione sociale e produrre, innervando la
sua presenza nel sociale, il massimo di socialità collettiva.
Un
Partito così non si costruisce con le primarie ma con un lavoro di lunga lena
che seleziona i gruppi dirigenti per senso di appartenenza, capacità di realizzazione
e profondità di pensiero. Diversamente come ci ricordava spesso Alfredo
Reichlin, “i mercati governano, i tecnici amministrano, i politici vanno in
televisione”: cioè dirigenti politici generalmente al di sotto del compito.
L’esperienza
concreta delle primarie, assunte come una specie di passepartout, ci dice che tale strumento, posata la cenere della
retorica sulla partecipazione, ha svolto il compito esattamente contrario a
quello per cui veniva proclamato: la via maestra cioè per estirpare l’oligarchia.
Le
primarie hanno invece elevato al diapason la personalizzazione, con il suo
seguito inevitabile di correntizzazione e di feudalizzazione, sostituendo, semmai,
una oligarca con un’altro; il progetto collettivo del Partito è stato
sostanzialmente azzerato, sostituito da una perenne guerra intestina.
“Il
partito contendibile”, formula presa dal linguaggio della Borsa, configura un conflitto interno
permanente, antitetico al partito/comunità; interiorizza
nel suo modus operandi quella che gli studiosi chiamano entropia delle organizzazioni, cioè il dilapidare nel conflitto
intestino permanente la gran parte dell’energia che una organizzazione è in
grado di produrre. Tra parentesi, non esiste la parola Congresso nello statuto
del Partito del Lingotto); produce
momenti di stabilità, ma all’interno di un quadro generale di instabilità. Il
Partito contendibile, infatti, non risolve che apparentemente il problema della
leadership, visto che anche dopo una investitura di milioni di elettori, le
varie leadership hanno avuto vita breve, cadute alla prima vera prova.
Il
Secondo Lingotto, il Lingotto dei giorni scorsi, rimuovendo totalmente una
riflessione di bilancio, si condanna agli stessi errori del primo, ad essere
una ribollita del primo, come
qualcuno sottolinea con spirito acre.
Il
suicidio del Partito socialista, del partito più antico della storia italiana.
Il
collasso della più grande “macchina politica “dell’Occidente, il Pci
togliattiano, sembrano lezioni disperse nel vento, organizzazioni che, come l’esercito
di Cambise, sono state inghiottite dalle tempeste di sabbia del
Novecento.
La
separazione attuale, non può che essere il primo atto di una ripresa di
discussione sulla nuova forma-Partito alla altezza della crisi attuale: del capitalismo
dell’era della finanziarizzazione già dispiegata.
Alcuni,
mettendo al centro il tema della identità neosocialista, temono un ritorno
all’indietro: in realtàsi tratta soltanto di imparare dalle dure repliche della
storia e di ritornare con sapienza al crocicchio, dove, come dimostra la
separazione di questi giorni, si è imboccata la strada sbagliata.
Altri
si limitano a constatare che l’amalgama non c’è stato e restano come
paralizzati dal compito immane che si apre davanti a noi.
Altri
ancora, come gli antichi triarii della legione romana, chiamano ad uscire dalla
trincea. Si riapre un cammino.
Resta,
comunque, l’apprendimento a livello di massa di una grande lezione. Mettere di
nuovo mano alla costruzione una grande organizzazione significa aver ben
presente due leggi storiche che non si possono violare impunemente.
La
prima legge dice che i partiti si fanno sui principi, mentre le alleanze si
fanno sui programmi.
La
seconda legge recita che le grandi culture possono rispettarsi, possono combattersi,
possono allearsi: l’unica cosa che non possono fare è fondersi.
L’amalgama non riesce perché non può riuscire.
…aprile
2017
Codice ISSN 2420-8442
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