9 luglio 2018

DECRETO DIGNITÀ:NON SI ESCLUDE LA FIDUCIA di Maura. Pisciarelli




Il 10 luglo inizia l’iter parlamentare per il primo provvedimento legislativo del governo Conte, il decreto Dignità. A portare il decreto in aula sarà il vicepresidente del Consiglio e Ministro del Lavoro Luigi Di Maio che ai microfoni di Radio1 Rai dichiara che “Il Parlamento deve avere la possibilità di discutere il decreto e di migliorarlo, credo non ci sia bisogno della fiducia, ma, lo dico da capo politico del M5S, non arretreremo sulle norme”.
Un avvertimento al leader della Lega che, in queste ore, sembra raccogliere le critiche espresse dai propri alleati rispetto al provvedimento. Proprio ieri Silvio Berlusconi ha affermato che “il dl Dignità danneggia gli imprenditori”. All’affermazione del leader di Forza Italia, Di Maio risponde che “Dire che il Decreto Dignità danneggia gli imprenditori perché tutela i lavoratori vuol dire continuare a ragionare con logiche vecchie. Abbiamo messo un freno al precariato perché stava rendendo insopportabili le condizioni di vita per tantissime persone. L’Italia fino all’approvazione del Decreto Dignità aveva molti meno vincoli per i contratti a termine rispetto a Francia, Germania e Spagna: tutte nazioni che rispetto a noi negli ultimi anni sono cresciute di più. Rendere incerta e instabile la vita delle persone non aiuta l’economia, è un’ovvietà che abbiamo sancito con una legge”.

Tra le critiche, quelle del Partito Democratico che ritiene il decreto “un ritorno al tempo in cui si favoriva il lavoro nero".  Gentiloni qualche giorno fa scrive su Twitter: "Dopo un mese di annunci rocamboleschi il mini decreto non favorisce gli investimenti in Italia e il lavoro di qualità. Introduce soltanto ostacoli per lavoro e investimenti. Lasciamo stare la dignità". E se il PD esprime una posizione unanime rispetto al provvedimento che dovrebbe riformare il mercato del lavoro superando, in qualche modo, il Jobs Act, Liberi e Uguali si esprime in modo piuttosto disarticolato.

All’apertura di Roberto Speranza che, in un intervento sull'Huffingtonpost, sostiene che “le modifiche alla disciplina dei contratti a tempo determinato e l'aumento dell'indennizzo nel caso di licenziamenti illegittimi vanno nella direzione giusta”, e che quello sulle delocalizzazioni è “un intervento opportuno”; segue a posizione totalmente contraria di Nicola Fratoianni che definisce il dl dignità un “decreto timido che non tocca minimamente il Jobs Act”.

In questo quadro inizia a riemergere la compattezza del centrodestra che non fa escludere la necessità di ricorrere alla fiducia per l’approvazione del primo provvedimento del nuovo esecutivo, il ritorno ad una, seppur timida, autonomia di pensiero del Movimento 5 Stelle, e la completa disarticolazione e mancanza di unità della sinistra. Il Partito Democratico, dopo l’assembla di sabato in cui è stato eletto Maurizio Martina segretario, sembra essere ormai portatore sano di quel rancore renziano secondo cui non si ammettono critiche; Liberi e Uguali, che proprio oggi ha riunito il comitato promotore nazionale per la definizione del profilo politico del nuovo partito, sembra non riuscire a trovare alcuna formula efficace per uscire dall’ambiguità “centrosinistra sì – centrosinistra no”. E così, tra nuovi tesseramenti ed antiche e sterili discussioni, il mondo della sinistra avvia i propri congressi continuando ad interpretare un film che ormai è già ai titoli di coda

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