Con Sabine Timoteo, Edvins Mekss, Ivars Krasts, Guna
Zarina, Baiba Broka, Lettonia, Repubblica Ceca, Finlandia del 2016. Musica di
Arturs Maskats.
Angoscia siberiana
Il
film è una sorta di melodramma espressionista, in bianco e nero, che narra i
sedici anni di reclusione in Siberia di Melanija Vanaga, a partire dall’inizio
degli anni ’40. Del 1939 è il patto Molotov-Ribbentropp – tra Germania nazista
e URSS - che poneva la Lettonia nella sfera d’influenza sovietica e nel 1940 fu
occupata dall’Armata Russa e divenne la Repubblica Socialista Sovietica
Lettone. Il film è basato sulle lettere, che poi sono diventate un libro
(“Sulla riva del Velupe” 1991), che Melanija ha realmente scritto durante
quegli anni di deportazione, testimonianze preziose di un’inutile e ingiusta
sofferenza. I Lettoni nel Novecento sono passati da un’occupazione all’altra, e
in questo film è mostrata l’epoca in cui i sovietici hanno portato via 40.000
persone dei paesi Baltici, così come ha raccontato la giovane Ambasciatrice della
Lettonia, nel presentare la proiezione all’interno del ACDMAE Film Festival,
presso il cinema Tiziano di Roma.
Il
14 giugno del 1941 i soldati entrarono nella casa di Melanija e suo marito Aleksandrs,
editore di un giornale, e intimarono di lasciare tutto e di seguirli insieme al
figlioletto di otto anni, Andrejs. Con altri 15.000 Lettoni furono deportati in
Siberia; furono subito separate le donne dagli uomini e stipate in vagoni ferroviari,
al posto del bestiame. Solo dopo due settimane di viaggio raggiunsero la
destinazione. Sistemate alla meglio in baracche, le donne venivano trattate
come schiave: lavoravano nei campi mangiando molto poco. Ciò che ha tenuto in
vita Melanija, oltre alla presenza del figlio, è stata la speranza di rincontrare
il marito e, prima o poi, di far ritorno in patria. A tale scopo ha scritto
centinaia di lettere (chissà dove trovava la carta per scrivere?) al marito,
mai spedite perché non ne aveva l’indirizzo.
Il film
presenta alcune scene di grande impatto come quella in cui i maiali mangiano le
patate raccolte dalle donne affamate o, subito all’inizio, l’omicidio-suicido
in treno di una madre disperata. Purtroppo se ne conoscono molte di queste
storie, anche più raccapriccianti, specialmente se si pensa ai campi di
sterminio nazisti.
Tutto
il film trascorre lento nei suoi 120 minuti in cui non accade praticamente
nulla di particolare se non che riesce a far rimpatriare il figlio privandosi
ancora di un altro affetto. Melanija ritornerà a Riga solo nel 1957 per
scoprire che il marito era morto nei campi nel 1942. Il regista, noto più per
essere un regista teatrale che uno cinematografico, ha accentuato
l’espressività di molte scene evitando appositamente l’uso dei colori. Il film
trasmette una grande angoscia dovuta al freddo, alla fame, all’impotenza, al
non sapere. Il film costituisce, pertanto, un possente “j’accuse” nei confronti dei Sovietici e fa trasparire tutto il
rancore della popolazione lettone per i Russi.
La
protagonista è interpretata dalla bravissima attrice svizzera Sabine Timoteo –
tra l’altro l’interprete anche di Cocò in “Le
Meraviglie” di Alice Rorwacher - che, dato l’alto senso drammatico del
copione, ha voluto recitare nella lingua originale, deliberatamente studiata. “The Chronicles of Melanie” ha ricevuto
il premio per il miglior film al Tallinn Black Nights Film Festival del 2016. Così
ha scritto del film Wendy Ide, la critica cinematografica del giornale “The
Guardian”: «Una
potente rappresentazione del risvolto umano, durante la pulizia etnica dei
Sovietici nelle regioni Baltiche».
Ghisi Grütter
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