5 giugno 2018
Il nuovo Governo e l' orario di lavoro
In questi giorni, nei telegiornali, abbiamo visto i giovani parlamentari dei 5Stelle futuri ministri uscire dallo stesso taxi-bus, contenti e felici di andare al Quirinale per il Giuramento alla Repubblica. Ben lontani dall’aplomb serioso di chi fa parte da troppo tempo di partiti abituati a governare. Lontani anni luce da chi preferisce mangiare popcorn invece di lottare per affermare le proprie idee, o da chi promette sempre e solo sacrifici per uscire dalla crisi. Quelli erano giovani entusiasti per la prova, cui erano stati chiamati: servire il proprio paese.
In particolare nel sentir parlare Di Maio, sicuramente il più appassionato, mi chiedevo come un partito di destra, o ritenuto tale, sia potuto entrare cosi in sintonia con i problemi e le paure degli italiani da prendere il 32% alle elezioni politiche.
A sinistra non è più così. Ora è difficile e complicato trovare un posto, dove si possa discutere insieme delle paure del Paese e dove insieme si possa proporre e sperare nel futuro. Insomma uno spazio, dove si possa parlare delle paure delle donne di essere violentate o ammazzate dopo una separazione, delle paure per i figli e nipoti che non trovano lavoro, della paura dei costi di farmaci e ticket e della perdita dei diritti sociali, che sembravano acquisiti come l’art. 18 e infine paura dell’EURO che non si vuole lasciare ma che impone troppi sacrifici senza alcun risultato.
Per come lo penso io, a sinistra questo luogo ancora non c’è, ma ci sarà e può essere solo LEU. Solo la costruzione di un partito di sinistra ampio, democratico, aperto, inclusivo può entrare in sintonia con i problemi degli italiani. Ci vuole tempo e per questo dobbiamo correre perché la destra vola.
Aggiungo un’appendice e una riflessione: dalla parte dei lavoratori.
Durante la campagna elettorale solo Liberi e Uguali si è espresso sulla riduzione di orario di lavoro a parità di salario, anche se con brevi accenni.
La diminuzione del numero di ore lavorate a parità di salario è una prospettiva fondamentale in un momento in cui si teme la possibilità di un ulteriore aumento della disoccupazione di origine tecnologica con l’avvento di nuovi macchinari, robot.
E mi vengono in mente le lotte della fine dell’ottocento, che portarono il numero dalle 16 alle 12 ore giornaliere, quelle dei primi del novecento da 12 a 10 ore, e poi l’autunno caldo, dove si passa dappertutto dalle 48 alle 40 ore settimanali. Conquiste dei lavoratori ottenute col sindacato e sostenute senza se e senza ma dalla sinistra.
L’Italia secondo l’OCSE lavora 1.730 ore l’anno, a fronte di 1.363 ore annue dei lavoratori della Germania, le 1.472 della Francia e le 1.676 della Gran Bretagna .
Senza contare che in Germania è stato definito “un accordo storico”, accordo pilota, che riguarda la riduzione dell’orario di lavoro fino a 28 ore settimanali con il 4,3% in più in busta paga, tra il sindacato dei metalmeccanici tedeschi e l’associazione degli imprenditori.
Certo proporre, in Italia, di ridurre l'orario di lavoro a parità di salario sarebbe una scelta politica forte, di impatto, una scelta a favore dei lavoratori, dei precari , dei disoccupati e delle donne, sulle cui spalle ricadono ancora purtroppo problemi di conciliazione tra casa e lavoro. Sarebbe una proposta per i diritti contro le forme di schiavitù del lavoro, proprie del neoliberismo.
La riduzione dell’orario di lavoro significa anche modificare la propria vita, appropriarsi di tempo per sé, di tempo per la cultura, per i divertimenti, per l’amicizia, di tempo per esistere.
Rossella Cossu
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