23 dicembre 2017

Recensione film: LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE regia di Woody Allen

 Con Kate Winslet, Jim Belushi, Justin Timberlake, Juno Temple, Max Casella, Jack Gore, del 2017. Direttore della fotografia di Vittorio Storaro, costumi di Suzy Benzinger, scenografia di Santo Loquasto.
 

Questa volta Woody Allen ha cercato ispirazione nella cultura letteraria più propriamente americana. Infatti, Wonder Wheel è un film estremamente teatrale che riprende in pieno la produzione drammaturgica di Tennessee Williams. Come non pensare a Blanche (interpretata da Vivien Leigh) nella scena finale della trasposizione cinematografica di A Streetcar named Desire del 1951? Del resto a Blanche Woody Allen si era già ispirato per il personaggio femminile di Blu Jasmine nel 2013. Kate Winslett comunque è molto brava a impersonare Ginny, chiusa nel suo sogno perduto di attrice teatrale. Alcuni critici hanno riscontrato nel film di Allen molte analogie anche con i film melodrammatici di quegli anni come Lo specchio della vita di Douglas Sirk del 1959 o Mildred Pierce di Michael Curtiz del 1945 (la cui serie televisiva del 2011 è interpretata proprio da Kate Winslet).
Siamo appunto negli anni Cinquanta a Coney Island, dove Ginny (la già citata Kate Winslett) lavora come cameriera in una tavola calda. In seconde nozze ha sposato Humpty (Jim Belushi perfetto nella parte), un ex alcolista attualmente manovratore di giostre al Luna Park. Ginny, inoltre, ha un figlio di dieci anni, cinefilo e piromane, nato dal primo matrimonio. Un giorno sulla spiaggia conosce Mickey Rubin (un insignificante Justin Timberlake), uno studente aspirante scrittore che per sbarcare il lunario fa il bagnino stagionale proprio lì, a Brighton Beach. Ne nasce una storia di passione e lei spera che questo ragazzo, più giovane di lei, possa comprenderla e aiutarla a fuggire da quel matrimonio privo di amore, basato su di un reciproco bisogno di protezione e che oggi la soffoca. Anche Humpty è al suo secondo matrimonio e, un giorno, appare Caroline (impersonata dall’attrice britannica Juno Temple), la figlia ventiseienne scappata da casa dopo la morte della madre cinque anni prima, per sposare un malavitoso di origine italiana. Essendosi lasciati e, avendo lei “spifferato” un po’ di cose alla polizia, l'ex marito le sta dando la caccia per vendicarsi.
La storia è piuttosto prevedibile e ogni tanto sembrerebbe scivolare nel grottesco con alcune figure alquanto stereotipate come i sicari del gangster. Il film è molto statico, la maggior parte delle scene sono girate nell’appartamento/palcoscenico della coppia sopra la ruota delle meraviglie, ed è un po’ troppo parlato - anzi strillato specie nel doppiaggio di Francesco Pannofino - risultando qua e là un po’ noioso. Nel finale però si riprende, anche grazie alla bravura della Winslet che evoca così quel mondo di follia e di sogni che in fondo c’è un po’ in tutte quelle donne che sono state, e sono a tutt’oggi, costrette a lavorare e a vivere senza gioia nel ruolo di mogli e madri, senza amore, e senza la soddisfazione di una propria realizzazione.
La fotografia molto bella è di Vittorio Storaro, alla seconda collaborazione con Allen dopo Café Society del 2016. Intense sono le scene della spiaggia brumose, grigie e spesso con la pioggia, mentre le immagini serali controluce arrossate dal tramonto o illuminate da luce artificiale sono più affascinanti del reale. Questo fatto è forse da considerare simbolicamente rilevante. Nelle ricostruzioni d’epoca, Allen e il suo staff sono imbattibili, nei costumi, nelle acconciature, nelle scene - lo scenografo Santo Loquasto lavora con Allen fin dal 1980 - e lo hanno dimostrato specialmente nelle ambientazioni newyorchesi dell’epoca, basti citare Radio Days del 1987 o il recente Café Society.
Ghisi Grütter
 

 
                                                           

 

 

 

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