Con Kristina Mkhitaryan, Alessandro Scotto di Luzio, Fabiàn Veloz, Irida Dragoti, Rafaela Albuquerque, Roberto Accurso. Costumi di Silvia Aymonino, scene di Alessandro Camera, luci di Roberto Venturi, coreografia di Luciano Cannito, video di Fabio Iaquone e Luca Attili.
Giovedì scorso alle Terme di
Caracalla, ho avuto la fortuna di avere un posto in quinta fila per assistere
alla rappresentazione de La Traviata
di Giuseppe Verdi, con la regia di Lorenzo Mariani e la direzione del maestro
Yves Abel. L’archeologia antoniniana - e cioè i resti dell’edificio costruito
sulle pendici del Piccolo Aventino tra il 212 a. C. e il 216 d. C. - da sola
basterebbe a fare spettacolo. Infatti, il regista Lorenzo Mariani così afferma:
«L’opera a Caracalla è magnifica, ma da regista è un’impresa titanica far
dialogare la macchina scenica con uno dei monumenti più imponenti al mondo.
Impossibile gareggiare con la sua bellezza, l’unica cosa da fare è inglobarla
nello show».
Mariani nel 2014, aveva già
allestito “Il Barbiere di Siviglia”
per il Teatro Costanzi, con una rappresentazione definita dai critici, in stile
hollywoodiano. Qui il regista ha avuto l’idea di trasporre la vicenda dalla
metà dell’Ottocento alla fine degli anni Cinquanta e inizio Sessanta del secolo
scorso, in un ambiente che ricorda più una Via Veneto felliniana che un boulevard haussmaniano parigino, anche
se il regista afferma che voleva rappresentare una Parigi “rutilante e feroce”
con la spietata crudeltà dei fotografica sempre in cerca di uno scoop da immortalare. Al posto dei
corsetti ottocenteschi, infatti, troviamo i paparazzi, le feste scatenate e
senza freni, le gonne a pois, grazie
ai costumi di Silvia Aymonino, alle coreografie di Luciano Cannito e alla
scenografia simbolico-minimalista di Alessandro Camera. Fondamentale è il ruolo
delle luci di Roberto Venturi, con il gioco sapiente di proiezioni sulle rovine
stesse (“inglobate nello show”, appunto), di gigantografie dei protagonisti, e dei
flash dei paparazzi.
Mi è piaciuta la regia di Lorenzo
Mariani anche per l’idea brillante di fare dei continui riferimenti alla cinematografia
di quell’epoca, in particolare alla “Dolce
vita” di Federico Fellini del 1960 e a “Vacanze
Romane” di William Wyler del 1958. Invece, per il senso di perdizione e il
clima festaiolo della scena della festa a casa di Flora Bervoix, il regista si
deve essere ispirato al più recente “Moulin
rouge” di Baz Luhrmann del 2001 che, infatti, aveva vinto tra i vari Oscar
2002, quelli per i migliori costumi e le migliori scene. L’omaggio al cinema è esplicito
fin dalla prima scena nell’immagine sul telo di sfondo, manifesto del film nel
quale recita Violetta Valery (la soprano russa Kristina Mkhitaryan): un tributo
a Marylin Monroe, icona della donna “traviata” per antonomasia. Ma i
riferimenti al cinema sono anche per “Grease
- Brillantina” di Randal Kleiser del 1978 (con i costumi di Albert Wolsky),
e in una scena, perfino alla “Notte dei
morti viventi” di George A. Romero del 1968, come mi faceva notare la mia
esperta compagna di spettacoli.
Il libretto dell’opera verdiana è
di Francesco Maria Piave, tratto da “La
signora delle Camelie” di Alexandre Dumas figlio, scritto l’anno prima nel
1852, ed è la storia di una donna frivola, in questo caso un’attrice che s’innamora
profondamente di Alfredo Germont (Alessandro Scotto di Luzio) e per lui
rinuncia alla sua vita mondana. Vanno a vivere insieme e si ritirano in una
casa in Provenza (Di Provenza il mare il
sol…) – qui il regista l’ha trasposta sul mare – quando il padre di Alfredo
(Fabiàn Veloz) - di nascosto da lui - viene a supplicare Violetta per farle
lasciare suo figlio, poiché il loro rapporto danneggia la reputazione della giovane
sorella (Pura siccome un angelo….).
Violetta in lacrime (Piangi fanciulla
piangi) e nella sua generosità, accetta di lasciare l’adorato Alfredo e,
per fargli credere di non amarlo più, si rifugerà nelle braccia del Barone Douphol
(Roberto Accurso). La scena della festa nella casa dell’amica di Violetta è la
più fastosa, si balla, si beve e si gioca. Qui Lorenzo Mariani si diverte a
trasporre la danza delle zingarelle in un erotico burlesque di veline e quella degli uomini in una sorta di
spogliarello dei Centocelle Nightmare (i Bulls). Alfredo gioca a carte e arriva
Violetta con il Barone, ne nasce una lite dove i due pretendenti si sfidano a
duello e Alfredo, avendo vinto al gioco, davanti a tutti dà i soldi alla sua ex
amante dicendo: «…che qui pagata io l’ho». L’ultimo atto celebra le ultime ore
di vita della Traviata, malata di tisi, che almeno ha la soddisfazione di
riabbracciare in punto di morte il suo amato Alfredo che, saputo dal padre del
suo sacrificio, le chiede perdono e le prospetta un futuro insieme (Parigi o cara), inutilmente. Qui
Violetta e Alfredo cantano il duetto finale appoggiati sulla vespa, quale
citazione di Audrey Hepburn e Gregory Peck nel film sopracitato “Vacanze Romane”. La scena è una rovina
post-moderna che fa il verso alla Venere
degli stracci di Pistoletto, con il telo-manifesto strappato e usato quasi
come sudario. I paparazzi arrampicati sulle strutture metalliche sembrano gufi spietati
che vogliono captare l’immagine della sua morte (un riferimento casuale a Lady
D?).
Certo l’acustica delle terme di
Caracalla è un grosso handicap per i
cantanti e i musicisti, comunque la soprano ha cantato bene e ha una buona
tenuta di scena, abbastanza bene il baritono, un po’ meno mi è parso il tenore.
Mi permetto una notazione a
margine. Erano più di trent’anni che non andavo alle Terme di Caracalla per uno
spettacolo, dai tempi in cui era d’obbligo rappresentare l’”Aida” con i cammelli e i fumi colorati.
All’epoca si diceva che fosse “un’americanata!” attribuendo a questo termine
un’accezione negativa. Adesso forse si rimpiangono gli spettatori americani,
sostituiti da umanità varia dei vari paesi, dall’Est europeo, alla lontana
Cina, al Sud America, tutti vestiti in abbigliamento casual. E come nella migliore tradizione - si ascolta l’Opera
togliendosi le scarpe, bevendo bibite (ricordate il film “Amadeus” di Milos Forman del 1984?) o da nuova usanza con lo smartphone aperto – e ciò non è affatto
un’esclusiva degli stranieri! Sono comunque contenta di vedere come il
melodramma italiano sia apprezzato a tutte le latitudini e longitudini nel
mondo.
6 luglio 2018
Ghisi Grütter
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