21 luglio 2018

Recensione film: TOGLIMI UN DUBBIO. regia di Carine Tardieu

 Con Cécile de France, François Damiens, André Wilms, Alice De Lencquesaing, Guy Marchand, Francia- Belgio del 2017.




“Ôtez-moi d’un doute” presenta uno scenario ambientale inusuale: siamo in Bretagna nel Golfo di Morbihan sull’Oceano Atlantico, a Lorient, una cittadina di poco più di 57.000 abitanti. La città, che è anche un rilevante porto militare oltre che un porto per la pesca, fu quasi completamente distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale, obiettivo dell’ultima missione del Boing B-17 Flying Fortress, il bombardiere quadrimotore usato dall’United States Army Air Forces.
Sulle spiagge di quella zona, infatti, si trovano ancora mine inesplose, ed Erwan (l’attore belga François Damiens) per disinnescarle ha messo su un’impresa rischiosa ma redditizia. Rimasto vedovo, vive con Juliette (Alice De Lencquesaing), la figlia ventitreenne rimasta incinta quasi per caso, dopo aver fatto l’amore con un ragazzo travestito da Zorro in una serata in maschera.
“Toglimi un dubbio”, ispirato a una storia vera, narra le vicende di questo sminatore bretone mite e introverso, che casualmente – facendo in un’analisi genetica per scongiurare una malattia ereditaria alla nascitura - scopre di non essere il vero figlio dell’uomo che lo ha cresciuto e amato per più di quarant’anni (Guy Marchand). Così, mettendosi quasi furtivamente alla ricerca del padre biologico, Erwan ingaggia una detective che lo indirizza a Étel, una piccola località di poco più di 2.000 abitanti non molto distante da Lorient, dove vive Joseph Levkine (André Wilms), il suo presunto genitore. Incidentalmente Erwan conosce Anna (l’attrice belga Cécile de France) –un cinghiale viene investito di notte mentre attraversava la strada - la scontrosa dottoressa del paese di cui s’innamora, senza sapere che anche lei è figlia di Joseph. Con tenacia e gentilezza riuscirà non solo a vincere le sue ritrosie, ma anche di essere ricambiato nei sentimenti. Ed è lì che il dubbio andrà chiarito: Anne ed Erwan sono o non sono fratelli? Possono fare l’amore appassionatamente dietro un portone, o possono solo andare a bere una birra dopo il cinema?
Da qui tutta una a serie di intrecci e circostanze buffe, di ricerca dei padri e di messa a nudo degli affetti. L’occhio di bue è orientato sulla paternità vista con tenerezza, e sugli affetti che sembrano poi non essere necessariamente quelli biologici: Erwan crede quasi di tradire suo padre Bastien, con cui ha un ottimo rapporto, per andare in cerca del suo padre biologico, Juliette pensa di poter fare a meno di un padre per sua figlia e così via. Altre tematiche toccate nel film sono: la difficoltà di accettazione dell’invecchiamento, l’accudimento degli anziani, il volontariato nei confronti dei più deboli, dei carcerati e altri.
Il film è il terzo lungometraggio della sceneggiatrice e regista Carine Tardieu - dopo “La Tete de Maman” del 2007 e “Du vent dans mes mollets” del 2012 – ed è abbastanza gradevole e si vede volentieri, ma non riesce a convincere del tutto. In bilico tra commedia e dramma, il film presenta alcune situazioni divertenti con varie coincidenze che però non riescono a diventare pochade; ad esempio, la situazione della dottoressa della mutua che vede vari diversi pazienti un po’ strani, poteva costituire da solo un tema di caricature grottesche, ma la regista fa vedere solo un paio di esempi e non insiste su questo versante. La famiglia Levkine, che rappresenta l’impegno politico e sociale, è tratteggiata quasi una macchietta: la moglie di Joseph è partita tempo prima per la Palestina lasciando figlia e marito per aiutare il mondo, lui è un ex militante di sinistra che ha partecipato a varie manifestazioni all’inizio degli anni ’60 a favore dell’Algeria mentre oggi è costretto a manifestare contro la deviazione dell’autostrada – «Eravamo solo in dodici» confessa a Erwan. Inoltre Joseph chiama i suoi cani con i nomi di dittatori (l’ultimo si chiama Pinochet) per il piacere di dar loro ordini: seduto, vieni qui, vai di là ecc. Così “Toglimi un dubbio” non è neanche sufficientemente impegnato per essere considerato un film serio e sembra che la regista non abbia deciso fino in fondo in quale genere rientrare.
I critici ne hanno parlato bene e il film è stato applaudito alla Quinzaine des realisateurs al Festival di Cannes del 2018. Mauro Donzelli così ne scrive: «Solo uomini e donne, di età diverse, con la voglia di sedersi su una panchina in riva al mare, anche solo per stare in silenzio; ma uno accanto all’altro».
Elegante e variegata scelta musicale che passa dal Flauto Magico di Amadeus Mozart a Ma fille di Serge Reggiani e al Synth pop di F.R. David con Words.

15 luglio 2018
Ghisi Grütter

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