18 giugno 2018
Lettera a Salvini
Caro Salvini, non ti parlerò degli immigrati facendo appello a un senso di umanità e solidarietà, che tu hai dimostrato di non possedere. Ti parlerò di quelli che io ritengo, invece, gli enormi danni in termini economici e sociali, che si prospettano per l'Italia a seguito della tua politica sconsiderata. Non è solo qualche proprietario di un albergo fallito a trarre beneficio dalla presenza di immigrati, come tu hai sostenuto. Ci sono migliaia di operatori italiani impegnati a vario titolo nell'accoglienza, che rischiano di dover incrociare le braccia e non far più nulla, o doversi reinvantare, in un'Italia che offre ben poco. In un Paese dove la denatalità ha raggiunto tassi drammatici, la presenza di immigrati impediva che il crollo demografico comportasse il taglio di posti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, negli ospedali, nelle scuole, insomma in tutto il settore pubblico. L'aumento degli anziani diventerà un'emergenza sociale sempre più pressante, alla quale non sarà facile dare risposta in termini di assistenza senza immigrati. Il nostro settore agricolo sarà pesantemente colpito dalla mancanza di braccia che lavorino nei campi. In città come Roma, dove abito e dove il prezzo degli immobili sta conoscendo un crollo, avremo sempre più case sfitte o invendute. Capisco che a te il settore pubblico fa venire l'orticaria, ma il privato, non solo quello agricolo, ma anche artigianale e imprenditoriale, precipiterà in una crisi profonda e insanabile senza gli immigrati. Senza di loro, avremo ben poco da mettere sul piatto in sede di contrattazione con l'unione europea del baratro relativo al nostro enorme debito pubblico. Il danno economico e sociale, che l'Italia rischia di subire a seguito della tua politica forsennata e razzista, è di gran lunga superiore a quanto tu sostieni risparmieremo sulla spesa attuale per gli immigrati. L'immagine di un'Italia spietata e razzista, che tu stai costruendo, ci danneggia rispetto a una tradizione di accoglienza, che l'Italia ha saputo guadagnarsi e di cui a giusta ragione, si è sempre andati fieri. Un'Italia ripiegata su se stessa, chiusa, gretta, è un'Italia destinata a perdere la sfida di questi nostri tempi di profondi, quanto inarrestabili, mutamenti globali. E io, invece, sogno un'Italia in grado di cavalcare questi mutamenti e di essere segno e luogo di speranza, per chi non vuole rinunciare al sogno di un mondo più equo, più solidale, più libero.
Massimo Frana
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